Proteine

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Rappresentazione schematica della mioglobina. Questo omologo proteine di emoglobina lega l'ossigeno nei muscoli. È la prima la cui struttura è risolto con la cristallografia e diffrazione di raggi X da Max Perutz e John Kendrew

Le proteine (o protidi) sono macromolecole biologiche formate da una o più catene amminoacidiche. In analogia con altre macromolecole biologiche come i polisaccaridi e gli acidi nucleici, le proteine costituiscono una parte essenziale degli organismi viventi. Molte fanno parte della categoria degli enzimi, la cui funzione è catalizzare le reazioni biochimiche vitali per il metabolismo degli organismi. Alcune hanno funzioni strutturali e meccaniche, come l'actina e la miosina nei muscoli, il collagene in ossa e tessuti, e come componenti del citoscheletro cellulare. Altre proteine sono importanti mediatori nella trasmissione di segnali inter ed intracellulari, nella risposta immunitaria, nei meccanismi di adesione cellulare nel ciclo di divisione cellulare.

Le proteine si differenziano principalmente per la sequenza degli amminoacidi che le compongono, la quale a sua volta dipende dalla sequenza nucleotidica dei geni che all'interno della cellula ne esprimono la sintesi. In generale il codice genetico specifica 20 amminoacidi standard, ma in alcuni organismi possono essere inclusi amminoacidi non-standard come la selenocisteina e —in alcuni archaea— la pirrolisina. La sequenza amminoacidica determina a sua volta il ripiegamento della proteina in una specifica struttura tridimensionale che ne conferisce la specifica attività. Spesso alcuni residui amminoacidici di una proteina vengono modificati, subito dopo o già durante la sintesi, con modifiche chimiche post traduzionali. Tali modifiche alterano le proprietà chimico-fisiche, di ripiegamento, stabilità e attività delle proteine, variandone la funzione. Talvolta le proteine legano dei gruppi non-peptidici detti gruppi prostetici o cofattori, in grado di modificarne ulteriormente le proprietà. Le proteine per svolgere particolari funzioni possono anche associarsi in complessi stabili con altre proteine.

Le proteine sono necessarie nella dieta degli animali, in quanto gli animali non possono sintetizzare tutti gli amminoacidi di cui necessitano e devono ottenere alcuni di essi (i cosiddetti amminoacidi essenziali) dal cibo. Attraverso il processo di digestione, gli animali spezzano le proteine ingerite in amminoacidi liberi, che sono successivamente impiegati nella creazione di nuove proteine strutturali, enzimi, ormoni, o come fonti di energia mediante la gluconeogenesi.

Le proteine possono essere purificate separandole dagli altri componenti cellulari utilizzando tecniche diverse, tra cui ultracentrifugazione, precipitazione, elettroforesi e cromatografia; l'avvento dell'ingegneria genetica ha reso possibili molti metodi che facilitano la purificazione proteica. I metodi comunemente usati per studiare la struttura e la funzione delle proteine includono l'immunoistochimica, la mutagenesi sito specifica, la risonanza magnetica nucleare e la spettrometria di massa.

Caratteristiche generali

Le proteine hanno una struttura tridimensionale molto complessa a cui è associata sempre una funzione biologica. Da questa considerazione deriva uno dei dogmi fondamentali della biologia: "Struttura <--> Funzione", nel senso che ad ogni diversa organizzazione strutturale posseduta da una proteina (detta proteina nativa) è associata una specifica funzione biochimica.
Da questo punto di vista le proteine possono essere classificate in due grandi famiglie: le proteine globulari e le proteine a struttura estesa o fibrosa. Queste due organizzazioni riflettono le due grosse separazioni funzionali che le contraddistinguono:

  • Le proteine estese o fibrose svolgono funzioni generalmente biomeccaniche, esse rientrano nella costituzione delle ossa, unghie, peli, dello strato corneo dell'epidermide, dei muscoli (actina e miosina), fornendo sostegno strutturale e opponendo una valida difesa contro il mondo esterno.
  • Al contrario, le proteine globulari sono coinvolte in specifiche e molteplici funzioni biologiche, spesso di fondamentale importanza per l'economia cellulare, sono proteine gli enzimi, i pigmenti respiratori, molti ormoni, le tossine, e gli anticorpi, responsabili della difesa immunitaria.

La loro composizione in amminoacidi è variabile e sotto il controllo genetico per cui il loro peso molecolare può essere molto variabile e dipende dal numero e dal tipo di amminoacidi (monomeri) di cui è costituita la molecola (eteropolimero in cui il peso molecolare medio di un amminoacido è circa 115). Se la molecola è costituita da poche unità di amminoacidi (in genere non più di 15 ÷ 20) viene definita un oligopeptide. In genere, un oligopeptide non ha una ben definita conformazione in soluzione ma, essendo piuttosto flessibile, la cambia continuamente. Un polimero più lungo si dice polipeptide. Uno o più polipeptidi costituiscono una proteina.

Una proteina nella sua organizzazione nativa, e quindi funzionalmente attiva, può esistere solo in soluzioni saline diluite (molto simili, per composizione, a quelle esistenti nei sistemi acquosi cellulari). La sua struttura dipende esclusivamente dalle caratteristiche chimico-fisiche della soluzione acquosa in cui si trova (pH, presenza di ioni salini, temperatura, pressione, presenza di composti organici come urea, alcoli, ecc.). Il variare di questi parametri può determinare delle modifiche strutturali che possono alterare le proprietà funzionali, fino ad annullarle (proteina denaturata).

Proteine che contengono lo stesso tipo e numero di amminoacidi possono differire dall'ordine in cui questi sono situati nella struttura della molecola. Tale aspetto è molto importante perché una minima variazione nella sequenza degli amminoacidi di una proteina (cioè nell'ordine con cui i vari tipi di amminoacidi si susseguono) può portare a variazioni nella struttura tridimensionale della macromolecola che possono rendere la proteina non funzionale. Un esempio ben noto è il caso della catena beta dell'emoglobina umana che nella sua normale sequenza porta un tratto formato da: valina - istidina - leucina - treonina - prolina - acido glutammico - lisina.

Classificazione

La formazione di copie duplicate di geni e l'alterazione della funzione di una proteina nel corso dell'evoluzione hanno portato alla formazione delle circa 500 famiglie proteiche identificate. All'interno di una famiglia sebbene ciascuna proteina svolga una funzione leggermente diversa dall'altra, la sequenza di amminoacidi in particolare presso i siti catalitici e in regioni conservate è quasi identica. Non è tuttavia una legge che vale per tutte le proteine di una famiglia, esistono infatti alcune proteine dalla sequenza amminoacidica molto diversa e tuttavia dalla conformazione tridimensionale molto simile. Si può quindi affermare che nel corso dell'evoluzione all'interno di una famiglia proteica si è conservata più la conformazione tridimensionale che non la sequenza degli amminoacidi. Generalmente quando almeno un quarto della sequenza amminoacidica di due proteine corrisponde, esse hanno la stessa struttura generale. Due proteine diverse appartenenti ad una stessa famiglia e dalla funzione simile sono dette paraloghe, mentre la stessa proteina in due organismi diversi (per esempio uomo e topo) è detta ortologa. La parentela tra due proteine è generalmente accettata quando almeno il 30% degli amminoacidi corrispondono, ma per verificarla è possibile ricorrere ai cosiddetti fingerprint, cioè brevi sequenze di amminoacidi comuni in quasi tutte le proteine di una data famiglia. Alcune proteine si sono formate per rimescolamento dei domini proteici o per la loro duplicazione all'interno della stessa proteina a causa di unioni accidentali di DNA codificante; certi domini sono particolarmente diffusi e sono perciò chiamati moduli proteici. Questi domini hanno la caratteristica di avere gli N-terminali e C-terminali ai poli opposti della proteina, così che l'aggregazione ad altri domini e ad altre proteine per formare strutture più grandi è favorita rispetto a quanto accadrebbe se fossero entrambi verso lo stesso polo della proteina; un esempio è il modulo 1 della fibronectina. In tal caso i domini che assumono una conformazione simile ad una spina della corrente sono inseriti nelle anse proteiche di alcune proteine, per esempio il modulo kringle nell'urochinasi o il dominio SH2. Alcuni di questi domini non si ritrovano solo tra proteine paraloghe ma anche ortologhe, per esempio il dominio SH2 mostra una diffusione molto simile sia nel verme che nella mosca, eppure è ben poco frequente nei vegetali. Vi sono invece dei domini comuni a solo certe categorie di organismi come l'MHC, il complesso maggiore di istocompatibilità (major histocompatibility complex), presente nell'uomo ma assente negli insetti e nei vegetali, tuttavia questi costituiscono soltanto il 7% del totale. Si è osservato inoltre che, malgrado alcuni organismi viventi apparentemente semplici come la pianta Arabidopsis thaliana posseggano più geni di un essere umano, tendenzialmente le proteine umane sono formate da un numero maggiore di domini e quindi sono più complesse rispetto alle ortologhe in altri organismi.

La classificazione può essere dunque fatta in base alla composizione chimica, alla configurazione molecolare o alla solubilità. Si distinguono così proteine semplici (costituite da soli amminoacidi) e proteine coniugate (costituite da una proteina semplice e da un gruppo prostetico di natura non proteica).

Tra le proteine semplici:

Tra le proteine coniugate (costituite almeno da apoproteina+gruppo prostetico):

Un'ulteriore classificazione delle proteine è quella che le distingue in base alla loro funzione.

  • Le proteine strutturali sono componenti delle strutture permanenti dell'organismo ed hanno principalmente una funzione meccanica. Due esempi sono il collagene e l'elastina, presenti nella matrice dei tessuti connettivi.
  • Le proteine di trasporto si legano (in genere con legami deboli) a sostanze poco (o comunque non abbastanza) idrosolubili e ne consentono il trasporto nei liquidi corporei. Comprendono ad esempio le proteine del sangue che trasportano i lipidi e il ferro, nonché l'emoglobina che trasporta l'ossigeno. Molto importanti sono anche le proteine di trasporto delle membrane cellulari.
  • Gli enzimi sono proteine catalitiche. Essi accelerano enormemente la velocità di specifiche reazioni chimiche, determinando quali, tra le pressoché infinite reazioni che potrebbero avvenire tra le sostanze presenti, avvengono realmente a velocità apprezzabile. Di fatto, ogni molecola appena un po' complessa presente in un essere vivente è prodotta da enzimi.

Tra le altre funzioni delle proteine rientrano la regolazione dell'espressione dei geni, la duplicazione, trascrizione e traduzione del DNA, la regolazione delle reazioni metaboliche, la generazione e la ricezione degli impulsi nervosi. Molte tossine e molti allergeni sono anch'essi proteine.

Proprietà chimico-fisiche

Le proprietà delle proteine si ricollegano a quelle dei loro costituenti, gli amminoacidi: sono elettroliti anfoteri, possono essere sottoposte ad elettroforesi, sono otticamente attive (levogire) e presentano il fenomeno di Tyndall.

Il punto isoelettrico (o PI) di una proteina è rappresentato da quella concentrazione di idrogenioni del mezzo, che si comporta in modo da far assumere al protide una forma di anfoione.

Per ottenere il peso molecolare (o PM) delle proteine si deve far ricorso a tecniche e metodologie di non sempre facile attuazione. Tra le tante, quella che fornisce i risultati più precisi è senza dubbio la spettrometria di massa.

Composizione elementare

La molecola proteica risulta costituita da atomi di carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto; spesso contiene anche zolfo (presente negli amminoacidi metionina, cisteina e cistina) e, talvolta, fosforo e/o metalli come ferro, rame, zinco ed altri.

Le proteine sono dei polipeptidi con più di 90-100 amminoacidi.

Gli amminoacidi

Lo stesso argomento in dettaglio: Amminoacidi.

Lo scheletro delle proteine è costituito da una sequenza di 20 tipi di amminoacidi diversi, cui si aggiungono alcune tipologie speciali di amminoacidi modificati (come l'idrossilisina nel collagene). In una singola proteina non necessariamente sono presenti tutte le tipologie di amminoacidi che invece si trovano in quantità differenti.

La struttura generica degli amminoacidi ordinari è la seguente:

    R
    |
H3N-C-COOH
    |
    H

R rappresenta un gruppo specifico di ogni amminoacido, ed è detto catena laterale o gruppo laterale, per distinguerlo dal resto dell'amminoacido che costituisce l'ossatura polipeptidica della proteina, è tale gruppo a conferire a ciascun amminoacido le sue peculiarità chimiche. In funzione delle proprietà chimiche di tale gruppo, un amminoacido viene classificato come acido, basico, idrofilo (o polare) e idrofobo (o apolare). Gli aminoacidi sono anche formati di due gruppi distinti chiamati gruppo amminico e gruppo carbossilico(-NH2,-COOH).

Nella "fusione" si ha la formazione di una molecola d' acqua tramite condensazione (dato che nell'avvicinamento si ha il distaccamento di uno ione idrogeno positivo e del gruppo ossidrilico OH negativo), il gruppo amminico di un amminoacido può legarsi al gruppo carbossilico di un altro:

H2N-CH-COOH  +  H2N-CH-COOH  -->  H2N-CH-CO-NH-CH-COOH   +   H2O
    |               |                 |        |
    R               R'                R        R'

Il legame che unisce due amminoacidi, evidenziato in rosso, prende il nome di legame peptidico. Una catena di più amminoacidi legati attraverso legami peptidici prende il nome generico di polipeptide, uno o più polipeptidi, a volte accompagnati da altre molecole ausiliarie, costituiscono una proteina.

L'ingombro dei vari gruppi R che sporgono dalla catena polipetidica, l'affinità reciproca tra gruppi polari e tra gruppi apolari, l'attrazione tra gruppi basici e gruppi acidi sono alcune delle forze che concorrono a modellare la conformazione della proteina nello spazio, conformazione dalla quale dipende in modo essenziale l'attività biologica della proteina stessa.

Gli amminoacidi presenti negli organismi viventi sono numerosissimi ma solo venti di essi (tutti della serie stereochimica L) sono sottoposti al controllo genetico, come conseguenza dei processi evolutivi e contenuti nelle proteine:

  1. acido aspartico (monoamminodicarbossilico)
  2. acido glutammico (monoamminodicarbossilico)
  3. alanina (monoamminomonocarbossilico)
  4. arginina (diamminomonocarbossilico)
  5. asparagina
  6. cisteina (monoamminomonocarbossilico)
  7. fenilalanina (monoamminomonocarbossilico)
  8. glicina (o glicocolla)
  9. glutammina
  10. isoleucina
  11. istidina
  12. leucina
  13. lisina (diamminomonocarbossilico)
  14. metionina
  15. prolina (iminoacido)
  16. serina (monoamminomonocarbossilico)
  17. tirosina
  18. treonina
  19. triptofano (monoamminomonocarbossilico)
  20. valina

Tra gli amminoacidi non proteici annoveriamo il GABA (acido gamma-amminobutirrico, un mediatore chimico del sistema nervoso), la L-DOPA (3,4-diidrossi-l-fenilalanina, precursore dell'adrenalina), ed altri che hanno specifiche e spesso importanti proprietà biologiche. Gli amminoacidi essenziali per il nostro organismo sono 9 (istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilanina, treonina, triptofano e valina). Alcuni di essi sono "condizionatamente essenziali", ovvero diventano indispensabili solo sotto specifiche condizioni fisiologiche o patologiche (ad esempio: cisteina, tirosina, taurina, glicina, arginina, glutammina, prolina). Inoltre è necessario un apporto sufficiente di azoto presente negli amminoacidi, che può essere soddisfatto dagli amminoacidi sopracitati, dagli aminoacidi non essenziali o da altre fonti.

La composizione di una proteina dipende dal numero e dal tipo di amminoacidi di cui è formata. Considerando anche che un amminoacido può comparire più volte nella stessa catena polipeptidica, il numero delle combinazioni possibili è enorme: una sequenza di 300 aminoacidi in teoria può codificare 20300 proteine diverse. Tuttavia, la maggior parte di queste proteine non possono esistere in natura perché lo impediscono le coppie di angoli di rotazione di ciascun loro amminoacido, oppure perché sarebbero particolarmente instabili, così meno di una ogni miliardo potrebbe esistere. Solo le proteine stabili infatti persistono e sono selezionate dall'evoluzione, infatti una cellula non potrebbe sopravvivere possedendo proteine dall'emivita troppo breve, dalla funzione troppo variabile, o impossibili da regolare. Il cambiamento anche di un singolo amminoacido all'interno di una proteina può essere silente e non alternarne significativamente la funzione, ma può anche alterarne la struttura e dunque la funzione, ciò è provato dalle numerose patologie di cui è responsabile la mutazione di un singolo amminoacido in una proteina. Si comprende comunque quanto grande possa essere il numero delle diverse possibili proteine che sono state generate dai processi evolutivi che hanno coinvolto (e coinvolgono) tutte le specie viventi esistenti in natura. Nell'uomo pare che si codifichino almeno 24.000 proteine diverse.

Sintesi

Sintesi biologica

Lo stesso argomento in dettaglio: Sintesi proteica.
Un ribosoma produce una proteina utilizzando un mRNA come templato.
La sequenza di DNA di un gene codifica per la sequenza amminoacidica della proteina.

Le proteine sono formate a partire dagli amminoacidi utilizzando le informazioni codificate nei geni. Ogni proteina possiede una propria sequenza amminoacidica che deriva dalla sequenza nucleotidica del gene che la codifica. Il codice genetico è costituito da triplette di nucleotidi dette codoni e ogni combinazione di tre nucleotidi designa un amminoacido, ad esempio AUG (adenina-uracile-guanina) è il codice per la metionina. Poiché il DNA contiene 4 diversi nucleotidi, il numero totale di possibili codoni è di 64; essendo gli amminoacidi standard solo 20 nel codice genetico vi è un certo grado di ridondanza e ad alcuni amminoacidi corrispondono più codoni.[1] I geni presenti nel DNA sono prima trascritti in pre-mRNA (pre-RNA messaggero) da proteine quali l'RNA polimerasi. La gran parte degli organismi processano il pre-mRNA (anche noto come trascritto primario) mediante diverse forme di modifiche post-trascrizionali per formare l'mRNA maturo. L'RNA messaggero maturato è quindi usato come templato per la biosintesi proteica nel ribosoma. Nei procarioti l'mRNA può essere usato subito dopo essere stato prodotto o dopo essersi allontananto dal nucleoide. Al contrario gli eucarioti formano l'mRNA nel nucleo cellulare e successivamente lo traslocano attraverso la membrana nucleare nel citoplasma, dove avviene la biosintesi proteica. La velocità di sintesi delle proteine è maggiore nei procarioti rispetto agli eucarioti e può raggiungere i 20 residui amminoacidici per secondo.[2]

Il processo di sintesi di una proteina a partire da uno stampo di mRNA è noto come traduzione. L'mRNA è caricato nel ribosoma e letto tre nucleotidi per volta accoppiando ciascun codone con il corrispondente anticodone localizzato sull'RNA di trasporto che porta l'amminoacido corrispondente al codone riconosciuto. L'enzima amminoacil-tRNA sintetasi "carica" la molecola di tRNA con il corretto amminoacido. Le proteine sono sempre biosintetizzate a partire dall'estremità N-terminale in direzione di quella C-terminale.[1]

Le dimensioni di una proteina sintetizzata possono essere misurate dal numero di amminoacidi che contiene e dalla sua massa molecolare totale, la quale normalmente è misurata in dalton (sinonimo di unità di massa atomica) o nell'unità derivata kilodalton (kDa). Ad esempio le proteine del lievito sono lunghe in media 466 residui amminoacidici e pesano mediamente 53kDa.[3]

Sintesi artificiale

Le proteine più corte possono essere sintetizzate anche per via chimica mediante una serie di metodi di sintesi peptidica che si basano su tecniche di sintesi organica come la chemical legation per produrre peptidi in alte rese.[4]

La sintesi chimica permette l'introduzione nella sequenza di amminoacidi non naturali, come l'inserimento di sonde fluorescenti.[5] Questi metodi sono utili nei laboratori di biochimica e biologia cellulare, sebbene generalmente non abbiano applicazione commerciale.

La sintesi chimica è inefficiente (in termini di rese) per polipeptidi più lunghi di 300 residui amminoacidici, e le proteine sintetizzate possono avere problemi ad assumere rapidamente la struttura terziaria della conformazione nativa. La gran parte dei metodi di sintesi chimica procedono dall'estremità C-terminale a quella N-terminale, in direzione opposta alla biosintesi naturale.[6]

Struttura

Ripiegamento

Una proteina, essendo una macromolecola formata da decine di migliaia di atomi, potrebbe potenzialmente assumere un numero incredibilmente grande di possibili ripiegamenti. Tuttavia considerazioni fisiche limitano di molto i possibili ripiegamenti e dunque la conformazione finale di una proteina. Intanto gli atomi non si possono mai sovrapporre e si comportano a grandi linee come sfere con un raggio definito detto raggio di van der Waals, ciò limita non poco il numero di angoli ammessi in una catena polipeptidica. Ciascun amminoacido contribuisce alla formazione della catena polipeptidica con tre legami:

  • Il legame peptidico (C-N) tra il carbonio di un gruppo chetonico di uno degli amminoacidi e l'azoto del gruppo amminico dell'adiacente.
  • Il legame convenzionalmente chiamato Cα-C che è presente tra il carbonio centrale cui è attaccato il gruppo laterale R e il carbonio del gruppo carbossilico.
  • Il legame Cα-N tra il carbonio centrale e l'azoto del gruppo amminico dello stesso amminoacido.

Il legame peptidico è planare ed impedisce una vera e propria rotazione, mentre gli altri due legami la consentono.

L'angolo di rotazione del legame Cα-C è detto ψ, quello del legame Cα-N è detto φ. La conformazione degli atomi della catena principale di una proteina è determinata dalla coppia di questi angoli di rotazione per ciascun amminoacido. Dal momento che non sono possibili collisione steriche tra gli amminoacidi gli angoli possibili sono limitati. Ramachandran in funzione delle possibili coppie di angoli di rotazioni compilò un grafico che oggi prende il suo nome dove è ben visibile come la maggior parte delle proteine assumano solo due grandi tipologie di conformazione: l'α-elica e il β-foglietto.

Rappresentazione dei legami a idrogeno (linee tratteggiate) attraverso cui interagiscono i diversi segmenti della stessa catena proteica.

Tra gli atomi di una proteina si stabiliscono interazioni dette legami, che possono essere covalenti o non covalenti. I legami non covalenti, presi singolarmente, sono sempre più deboli dei covalenti nell'ordine di decine o centinaia di volte, tuttavia il loro numero all'interno di una proteina li rende fondamentali per comprenderne il ripiegamento. I legami non covalenti che si riscontrano nelle proteine sono i legami a idrogeno, le attrazioni elettrostatiche e le attrazioni di van der Waals.

  • Il legame a idrogeno si effettua, per esempio, tra un atomo di ossigeno e uno vicino di idrogeno.
  • Le attrazioni elettrostatiche avvengono tra gruppi laterali con carica periferica opposta.
  • Le attrazioni di van der Waals si verificano tra dipoli molecolari istantanei indotti (forza di London), tra dipoli permanenti (forza di Keesom) o tra un dipolo permanente ed uno corrispondente indotto (forza di Debye).

A queste interazioni si deve aggiungere la tendenza dei gruppi di amminoacidi idrofobici (fenilalanina, leucina, isoleucina, triptofano, valina, cisteina, metionina, prolina, alanina e glicina) ad avvicinarsi e unirsi tra loro, formando delle tasche idrofobiche lontane dalla rete di legami idrogeno che deve essere immaginata sempre presente all'interno di un ambiente acquoso tra le molecole d'acqua. Generalmente i gruppi di amminoacidi idrofobici sono quasi sempre posti all'interno della proteina, dal momento che questa si trova tipicamente in un ambiente acquoso, mentre i suoi amminoacidi idrofilici, polari e con carica, saranno tendenzialmente all'esterno. La struttura tridimensionale di una proteina è determinata dalla sola disposizione sequenziale dei suoi amminoacidi e la conformazione che assume è tendenzialmente quella con energia libera più bassa.

È stato possibile scoprire questa peculiarità delle proteine effettuando esperimenti di denaturazione (tramite solventi come l'urea) e rinaturazione di proteine in vitro. Si è notato che alcune proteine, una volta denaturate e rimosso il solvente si ripiegavano autonomamente. Tuttavia, non tutte le proteine una volta denaturate possono ripiegarsi spontaneamente nella loro conformazione originaria. La conformazione di una proteina, benché sia normalmente la più stabile possibile per la sequenza dei suoi amminoacidi, non è immutabile, e subisce piccole modificazioni dovute all'interazione con ligandi o altre proteine. Questa caratteristica è alla base della funzionalità della maggior parte delle proteine. La conformazione di una proteina può essere notevolmente aiutata ed affinata dagli chaperoni, delle proteine che si legano alle catene parzialmente ripiegate e le assistono sino a raggiungere la conformazione corretta. Spesso agiscono isolando tra loro le tasche idrofobiche di una proteina, che in caso contrario tenderebbero ad associarsi prematuramente.

Una porzione di proteina che si ripiega indipendentemente dal resto della catena polipeptidica è detta dominio proteico ed una proteina può averne anche più di uno. Si suppone che esistano in natura circa 2.000 domini proteici dalla struttura differente, circa 800 sono stati identificati, tuttavia la stragrande maggioranza dei domini proteici assume poche decine di conformazioni diverse.

l'α-elica e il β-foglio pieghettato

L'α-elica e il β-foglietto sono le conformazioni più comuni riscontrabili nelle catene polipeptidiche di una proteina. Una singola proteina può prevedere sia α-eliche che β-foglietti in numero variabile.

  • L'α-elica è la conformazione più comune riscontrabile nelle proteine, particolarmente presente nei recettori cellulari, dov'è immersa nella membrana plasmatica della cellula, spesso con più α-eliche per singola proteina (unite da catene polipeptidiche ad U). In questo caso i gruppi idrofobici sono a contatto con la membrana plasmatica e i gruppi idrofilici sono all'interno, oppure si affacciano al citoplasma e allo spazio extracellulare. L'elica è una delle conformazioni più favorevoli perché naturalmente riduce al minimo l'energia libera, può essere sinistrorsa o destrorsa. Fu scoperta per la prima volta nell'α-cheratina negli anni Sessanta. L'α-elica si forma quando una catena polipeptidica si ripiega su se stessa con formazione di legami idrogeno tra un legame peptidico e il quarto successivo, in particolare tra il gruppo chetonico C=O dell'uno e il gruppo N-H dell'altro, e il legame è tra O e H. Tutti i gruppi amminici di un'elica sono rivolti verso l'N-terminale della proteina, tutti quelli chetonici verso il C-terminale, così l'elica assume parziale carica positiva all'N-terminale e parziale carica negativa al C-terminale. L'elica che si forma ha un giro completo ogni 3,6 amminoacidi e la distanza media tra questi è 0,54 nm. In alcune proteine due o tre α-eliche si avvolgono l'una intorno all'altra formando il coiled coil. Generalmente questa conformazione è assunta quando ciascuna elica ha la maggior parte delle catene laterali di amminoacidi idrofobici da un lato, in questo modo, sfruttando le attrazioni idrofobiche, le eliche possono avvolgersi una intorno all'altra. L'α-cheratina è un esempio di proteina che assume questa particolare conformazione, preferita dalle proteine con funzione strutturale.
  • Il β-foglio pieghettato è la seconda conformazione più comune nelle proteine, molto presente in alcuni enzimi e nelle proteine coinvolte nella difesa immunitaria. Fu scoperto negli anni Sessanta studiando la fibroina, la proteina principale costituente della seta. Il foglietto β pieghettato consiste in numerose catene polipeptidiche che si dispongono l'una adiacente all'altra, collegate in una struttura continua da brevi sequenze a U. Tali catene possono puntare nella stessa direzione (catene parallele) o in direzioni alternate (catene antiparallele). Ancora una volta le catene polipeptidiche adiacenti sono unite in una struttura rigida da legami idrogeno che connettono i legami peptidici di una catena con quella adiacente.

Livelli di organizzazione

Dall'alto verso il basso: rappresentazione della struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria di una proteina.

Una proteina nel suo complesso è una molecola in cui vengono convenzionalmente distinti vari livelli di organizzazione, che possono essere tre o quattro a seconda della proteina.

  • La struttura primaria è formata dalla sequenza specifica degli amminoacidi, dalla catena peptidica e dal numero stesso delle catene, determina da sola il ripiegamento della proteina.
  • Il dominio è un'unità globulare o fibrosa formata da catene polipeptidiche ripiegate in più regioni compatte, costituiscono divisioni della struttura terziaria, ha la caratteristica di ripiegarsi più o meno indipendentemente rispetto al resto della proteina. Un dominio è generalmente compreso tra i 30 e i 350 amminoacidi. Molte delle proteine più complesse sono aggregazioni modulari di numerosi domini proteici. Tra i più comuni si citino SH2 o SH3; la proteina Src possiede un dominio SH2, un dominio SH3 e un dominio catalitico chinasico C-terminale.
  • La struttura terziaria (dal punto di vista della termodinamica è la forma con la più bassa energia libera) è rappresentata dalla configurazione tridimensionale completa che la catena polipeptidica assume nell'ambiente in cui si trova.
    Viene consentita e mantenuta da diversi fattori, come i ponti disolfuro, e le forze di Van der Waals. Fondamentali sua formazione sono le chaperonine, proteine chiamate anche "dello stress" o "dello shock termico" (Hsp, "heat shock proteins), per il loro ruolo nella rinaturazione delle proteine denaturate.
    Gran parte delle strutture terziarie può essere classificato come globulare o fibrosa.
  • La struttura quaternaria è quella che deriva dall'associazione di due o più unità polipeptidiche, unite tra loro da legami deboli (e a volte ponti disolfuro) in un modo molto specifico, come ad esempio avviene nella costituzione dell'emoglobina, costituita da quattro subunità, due globuline α e due globuline β.
  • La struttura quinaria , che fu suggerita da Edwin H. McConkey, ricercatore all'Università del Colorado. Egli elaborò un'interessante teoria che fu ingiustamente trascurata, effettuando esperimenti di gel-elettroforesi per confrontare le varie popolazioni proteiche in organismi che si trovavano in differenti stadi evolutivi. I risultati portarono lo studioso a definire la struttura quinaria, riferendosi a tutto ciò che, in seno ad un polipeptide, si può rapportare a tutte le interazioni transitorie stabilite da alcune proteine (in vivo) per la salvaguardia dal processo evolutivo. In particolare, tale struttura si può considerare come la tendenza all'invarianza, e non a particolari cambiamenti morfologici nella struttura di un polipeptide.

Le proteine che contengono anche una parte non polipeptidica, gruppo prostetico, sono dette proteine coniugate. Due proteine si dicono isoforme se, a parità di struttura primaria, differiscono in uno degli altri livelli di struttura. Denaturare una proteina significa distruggerne la conformazione spaziale, rompendo i legami idrogeno e ponti disolfuro per mezzo di acidi, basi, calore, radiazioni o agitazione (un esempio comune di denaturazione è la cottura di un uovo nel quale l'albumina, che costituisce la maggior parte dell'albume, viene denaturata). Una proteina denaturata, pur mantenendo intatta la sua struttura primaria, non è più in grado di esplicare la sua funzione, a meno che non si riesca a ristabilirne la struttura terziaria.

Proteine complesse

Le proteine, per quanto siano complesse anche prese singolarmente, negli organismi viventi possono aggregarsi ad altre proteine identiche oppure a proteine apparentemente molto differenti creando dei complessi proteici. Ciò che permette questo legame sono gli stessi legami non covalenti che permettono ad una proteina di assumere una determinata conformazione. In una proteina sono spesso presenti una o più zone caratteristiche capaci di interazioni non covalenti con altre proteine dette siti di legame. Quando una proteina, tramite un sito di legame, si lega ad un'altra proteina formando un complesso proteico ogni singola proteina del complesso prende il nome di subunità proteica.

Se le subunità che formano il complesso proteico sono due si dirà che è un dimero, se sono tre un trimero, se quattro un tetramero e così via. Esistono complessi proteici che contengono decine di subunità. Il legame fra le subunità può essere per esempio "testa-testa" (in tal caso sono favoriti i dimeri) o "testa-coda" (dove spesso le proteine sono globulari o ad anello).

Struttura dell'emoglobina. Sono visibili le diverse subunità di cui è composta.

Un esempio di proteina provvista di più subunità è l'emoglobina, una proteina globulare formata da quattro subunità, due α-globuline ad uno dei due poli e due β-globuline all'altro (le subunità non sono perciò alternate), con un gruppo prostetico (l'eme) legato a ciascuna subunità.

Altri complessi proteici sono formati da molte più subunità che permettono di realizzare dei filamenti dal momento che ad un polo possiedono un sito di legame e all'altro polo una struttura proteica complementare a quello stesso sito. Si creano così catene di filamenti proteici come l'actina-F, formata da centinaia di subunità globulari di actina-G che le conferiscono al microscopio elettronico un aspetto simile a quello di una collana elicoidale di perle. La ridondanza della struttura elicoidale e non retta è sempre dovuta all'affinità di una conformazione con la minore energia libera. Una variante all'elica è il coiled coil, che coinvolge due o tre catene polipeptidiche, come nella cheratina o nel collagene. Si può dire, a grandi linee, che le proteine globulari tendono ad avere funzione enzimatica, mentre quelle che formano filamenti hanno funzione strutturale (formano ad esempio le miofibrille nelle fibre muscolari o le fibre della matrice extracellulare, o ancora il citoscheletro di una cellula).

Vi sono proteine la cui funzione è resa possibile proprio dalla loro struttura poco caratterizzabile e casuale, ne è un esempio l'elastina, che forma le fibre elastiche della parete delle arterie e di molti altri tessuti del corpo umano. Nell'elastina numerose catene polipeptidiche sono legate covalentemente tra loro senza una disposizione regolare e tale struttura disordinata ne determina la sua deformabilità. Proteine poco strutturate hanno svariate funzioni nella cellula, alcune ad esempio hanno funzione strutturale come l'elastina, altre però sono dei canali come le nucleoporine poste sulla membrana nucleare di ciascuna cellule, altre ancora fungono da proteine impalcatura, cioè proteine che raggruppano in stretta vicinanza altre proteine dalla funzione correlata, fondamentali nella segnalazione e nella comunicazione cellulare. Una caratteristica comune a tutte le proteine poco strutturate è una grande ridondanza di aminoacidi e la bassa presenza di amminoacidi idrofobici.

Certe proteine molto esposte alla degradazione nell'ambiente extracellulare sono stabilizzate da legami disolfuro (S-S) che si formano tra due proteine; questo legame agisce come una vera e propria graffetta sulla proteina, permettendole anche in ambienti ostili di mantenere la sua conformazione. All'interno del citoplasma è difficile riscontrare legami disolfuro a causa dell'ambiente riducente, per cui le cisteine mostrano gruppi (-SH).

L'evoluzione ha fatto inoltre in modo che vi fosse la possibilità di creare complessi proteici ancora più grandi di filamenti, coiled coil, o proteine globulari. Il vantaggio di tali strutture è che siccome sono spesso costituite dalla ripetizione di subunità identiche o simili, occorre poco materiale genetico per sintetizzare grandi complessi proteici, come, ad esempio, i capsidi dei virus. Inoltre l'associazione tra le subunità necessita generalmente di un'energia molto bassa, oppure, in certi casi, le subunità sono autoassemblanti (per esempio il ribosoma batterico). Il capside di molti virus è formato o da un tubo cavo (come nel virus del mosaico del tabacco) oppure assomiglia ad un icosaedro o ad una sfera cava, come per il poliovirus.

Generalmente tali strutture si rivelano sia molto stabili, date le numerose interazioni tra le subunità, sia adattabili, dal momento che per infettare una cellula devono permettere la fuoriuscita dell'acido nucleico, sia RNA o DNA.

Chiralità delle proteine

Tutti gli amminoacidi, ad eccezione della glicina presentano un carbonio legato a quattro sostituenti diversi che è un centro chirale. Tutti gli amminoacidi possono dunque esistere in due conformazioni: L o D, sintetizzandoli artificialmente si ottiene una miscela racema.

Tuttavia tutti gli amminoacidi dei composti biologici si trovano in natura soltanto conformazione L. Amminoacidi in conformazione D si rinvengono in alcune specie batteriche e vengono pure adoperati per la sintesi di farmaci. La gramicidina S, un peptide naturale con funzione antibatterica, nella sua struttura primaria contiene anche alcuni amminoacidi appartenenti alla conformazione D.

Funzioni

Legame

Le proteine svolgono funzione strutturale, immunitaria, trasporto (di ossigeno, minerali, lipidi, di membrana), di identificazione dell'identità genetica, ormonale, enzimatica, contrattile, energetica. Quasi tutte le proteine conosciute interagiscono con altre proteine o con altri tipi di molecole, comunque detti ligandi, tramite i loro siti di legame, ciò sta alla base di gran parte delle interazioni presenti in una cellula. Una proteina di norma possiede un sito di legame che le permette di legarsi con uno o pochi ligandi, per cui la maggior parte delle proteine ha alta specificità. L'entità del legame può essere differente, vi sono proteine che si legano ai propri ligandi in modo molto tenace, altre invece che si legano debolmente e la tipologia di legame influenza la funzione della stessa proteina. Ad esempio, gli anticorpi legano strettamente i propri ligandi (detti antigeni), mentre certi enzimi per questioni di cinetica e per velocizzare le reazioni non legano così strettamente il proprio substrato. La capacità di legame dipende sempre dalla capacità della proteine di stabilire legami non covalenti (legame idrogeno, attrazioni elettrostatiche, attrazioni idrofobiche e forze di van der Waals) con il ligando. Più legami si formano, più il legame con il ligando sarà complessivamente intenso. Il sito di legame di una proteina possiede una forma che è generalmente quasi speculare a quella del ligando che vi deve aderire, ciò ne determina la specificità. Le caratteristiche di ciascun sito di legame sono date dalle catene laterali degli amminoacidi che si affacciano in esso; gli amminoacidi che vi prendono parte sono spesso distanti lungo la catena polipeptidica della proteina. Mutazioni nel sito di legame generalmente determinano malfunzionamento o cessazione dell'attività catalitica o di legame originaria. Non è sorprendente pensare che i siti di legame siano alcuni degli amminoacidi più conservati all'interno di una proteina. I siti di legame sono isolati dall'ambiente acquoso in cui sono immersi dal momento che alcune catene laterali poste in prossimità del sito di legame tendono a respingere le molecole d'acqua; è inoltre sfavorevole per una molecola d'acqua dissociarsi dalla rete di legami idrogeno con cui è interconnessa alle altre molecole d'acqua per reagire con una catena laterale di un amminoacido del sito di legame. Il ligando può essere attratto mediante alcuni espedienti, come il raggruppamento in siti specifici di amminoacidi provvisti di carica, che sono quindi in grado di attrarre più facilmente ligandi di carica opposta e nel contempo di respingere quelli con la stessa carica. Le possibili interfacce tra una proteina e il suo ligando sono molti, tra le più comuni le interazioni superficie (sito di legame)-stringa (ligando), oppure elica-elica (comune nelle proteine regolatrici di geni), o ancora, più comunemente delle altre due, superficie-superficie (quanto avviene in moltissimi enzimi). La forza di legame di una proteina verso il suo ligando all'equilibrio, cioè nello stato in cui le associazioni e le dissociazioni tra la proteina e il ligando sono in egual numero, è misurata tramite la costante di equilibrio.

La velocità di dissociazione è calcolata tramite la formula: velocità associazione = koff[AB] dove [AB] è la concentrazione del complesso proteico in moli e koff è la costante di dissociazione.

La velocità di associazione è calcolata tramite la formula: velocità dissociazione = kon[A] [B], dove [A] e [B] sono le due molecole e kon è la costante di associazione.

Eguagliando le due velocità si ricava la costante di equilibrio (detta anche di affinità) Ka = [AB] / [A][B]

Maggiore è la costante di equilibrio, maggiore sarà la forza di legame, inoltre essa è una misura diretta della differenza di energia libera tra lo stato legato e dissociato della proteina.

Funzione enzimatica

Lo stesso argomento in dettaglio: Enzima.

Gli enzimi formano buona parte delle proteine conosciute e sono spesso proteine globulari. Quasi tutti i nomi degli enzimi terminano in "-asi" per convenzione. Essi non solo si legano ad un ligando, ma catalizzano una reazione, cioè ne abbassano l'energia necessaria, accelerandola notevolmente e formando nuovi prodotti senza modificarsi. Per questo motivo possono catalizzare numerose reazioni e a velocità incredibili, tanto che i più potenti catalizzatori noti sono enzimi. Il ligando di un enzima prende il nome di substrato ed è generalmente molto più piccolo dell'enzima stesso. Il ruolo degli enzimi fa sì che queste proteine siano alla base della vita e del metabolismo di ogni organismo, qualora si associano in vie enzimatiche ordinate.

Gli enzimi sono classificati in:

  • idrolasi, gli enzimi che tagliano un substrato mediante idrolisi, ne fanno parte le proteasi (che tagliano altre proteine) e le nucleasi (che tagliano acidi nucleici, cioè DNA e RNA);
  • sintasi, enzimi che sintetizzano una nuova molecola a partire da due substrati, generalmente per condensazione;
  • isomerasi, enzimi che trasformano un ligando in un suo isomero modificandolo chimicamente a livello dei legami;
  • polimerasi, enzimi che associano varie molecole costituendo un polimero, per esempio un acido nucleico;
  • chinasi, enzimi che aggiungono gruppi fosfato ad alcune molecole;
  • fosfatasi, enzimi che rimuovono gruppi fosfato da alcune molecole;
  • ossidoreduttasi, enzimi che ossidano e riducono alcune molecole, ne fanno parte le ossidasi, le reduttasi e le deidrogenasi;
  • ATPasi, enzimi che idrolizzano ATP liberandone l'energia.

Le proteine nell'alimentazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Fabbisogno proteico.
Alcuni esempi di cibi ricchi di proteine.
Consumo di proteine a livello mondiale nel periodo 2001-2003.

La maggior parte dei microorganismi e delle piante possono sintetizzare tutti e 20 gli amminoacidi standard, mentre gli animali (incluso l'uomo) devono ottenere alcuni di essi con la dieta.[7] Gli amminoacidi che l'organismo non può sintetizzare sono detti amminoacidi essenziali. Alcuni enzimi chiave che sintetizzano alcuni amminaocidi non sono presenti negli animali, tra cui l'aspartato chinasi, che catalizza il primo step nella sintesi di lisina, metionina e treonina a partire da aspartato. Se gli amminoacidi sono presenti nell'ambiente, i microorganismi possono risparmiare energia prelevandoli dall'ambiente circostante e limitando le proprie vie biosintetiche.

Negli animali gli amminoacidi sono ottenuti con il consumo di cibi contenenti proteine. Le proteine ingerite sono suddivise in amminoacidi tramite la digestione, che generalmente prevede la denaturazione delle proteine nell'ambiente acido dello stomaco e l'idrolisi da parte di enzimi detti proteasi. Alcuni amminoacidi ingeriti sono usati nella biosintesi delle proteine, mentre altri sono convertiti in glucosio tramite la gluconeogenesi, o entrano a far parte del ciclo dell'acido citrico. Questo impiego di proteine come fonte energetica è particolarmente importante in condizioni di inedia in quanto permette di impiegare anche le proteine dell'organismo, in particolare quelle presenti a livello muscolare, come substrato per mantenere la vita.[8]

Valori nutrizionali

I due principali indici nutrizionali per gli alimenti che contengono proteine sono:

  • Coefficiente di utilizzazione digestiva (C.U.D.) = (azoto assorbito / azoto introdotto con la dieta)
  • Utilizzazione proteica netta (N.P.U.) = N trattenuto dall'organismo / N introdotto con la dieta. L'indice tiene conto sia dell'efficienza digestiva che del pattern di amminoacidi.
  • Valore biologico (VB): indica la quantità di azoto effettivamente assorbito e utilizzato al netto delle perdite (urinarie, fecali, cutanee ecc.). Per uova e siero di latte è pari al 100%, un perfetto equilibrio tra aminoacidi assorbiti e tra amminoacidi ritenuti.

Cibi particolarmente ricchi di proteine sono carne, pesce, uova, latte e derivati. Altri cibi meno ricchi di proteine sono il lievito di birra e i cereali.

Note

  1. ^ a b vanHolde1996, pp. 1002–42
  2. ^ Dobson CM, The nature and significance of protein folding, in Pain RH (ed.) (a cura di), Mechanisms of Protein Folding, Oxford, Oxfordshire, Oxford University Press, 2000, pp. 1–28, ISBN 0-19-963789-X.
  3. ^ Lodish H, Berk A, Matsudaira P, Kaiser CA, Krieger M, Scott MP, Zipurksy SL, Darnell J, Molecular Cell Biology, 5th, New York, New York, WH Freeman and Company, 2004.
  4. ^ Thomas Bruckdorfer, Oleg Marder, Fernando Albericio, From Production of Peptides in Milligram Amounts for Research to Multi-Tons Quantities for Drugs of the Future, in Current Pharmaceutical Biotechnology, vol. 5, n. 1, 2004, pp. 29–43, DOI:10.2174/1389201043489620. URL consultato il 25 agosto 2013.
  5. ^ Dirk Schwarzer, Philip A Cole, Protein semisynthesis and expressed protein ligation: chasing a protein's tail, in Current Opinion in Chemical Biology, vol. 9, n. 6, 2005, pp. 561–569, DOI:10.1016/j.cbpa.2005.09.018. URL consultato il 25 agosto 2013.
  6. ^ Stephen B. H. Kent, Total chemical synthesis of proteins, in Chemical Society Reviews, vol. 38, n. 2, 2009, p. 338, DOI:10.1039/b700141j. URL consultato il 25 agosto 2013.
  7. ^ Donald Voet, Judith G. Voet; Charlotte W. Pratt, Fundamentals of Biochemistry: Life at the Molecular Level, John Wiley & Sons, 1º aprile 2008, p. 1264, ISBN 978-0-470-23396-2.
  8. ^ JT. Brosnan, Interorgan amino acid transport and its regulation., in J Nutr, vol. 133, 6 Suppl 1, giugno 2003, pp. 2068S-2072S, PMID 12771367.

Bibliografia

  • Christopher K. Mathews, Kensal Edward Van Holde, Biochemistry: Guide, Benjamin-Cummings Publishing Company, 1996, p. 1159, ISBN 978-0-8053-3931-4.

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