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Governo Minghetti I

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Governo Minghetti I
StatoItalia (bandiera) Italia
Presidente del ConsiglioMarco Minghetti
(Destra storica)
CoalizioneDestra storica
LegislaturaVIII
Giuramento24 marzo 1863
Dimissioni28 settembre 1864
Governo successivoLa Marmora II
28 settembre 1864

Il Governo Minghetti I è stato in carica dal 24 marzo 1863[1] al 28 settembre 1864 per un totale di 554 giorni, ovvero 1 anno, 6 mesi e 4 giorni.

Compagine di governo

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Appartenenza politica

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Partito Presidente Ministri Totale
Destra storica 1 8 9

Provenienza geografica

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La provenienza geografica dei membri del Consiglio dei ministri si può così riassumere:

Regione Presidente Ministri Totale
  Emilia-Romagna 1 - 1
  Campania - 1 1
Francia (bandiera) Francia - 1[2] 1
  Lombardia - 1 1
  Piemonte - 1 1
  Puglia - 1 1
  Sardegna - 1 1
Sicilia (bandiera) Sicilia - 1 1
  Toscana - 1 1

Situazione parlamentare

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NOTA: Ai tempi del Regno d'Italia, poiché secondo lo Statuto Albertino il governo rispondeva nei fatti al solo Re, la fiducia parlamentare in senso moderno non era obbligatoria (ed in tal senso vari sono stati i casi di formazione di un governo palesemente privo di tale supporto). La prassi di determinare la sopravvivenza dell’esecutivo in base al supporto parlamentare, dunque, si è andata sviluppando solo successivamente, specie con l’ascesa dei partiti di massa e con l’introduzione del sistema proporzionale, in tempi molto più tardi rispetto all’unità, ed ufficialmente solo con la Costituzione della Repubblica Italiana. Per questo motivo, il grafico sottostante espone, secondo ricostruzioni e dichiarazioni, nonché secondo la composizione del governo, l’eventuale supporto che questo avrebbe o ha ottenuto.

Camera Collocazione Partiti Seggi
Camera dei deputati[3] Maggioranza PLC (342)
342 / 443
Appoggio esterno IND (25)
25 / 443
Opposizione DEM (62), Pd'A (14)
76 / 443
Carica Titolare
Presidenza del Consiglio dei ministri
Presidente
del Consiglio dei ministri
Marco Minghetti (Destra storica)
Ministero Ministri
Affari Esteri Emilio Visconti Venosta (Destra storica)
Agricoltura, Industria e Commercio Giovanni Manna (Destra storica)
Lavori Pubblici Luigi Federico Menabrea (Destra storica)
Interno Ubaldino Peruzzi (Destra storica)
Istruzione Michele Amari (Destra storica)
Guerra Alessandro Della Rovere (Destra storica)
Marina Orazio Di Negro (Destra storica)
(fino al 21 aprile 1863)
Efisio Cugia (Destra storica)
(dal 21 aprile 1863)
Finanze Marco Minghetti (Destra storica)
Grazia e Giustizia e Culti Giuseppe Pisanelli (Destra storica)
  • 24 marzo - Il Re, arrivato a notte a Torino dalla Mandria, conferisce questa mattina con Minghetti, il quale cede alle insistenze del sovrano ed assume la presidenza del consiglio. Il Sovrano desidera che nessun elemento nuovo sia introdotto nel Gabinetto, ma Pasolini chiede di essere sostituito a causa di certi scrupoli personali derivanti dalle sue vecchie relazioni con il Papa. Bon Compagni non gli piace, Cugia incontra in alcuni Ministri gravi difficoltà; si pensa di chiamare da Parigi Nigra, ma si conviene che non potrebbe trovare alcuno per rimpiazzarlo. Non potendo Minghetti abbandonar le Finanze, si pensa a metter Peruzzi agli affari esteri, che lascerebbe a Spaventa il portafoglio dell'Interno: se non che il Re non ama quest'ultimo che gode di un'impopolarità inesauribile nel Napoletano. Volendo evitare l'interim, è scelto Visconti Venosta. In seguito alla proposta della Commissione del Bilancio di fare un'inchiesta parlamentare sulla Marina, Di Negro vorrebbe ritirarsi. Si propone a Sella di assumere il portafoglio della Marina. Questi accetterebbe, ma la sua area politica non glielo permette. Di Negro rimane dunque, ma provvisoriamente.
  • 2 giugno - Il Parlamento boccia una proposta del Presidente che prevedeva con grande ambizione un progetto di decentramento, che vede la regione come consorzio di provincia, una realtà storica e naturale; idea di fondo del suo progetto era una maggiore autonomia comunale con l'allargamento del corpo comunale e l'elettività del sindaco.
  • 15 agosto - Il governo emana la legge Pica, che nell'intento di combattere il fenomeno del brigantaggio sospende le garanzie istituzionali date dallo Statuto Albertino, definisce il reato di brigantaggio i cui trasgressori saranno sottoposti al giudizio dei tribunali militari in quasi tutta l'Italia meridionale.
  • 28 febbraio - La scadenza della legge Pica, che doveva durare fino al dicembre del 1863, viene prolungata fino alla fine del 1865.
  • 21 marzo - Il Parlamento promulga la legge per la fondazione della banca d'Italia.
  • 11 settembre - Il Re, venutosi man mano adattando all'idea del trasloco della capitale, accetta a patto che, per ragioni esclusivamente strategiche, sia posta a Firenze.
  • 15 settembre - Italia e Francia firmano a Parigi una convenzione inerente alla questione romana: essa prevede un ritiro delle forze francesi dalla città eterna tra due anni, mentre l'impegno italiano è quello di non aggredire lo Stato Pontificio; l'accordo contiene anche una clausola segreta: quella di trasferire nell'arco di sei mesi la capitale d'Italia da Torino in un'altra città italiana, a dimostrazione che il governo italiano rinuncia a Roma come nuova capitale.
  • 18 settembre - Un consiglio di generali d'armata (Cialdini, Durando, Della Rocca, De Sonnaz, Persano) convocato d'ordine del Re, e presieduto dal principe di Carignano vota all'unanimità essere Firenze la sola capitale, militarmente parlando, la più strategica oggigiorno d'Italia.
  • 20 settembre - I ministri firmano la relazione al Re sulla Convenzione del 15 per Roma. Della Rovere, stante l'agitazione che si delinea a Torino, ritira le dimissioni e si dichiara solidale con tutto il governo. Verso le 20 certo prete popolano don Ambrogio va qua e là predicando concordia seguito da monelli; i carabinieri lo arrestano; la folla si mette a gridare "Roma o Torino" e si ingrossa; salta fuori una bandiera e i dimostranti, girando per la città, gridano sotto i ministeri, sotto il municipio; sotto la casa di Peruzzi ed altrove; poi si sciolgono in via Doragrossa.
  • 21-22 settembre - La clausola segreta viene "spifferata" e a Torino sorgono manifestazioni spontanee, represse nel sangue dalle forze governative.
  • 23 settembre - Il gen. Della Rocca a nome del Re si reca da Minghetti a consigliare le dimissioni del governo. Minghetti risponde (e ne telegrafa al Re) desiderare un invito formale di lui a dimettersi; e il Re, un'ora dopo, gli telegrafa: «Lo stato attuale di cose non potendo durare perché troppo triste; la invito Lei e i suoi colleghi a dare le dimissioni». Minghetti gliele manda immediatamente. Il Re, ritorna subito a Torino; conferisce con varie personalità, assumendo informazioni sui fatti di ieri sera; poi, sentiti i presidenti della Camera e del Senato e il gen. Della Rocca, manda un aiutante di campo a significare al presidente dei ministri di averne accettate le dimissioni; e manda altro ufficiale ad informare il Sindaco avere chiamato il generale La Marmora por comporre il ministero.
  1. ^ NOTIZIE TELEGRAFICHE - Dispacci Elettrici Privati (Agenzia Stefani) - Napoli 24 — Torino 24 <<Minghetti annuncia alla Camera che Farini per ragioni di salute ha rassegnato il suo uffìzio , e il Re incaricò Minghetti della presidenza del Consiglio , conservando il portafoglio delle finanze...>> (PDF), su senato.it, Il Pungolo, 25 marzo 1864.
  2. ^ Il ministro Luigi Federico Menabrea nacque a Chambéry, all'epoca sotto la dominazione napoleonica.
  3. ^ Viene riportata la situazione parlamentare solo di questa camera (e non anche del Senato del Regno) poiché, sebbene entrambe partecipino al processo di controllo del rapporto di fiducia con l'esecutivo, per convenzione costituzionale in caso di disaccordo è la decisione della camera bassa a prevalere, risultando essere la posizione ufficiale del Parlamento nella sua totalità.
  • Francesco Bartolotta, Parlamenti e Governi d'Italia dal 1848 al 1970, 2 Voll., Vito Bianco editore, Roma, 1971, II Vol., p. 37.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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