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Utente:Wido/Lingua giapponese

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La lingua giapponese (nome nativo 日本語 nihongo) è una lingua isolata parlata in Giappone e in numerose aree di immigrazione giapponese.

Estratto: Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, Art.1

すべての人間は、生まれながらにして自由であり、かつ、尊厳と権利とについて平等である。人間は、理性と良心とを授けられており、互いに同胞の精神をもって行動しなければならない。
Traslitterazione (Hepburn): Subete no ningen wa, umare nagara ni shite jiyū deari, katsu, songen to kenri to ni tsuite hyōdō dearu. Ningen wa, risei to ryōshin to o sazukerarete ori, tagai ni dōhō noseishin o motte kōdō shinakereba naranai.

Classificazione

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Lo stesso argomento in dettaglio: Origini della lingua giapponese.

Dal punto di vista filogenetico il giapponese si considera solitamente una lingua isolata, per l'impossibilità di ricostruire con sicurezza la sua origine. Alcune delle teorie proposte ipotizzano che il giapponese possa avere origini comuni con la lingua Ainu (parlata dalla popolazione indigena Ainu tuttora presente nell'isola di Hokkaidō), con le lingue austronesiane oppure con alcune lingue del gruppo uralo-altaico. Le ultime due ipotesi sono attualmente le più accreditate: molti linguisti concordano nel ritenere che il giapponese sarebbe costituito da un substrato austronesiano a cui si è sovrapposto un apporto di origine uralo-altaica. Evidenti sono le somiglianze sintattiche con il coreano, da cui differisce tuttavia sul piano morfologico e lessicale.

Dal punto di vista tipologico il giapponese presenta molti caratteri propri delle lingue agglutinanti del tipo SOV, con una struttura "tema-commento" (simile a quella del coreano e del cinese). La presenza di alcuni elementi tipici delle lingue flessive ha spinto tuttavia alcuni linguisti a definire il giapponese una lingua "semi-agglutinante".

Distribuzione geografica

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Il giapponese è lingua ufficiale nell'arcipelago giapponese e nell'isola di Angaur (Palau), dove condivide questo status con l'angur e l'inglese. Esistono inoltre numerose comunità di lingua giapponese nelle aree di immigrazione, in Brasile, in Perù e negli Stati Uniti (soprattutto nelle Hawaii e in California). Gli immigrati giapponesi di queste comunità sono chiamati 二世 nisei ("seconda generazione") ed è raro che parlino giapponese correntemente.

L'unità fonologica fondamentale della lingua giapponese è la mora, cioè una combinazione di fonemi pronunciati con un'unica emissione di voce di durata costante.

In giapponese esistono in tutto 25 fonemi, di cui 5 sono vocali e 20 consonanti (alcune delle quali possiedono numerosi allofoni di posizione).

Le consonanti non si presentano mai da sole, ma hanno sempre bisogno di una vocale a cui appoggiarsi (l'unica eccezione è ɴ, che appare sempre isolata).

Si usa dire a questo proposito che il giapponese è una lingua sillabica: l'elemento fondamentale della parola non è infatti la lettera, ma la sillaba. Una sillaba si può comporre soltanto secondo uno dei quattro schemi riportati di seguito:

  • [Vocale] isolata;
  • [ɴ] isolata;
  • [Consonante] + [vocale];
  • [Consonante] + [j] (IPA) + [vocale].

Questo limita notevolmente la possibilità di comporre parole usando i fonemi.

Le sillabe giapponesi vengono abitualmente traslitterate utilizzando 22 delle 26 lettere dell'alfabeto latino (mancano /l/, /q/, /v/ e /x/). I due sistemi di traslitterazione più utilizzati sono lo Hepburn e il Kunrei, descritti nella sezione dedicata alla scrittura.

Le vocali giapponesi sono elencate in tabella, assieme alle loro traslitterazioni più comuni:

IPA a e i o ɯ
Hepburn a e i o u
Kunrei a e i o u

Esse sono classificate a seconda della posizione della lingua e della mandibola come segue:

Anteriori Posteriori Posteriori arrotondate
Chiuse i ɯ
Semichiuse e o
Aperte a

La pronuncia è molto simile a quella delle vocali italiane corrispondenti, con l'eccezione di [ɯ], che si pronuncia come una /u/ non arrotondata. Tutte le vocali possono presentarsi anche allungate ([aː], [eː], [iː], [oː], [ɯː]).

Talvolta la pronuncia di alcune vocali è quasi del tutto soppressa: è il caso di /i/ nella sillaba /shi/ e di /u/ a fine parola. Desu e deshita si leggono perciò come se si scrivessero des e deshta (ossia [des] e [deɕta]).

Le consonanti giapponesi sono elencate in tabella, assieme alle loro traslitterazioni più comuni (gli allofoni sono indicati nella stessa casella):

IPA j b k d g h l, ɾ, ɽ m n, ŋ p s t z, ʣ ɴ ɸ ç, ʨ ɰ ʦ ɕ ʑ, ʥ
Hepburn y b k d g h r m n p s t z n f ch w ts sh j
Kunrei y b k d g h r m n p s t z n h t (ty) w t s (sy) z (zy)

Esse sono classificate secondo il luogo e il modo di articolazione come segue:

Bilabiali Alveolari Retroflesse Alveolo-palatale Palatali Velari Uvulari Glottali
Nasali m n ŋ ɴ
Occlusive p, b t, d k, ɡ
Fricative ɸ s, z ɕ, ʑ ç h
Approssimanti j ɰ
Vibrate ɾ ɽ
Affricate ʦ, ʣ ʨ, ʥ
Approssimanti laterali l

Non tutte queste consonanti hanno un preciso corrispettivo italiano. I suoni più difficili da pronunciare correttamente sono:

  • [h]: è aspirata come la /h/ inglese;
  • [ɾ] e [ɽ]: somigliano alla /r/ italiana, ma sono più dolci e si avvicinano alla /l/, oppure hanno un suono fra la r e la h;
  • [ŋ]: corrisponde alla /n/ di spengo;
  • [z] e [ʣ]: si situano a metà tra la /z/ di zona e la /s/ di smetto;
  • [ɴ]: somiglia alla /n/, ma va pronunciata con la lingua molto ritratta ed ha un suono simile alla /m/, ma meno marcato rispetto a /n/, in pratica devi pronunciare la n con l'ugola, in pratica è una nasale ugolare, tendente verso la m.
  • [ɸ]: si situa a metà tra la /f/ e la /h/ oppure è quasi una f italiana;
  • [ç] e [ʨ]: somigliano alla /c/ di cena, ma sono meno marcate;
  • [ɰ]: è il corrispettivo consonantico di [ɯ] e somiglia alla /u/ di uovo;
  • [ʦ]: corrisponde alla /z/ di stazione;
  • [ɕ]: somiglia al dittongo /sc/ di scena, ma è meno marcata e si avvicina alla /s/ di sera, ma è più aspirata rispetto a /sc/ di scena, oppure ha un suono simile al th inglese ma assai palatilizzato ;
  • [ʑ] e [ʥ]: somigliano alla /g/ di gelo, ma sono meno marcate e si avvicinano alla /z/ di esempio e alla /dz/ di zanzara

Alcune consonanti ([k], [p], [s], [t], [ç], [ʨ], [ʦ] e [ɕ]) possono essere raddoppiate. [m] e [n] possono essere rafforzate da una [ɴ] anteposta, che tende ad assimilarsi.

Lo stesso argomento in dettaglio: Grammatica giapponese.

Dal punto di vista grammaticale, il giapponese viene comunemente classificato fra le lingue agglutinanti: le parole sono costituite da una radice fissa che viene caratterizzata attraverso l'aggiunta di affissi (per lo più suffissi), ciascuno dei quali contiene una sola informazione semantica. Si osservi l'esempio:

  • Watashi: "Io";
  • 私達 Watashi-tachi: "Noi" (達 tachi: suffisso per il plurale);
  • 私達の Watashi-tachi-no: "Nostro" (の no: suffisso per il genitivo).

Talvolta, la radice può cambiare a seconda del suffisso a cui si lega (per esempio, nella coniugazione dei verbi): per questo motivo alcuni linguisti preferiscono la definizione di lingua semi-agglutinante. In ogni caso, la grammatica giapponese presenta molte caratteristiche generalmente associate all'agglutinazione, fra le quali una grande regolarità e una tendenza all'accumulazione dei suffissi. Questo modo di comporre le parole rende arbitraria la loro suddivisione: Watashi-tachi-no si può considerare come un'unica parola (Watashitachino), oppure come un sostantivo seguito da una particella (Watashitachi no), o ancora come una successione di tre elementi (Watashi tachi no). Questa ambiguità si ripercuote sul sistema di scrittura, che non prevede spazi fra le parole.

Secondo la tipologia linguistica il giapponese è una lingua SOV: il soggetto tende ad occupare la prima posizione all'interno della frase, mentre il predicato si trova sempre alla fine. Come avviene in molte altre lingue SOV, in giapponese l'attributo e il complemento di specificazione precedono il sostantivo a cui si riferiscono, mentre gli ausiliari vengono posti dopo il verbo e si usano postposizioni anziché preposizioni.

Un'altra caratteristica tipica del giapponese è l'indefinitezza: tutto ciò che non è necessario alla comprensione del discorso viene solitamente tralasciato. Nell'espressione di un concetto, l'attenzione non è generalmente focalizzata sui dettagli spazio-temporali, bensì sulla compartecipazione emotiva del parlante e dell'ascoltatore. Per questo motivo, la lingua giapponese non è particolarmente adatta alla trattazione scientificam ma consente un'incredibile ricchezza di espressione in ambito narrativo e poetico.

Parti del discorso

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Le parti del discorso giapponese non sono facilmente classificabili secondo i criteri della grammatica italiana. Useremo perciò le definizioni utilizzate dai linguisti giapponesi, che distinguono le parole in due grandi categorie, a seconda che siano coniugabili o meno.

Parti non coniugabili

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I sostantivi giapponesi (名詞 Meishi) non distinguono genere e numero: 先生 Sensei significa contemporaneamente "maestro", "maestra", "maestri" o "maestre". Quando si vuole caratterizzare un nome di persona secondo il genere, si possono far precedere i complementi di specificazione 男の Otoko no ("maschio") e 女の Onna no ("femmina"):

  • Ko: "bambino";
  • 男の子 Otoko no ko: "bambino maschio", "ragazzo";
  • 女の子 Onna no ko: "bambina", "ragazza".

Un ristretto numero di sostantivi ammette anche una forma plurale, che corrisponde più propriamente a un nome collettivo e si ottiene per raddoppiamento o attraverso l'aggiunta di suffissi (come 達 Tachi, 等 Ra e 供 Tomo):

  • Hito: "persona"; 人々 Hito-bito: "persone", "gente" (il segno 々 indica il raddoppiamento; si noti la modifica eufonica *Hito-hito > Hito-bito);
  • Kuruma: "automobile"; 車達 Kuruma-tachi: "automobili".

Alle volte, il suffisso collettivo si è cristallizzato perdendo il significato di plurale (友達 Tomodachi significa tanto "amici" quanto "amico").

I pronomi giapponesi (代名詞 Daimeishi) sono spesso considerati una sottoclasse di sostantivi, perché possono essere specificati da attributi (背の高い彼 Se-no takai kare: "lui, che è alto"; letteralmente "*l'alto lui") e non costituiscono una classe chiusa come in italiano. Questo è evidente soprattutto per i pronomi personali, che presentano numerosissime forme per ciascuna persona, usate a seconda della familiarità e del sesso di chi parla: non sono altro che sostantivi usati in senso pronominale, che sono andati accumulandosi nel corso del tempo. Importante è anche il pronome riflessivo 自分 Jibun "Se stesso", usato indifferentemente per tutte le persone.

Rispettosi Formali Informali Colloquiali
Io Watakushi Watashi Boku (solo maschile), あたし Atashi (solo femminile) Ore (solo maschile)
Tu あなた Anata Kimi (per lo più maschile) お前 Omae (solo maschile)
Egli あの方 Ano kata Kare やつ Yatsu (solo maschile)
Ella 彼女 Kanojo
Noi 私ども Watakushi-domo 私達 Watashi-tachi 僕ら Boku-ra (solo maschile) 俺ら Ore-ra (solo maschile)
Voi あなた達 Anata-ga 君達 Kimi-tachi (oer lo più maschile) お前ら Omae-ra (solo maschile)
Essi 彼ら Kare-ra やつら Yatsu-ra (solo maschile)
Esse 彼女達 Kanojo-tachi

Esistono quattro tipi di avverbi giapponesi:

  • Avverbi verbali: derivano dalla radice di un verbo. Esempio: da 見る Miru ("Vedere") si ottiene 見に Mi-ni ("Allo scopo di vedere").
  • Avverbi aggettivali: derivano dalla radice di un aggettivo. Esempio: da 静かな Shizuka-na ("Tranquillo") si ottiene 静かに Shizuka-ni ("Tranquillamente").
  • Avverbi nominali: sono in effetti sostantivi utilizzati in senso avverbiale. Esempio: 一番 Ichiban ("Il primo" e quindi "Più").
  • Avverbi onomatopeici: imitano un suono o cercano di evocare una sensazione attraverso un suono. Sono molto numerosi e rappresentano un tratto peculiare della lingua giapponese. Esempio: するする Suru-suru ("Leggermente", riferito a qualcosa che scivola).

I primi due tipi sono propriamente forme della coniugazione dei verbi e degli aggettivi, perciò sono descritti più dettagliatamente nella sezione dedicata a queste parti del discorso.

Le particelle giapponesi sono parti del discorso non indipendenti che vengono sempre posposte ai termini a cui si riferiscono. Le loro funzioni sono molto numerose; spesso una stessa particella può servire a più costrutti differenti a seconda della parte del discorso a cui è posposta. Possiamo distinguere quattro categorie generali di particelle:

  • Particelle di caso: determinano il caso del sostantivo a cui si riferiscono. Sono nove: が Ga (nominativo), を O (accusativo), の No (genitivo), に Ni (dativo, locativo e illativo), で De (strumentale e locativo), へ E (allativo), から Kara (ablativo), まで Made (terminativo) e より Yori (ablativo).
  • Particelle enfatiche: focalizzano l'attenzione su particolari elementi della frase. Sono due: は Wa, che indica il tema del discorso, e も Mo, che significa "anche".
  • Particelle logiche: sono utilizzate per congiungere sostantivi o proposizioni. Con i sostantivi si utilizzano principalmente と To ("E" congiuntivo), や Ya ("E" congiuntivo, quando l'enumerazione è incompleta), など (usato per concludere un'enumerazione incompleta: "Eccetera") e か Ka ("O" disgiuntivo). Fra due proposizioni si possono trovare が Ga ("Ma" avversativo), と To (usato per indicare la citazione, oppure in senso temporale: "Quando"), の No (usato per sostantivare i verbi) e から Kara ("Poiché" causale).
  • Particelle finali: poste alla fine del periodo, ne esprimono il tono complessivo. Le più importanti sono か Ka (usato per esprimere un'interrogazione), ね Ne (usato per chiedere conferma all'ascoltatore) e よ Yo (usato per esprimere un'esclamazione).
Numerali e classificatori
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Lo stesso argomento in dettaglio: Sistema di numerazione giapponese.

I numerali giapponesi non compaiono mai isolati (tranne quando si conta: 一 二三 ichi-ni-san, "un due tre") ma sono sempre accompagnati da un suffisso, detto classificatore, che dipende dall'oggetto a cui sono riferiti. "Due libri" non si dice quindi 二の本 Ni-no hon, bensì 二冊の本 Ni-satsu-no hon, perché 冊 Satsu è il classificatore usato per le pubblicazioni. I classificatori sono numerosissimi; i più importanti sono 人 Nin per le persone, 匹 Hiki per i piccoli animali, 頭 per i grandi animali, 度 per le volte, 番 Ban per gli ordinali, 歳 Sai per gli anni d'età, più il classificatore universale つ Tsu, che si usa in mancanza di un classificatore specifico.

In tabella sono riportati i numerali giapponesi con le pronunce preferenziali (per lo più di origine cinese). L'unione con i classificatori dà spesso luogo a modifiche di pronuncia, dovute a ragioni eufoniche (一匹 *Ichi-hiki > Ippiki). Alle volte si utilizzano pronunce convenzionali (一人, 二人 non si leggono *Ichi-nin e *Ni-nin, ma Hito-ri e Futa-ri).

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 ... 20 30 ... 100 200 ... 1000 2000 ... 10000
零/〇 十一 十二 ... 二十 三十 ... 二百 ... 二千 ...
Zero Ichi (Hito-) Ni (Futa-) San Yon (Shi) Go Roku Nana (Shichi) Hachi Kyū Jū-ichi Jū-ni ... Ni-jū San-jū ... Hyaku Ni-hyaku ... Sen Ni-sen ... Man
Altre parti non coniugabili
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Le congiunzioni giapponesi sono equivalenti a quelle italiane. Alcuni esempi: そして Soshite ("e", "poi", "quindi"), また Mata ("di nuovo"), けれども Keredomo ("sebbene", "anche se").

Anche le interiezioni giapponesi corrispondono a quelle italiane. Sono molto numerose e presentano una grande varietà di grafie differenti. Esempi: やった Yatta ("Evviva!"), へえ ("Wow!"), かんぱい Kanpai ("Cin cin!").

Un discorso particolare meritano i dimostrativi (anch'essi simili ai corrispettivi italiani), che si presentano in quattro serie:

  • Serie prossimale (Ko-): indica la vicinanza a chi parla;
  • Serie mesiale (So-): indica la vicinanza a chi ascolta;
  • Serie distale (A-): indica la lontananza da chi parla e da chi ascolta;
  • Serie interrogativa (Do-): è utilizzata nelle domande.

Gli elementi di ciascuna serie sono tutti invariabili e svolgono la funzione di aggettivi, di pronomi e di locuzioni avverbiali (le forme irregolari sono indicate in grassetto):

Serie prossimale Serie mesiale Serie distale Serie interrogativa
これ Kore: "Questo" (pron.) それ Sore: "Codesto" (pron.) あれ Are: "Quello" (pron.) どれ Dore: "Quale?" (pron.)
この Kono: "Questo..." (agg.) その Sono: "Codesto..." (agg.) あの Ano: "Quello..." (agg.) どの Dono: "Quale...?", "Che...?" (agg.)
こんな Konna: "Di questo tipo" そんな Sonna: "Di codesto tipo" あんな Anna: "Di quel tipo" どんな Donna: "Di che tipo?"
ここ Koko: "Qui", "Qua" そこ Soko: "Costì", "Costà" あそこ Asoko: "Lì", "Là" どこ Doko: "Dove?"
こちら Kochira: "Da questa parte" そちら Sochira: "Da codesta parte" あちら Achira: "Da quella parte" どちら Dochira: "Da che parte?"
こう : "In questo modo" そう So: "In codesto modo" ああ Ā: "In quel modo" どう : "In che modo?", "Come?"

Termini coniugabili

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In giapponese possiedono una coniugazione tutte le parole che possono fungere da predicato o attributo (cioè i verbi e gli aggettivi). Le forme coniugate si formano con l'aggiunta di suffissi che permettono di esprimere soltanto alcune categorie semantiche (l'aspetto, il modo e la diatesi), trascurandone quasi completamente altre (la persona e il tempo). I suffissi non si uniscono direttamente alla radice della parola, ma a una delle sei basi tematiche che si ottengono modificando la terminazione della radice (un procedimento che ricorda quello delle lingue flessive, lontano dalla tendenza agglutinante tipica del giapponese). Le basi tematiche sono:

  • Base imperfettiva (未然形 mizenkei): si usa per costruire la forma negativa dei verbi, la forma causativa e la forma passiva.
  • Base continuativa (連用形 ren'yōkei): è la base più produttiva, impiegata con una grande varietà di suffissi; si usa in particolare per costruire la forma negativa degli aggettivi e la forma gentile. In senso assoluto ha valore sospensivo o nominale.
  • Base terminale (終止形 shūshikei): si usa in posizione predicativa (ossia alla fine della frase), e corrisponde alla cosiddetta "forma piana" (基本形 kihonkei) o "forma del dizionario" (辞書形 jishokei).
  • Base attributiva (連体形 rentaikei): come dice il nome, si usa in posizione attributiva (ossia prima dei sostantivi). Nella maggior parte dei casi è identica alla base terminale.
  • Base ipotetica (已然形 izenkei o 仮定形 kateikei): si usa principalmente per costruire la forma condizionale.
  • Base imperativa (命令形 meireikei): si usa per costruire la forma imperativa. In molti casi è identica alla base ipotetica. Gli aggettivi non la possiedono.

Le forme principali forme coniugate sono invece le seguenti:

  • Forma gentile: si usa per rivolgersi a tutti gli interlocutori con cui non esiste una stretta familiarità.
  • Forma passata: corrisponde ai tempi passati della coniugazione italiana, anche se in realtà ha un valore più aspettuale che temporale (indica cioè un'azione conclusa o uno stato concluso).
  • Forma negativa: corrisponde alla costruzione negativa italiana (non + verbo o aggettivo).
  • Forma て te o gerundiva: si usa in molte situazioni diverse; può corrispondere al gerundio italiano.
  • Forma condizionale: si usa nella protasi del periodo ipotetico ed esprime generalmente un'eventualità.
  • Forma provisionale: si usa anch'essa nella protasi del periodo ipotetico ed esprime generalmente una condizione necessaria.
  • Forma volitiva: esprime un intento, un'esortazione o anche un'irrealtà nel futuro.
  • Forma passiva: corrisponde alla diatesi passiva della coniugazione italiana.
  • Forma causativa: corrisponde alla costruzione italiana far + infinito.
  • Forma potenziale: corrisponde alla costruzione italiana poter + infinito.
  • Forma nominale: si usa per creare un sostantivo dalla radice del verbo o dell'aggettivo.
  • Forma avverbiale: si usa per creare un'avverbio non declinabile dalla radice del verbo o dell'aggettivo.

Alcuni suffissi (o "ausiliari") possiedono a loro volta una coniugazione. In particolare, gli ausiliari delle forme gentile, passiva, causativa e potenziale si comportano come verbi, mentre l'ausiliare della forma negativa si comporta come un aggettivo. Risulta quindi possibile comporre tra loro forme differenti, collegando i suffissi l'uno all'altro. Non tutte le combinazioni sono ovviamente possibili, e in ogni caso la disposizione non è arbitraria: prima compaiono i suffissi che determinano la diatesi (forme passiva, causativa e potenziale), poi quello della forma gentile, quello della forma negativa e per finire i suffissi che determinano l'aspetto e che non sono ulteriormente coniugabili (tutte le forme restanti). Diamo un esempio:

  • 食べる taberu: "mangiare";
  • 食べさせる tabe-saseru: "far mangiare" (forma causativa);
  • 食べさせます tabe-sase-masu: "far mangiare" (forma causativa + forma gentile);
  • 食べさせません tabe-sase-mase-n: "non far mangiare" (forma causativa + forma gentile + forma negativa);
  • 食べさせませんでした tabe-sase-mase-n-deshita: "non aver fatto mangiare" (forma causativa + forma gentile + forma negativa + forma passata).

Secondo la morfologia possiamo distinguere quattro coniugazioni principali di verbi giapponesi:

  • Verbi a cinque uscite (五段 godan): formano le diverse basi alternando cinque vocali tematiche;
  • Verbi inferiori a una uscita (下一段 shimo-ichidan): formano le diverse basi usando la sola vocale tematica e;
  • Verbi superiori a una uscita (上一段 kami-ichidan): formano le diverse basi usando la sola vocale tematica i;
  • Verbi irregolari (変格 henkaku): presentano basi irregolari; sono soltanto due: 来る kuru, "venire" e する suru, "fare".

Ciascuna coniugazione è suddivisa in classi (行 gyō), secondo la sillaba finale della base imperfettiva. I verbi shimo-ichidan e kami-ichidan sono facilmente riconoscibili perché la loro forma del dizionario finisce sempre in -eru o in -iru. Esiste però un ristretto numero di verbi che pur avendo questa terminazione rientrano nella coniugazione godan. La seguente tabella riporta un esempio delle basi tematiche per ciascuna coniugazione, evidenziando in grassetto le vocali tematiche (le eventuali forme alternative si usano in composizione con suffissi differenti):

五段
godan
下一段
shimo-ichidan
上一段
kami-ichidan
変格
henkaku
読む yomu
("leggere")
食べる taberu
("mangiare")
起きる okiru
("alzarsi")
来る kuru
("venire")
する suru
("fare")
未然形 mizenkei 読ま yoma
読も yomo
食べ tabe 起き oki ko shi
se
sa
連用形 ren'yōkei 読み yomi
読んyon
食べ tabe 起き oki ki shi
終止形 shūshikei 読む yomu 食べる taberu 起きる okiru 来る kuru する suru
連体形 rentaikei 読む yomu 食べる taberu 起きる okiru 来る kuru する suru
已然形 izenkei 読め yome 食べれ tabere 起きれ kire 来れ kure すれ sure
命令形 meireikei 読め yome 食べろ tabero
食べよ tabeyo
起きろ okiro
起きよ okiyo
来い koi しろ shiro
せよ seyo

La seguente tabella riporta invece le principali forme coniugate degli stessi verbi (Le modifiche di pronuncia sono evidenziate in grassetto):

五段
godan
下一段
shimo-ichidan
上一段
kami-ichidan
変格
henkaku
Modello 読む yomu 食べる taberu 起きる okiru 来る kuru する suru
Forma gentile ren'yōkei (1) + ます masu 読みます yomimasu 食べます tabemasu 起きます okimasu 来ます kimasu します shimasu
Forma passata ren'yōkei (2) + た ta 読んだ yonda 食べた tabeta 起きた okita 来た kita した shita
Forma negativa mizenkei (1) + ない nai 読まない yomanai 食べない tabenai 起きない okinai 来ない konai しない shinai
Forma gerundiva ren'yōkei (2) + て te 読んで yonde 食べて tabete 起きて okite 来て kite して shite
Forma condizionale izenkei + ば ba 読めば yomeba 食べれば tabereba 起きれば okireba 来れば kureba すれば sureba
Forma provisionale ren'yōkei (2) + たら tara 読んだら yondara 食べたら tabetara 起きたら okitara 来たら kitara したら shitara
Forma volitiva mizenkei (2) + う u
mizenkei (1) + よう
読もう yomō
-
-
食べよう tabeyō
-
起きよう okiyō
-
来よう koyō
-
しよう shiyō
Forma passiva mizenkei (1) + れる reru
mizenkei (1) + られる rareru
読まれるyomareru
-
-
食べられる taberareru
-
起きられる okirareru
-
来られる korareru
-
しられる shirareru
Forma causativa mizenkei (1,3) + せる seru
mizenkei (1) + させる saseru
読ませるyomaseru
-
-
食べさせる tabesaseru
-
起きさせる okisaseru
-
来させる kosaseru
させる saseru
-
Forma potenziale izenkei (1) + る ru
mizenkei (1) + られる rareru
読めるyomeru
-
-
食べられる taberareru
-
起きられる okirareru
-
来られる korareru
出来る dekiru
Forma nominale ren'yōkei (1) 読み yomi 食べ tabe 起き oki ki shi
Forma avverbiale ren'yōkei (1) + に ni 読みに yomini 食べに tabeni 起きに okini 来に kini しに shini

Gli aggettivi giapponesi si dividono in due classi:

  • Aggettivi in -i o propri (形容詞 keiyōshi): sono simili a verbi stativi, sia dal punto di vista semantico che morfologico;
  • Aggettivi in -na o impropri (形容動詞 keiyōdōshi): sono simili a sostantivi collegati alla copula だ da.

In entrambi i casi, gli aggettivi possiedono una coniugazione, che segue per lo più le basi e le forme proprie dei verbi (mancano la base imperativa, quasi scomparsa nel giapponese moderno, e le forme passiva, potenziale e causativa). Il nome delle due classi deriva dalla terminazione della base attributiva (連体形 rentaikei), che è sempre い i per gli aggettivi propri e な na per gli aggettivi impropri. L'esempio seguente mostra come si debba intendere la coniugazione dell'aggettivo:

  • 寒い所 Samui tokoro: "Un luogo (che è) freddo";
  • 寒かった所 Samukatta tokoro: "Un luogo che era freddo";
  • 今日は寒い Kyō wa samui: "Oggi è freddo";
  • 昨日は寒かった Kinō wa samukatta: "Ieri era freddo".

In tutti i casi si può immaginare che il verbo "essere" sia incluso nell'aggettivo 寒い samui ("essere freddo"), che si coniuga di conseguenza.

In tabella sono riportate le basi tematiche per le due classi di aggettivi. L'unica irregolarità rispetto a questa coniugazione è costituita dall'aggettivo 良い yoi ("buono") che presenta alla 終止形 shūshikei e alla 連体形 rentaikei la forma alternativa (preferenziale) いい ii.

形容詞
keiyōshi
形容動詞
keiyōdōshi
安い yasui
("economico")
静かな shizuka na
("tranquillo")
未然形 mizenkei 安かろ yasukaro 静かだろ shizuka daro
連用形 ren'yōkei 安く yasuku 静かで shizuka de
終止形 shūshikei 安い yasui 静かだ shizuka da
連体形 rentaikei 安い yasui 静かな shizuka na
已然形 izenkei 安けれ yasukere 静かなら shizuka nara

La seguente tabella riporta invece le principali forme coniugate degli stessi aggettivi (le modifiche di pronuncia sono evidenziate in grassetto):

形容詞
keiyōshi
形容動詞
keiyōdōshi
Modello 安い yasui 静かだ shizuka da
Forma gentile shūshikei + です desu
radice + です desu
安いです yasui desu
-
-
静かです shizuka desu
Forma passata ren'yōkei + あった atta 安かった yasukatta 静かだった shizuka datta
Forma negativa ren'yōkei + (は)ない (wa)nai 安く(は)ない yasuku(wa)nai 静かで(は)ない shizuka de(wa)nai
Forma gerundiva ren'yōkei + て te
ren'yōkei
安くて yasukute
-
-
静かで shizuka de
Forma condizionale izenkei + ば ba
izenkei (+ ば ba)
安ければ yasukereba
-
-
静かなら(ば) shizuka nara(ba)
Forma provisionale ren'yōkei + あったら attara 安かったら yasukattara 静かだったら shizuka dattara
Forma volitiva mizenkei + う u 安かろう yasukarō 静かだろう shizuka darō
Forma nominale radice + さ sa 安さ yasusa 静かさ shizuka sa
Forma avverbiale ren'yōkei
radice + に ni
安く yasuku
-
-
静かに shizuka ni

La struttura della frase giapponese obbedisce al seguente schema generale:

[Tema] + wa + [soggetto] + ga + [complementi + particelle di caso] + [complemento di termine] + ni + [oggetto] + o + [predicato] + [particelle finali]

È consentita una certa elasticità nella successione dei complementi, ma il tema si trova sempre in prima posizione e il verbo sempre alla fine. Inoltre, tutto ciò che ha la funzione di specificare precede rigorosamente l'elemento a cui è riferito (gli attributi e i complementi di specificazione precedono i nomi, gli avverbi precedono i verbi, le proposizioni subordinate precedono la principale). Questi vincoli fanno sì che la disposizione delle parole in un periodo giapponese sia spesso l'opposto di quella italiana:

Tōkyō no Tomodachi ni nagai tegami o kakimasu, Scrivo una lunga lettera a un amico di Tōkyō (lett.: Tōkyō-di-amico-a-lunga-lettera-(oggetto)-scrivo);
Ame ga furu kara demasen, Non esco perché piove (lett.: pioggia-(soggetto)-cade-poiché-non esco)

In giapponese, tutto ciò che è superfluo viene solitamente tralasciato. Il soggetto, per esempio, viene espresso soltanto nei casi in cui la sua mancanza renderebbe il messaggio incomprensibile. Questa caratteristica, unita alla tendenza a mettere in risalto ciò che è secondario, fa sì che l'espressione del pensiero in giapponese risulti generalmente più sfumata e ambigua di quanto non avvenga in italiano.

Modelli di proposizioni

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Frase copulativa: utilizza la copula da (essere).

  • Affermativa: [Soggetto] + wa + [Nome del predicato] + desu.
Watashi wa gakusei desu, Io sono uno studente; Neko wa kuroi desu, Il gatto è nero; Maria wa itariajin desu, Maria è italiana.
  • Negativa: [Soggetto] + wa + [Nome del predicato] + de(wa) arimasen.
Watashi wa sensei dewa arimasen, Io non sono un professore; Neko wa shiroi desu, Il gatto non è bianco; Maria wa nihonjin desu, Maria non è giapponese.
  • Interrogativa: [Soggetto] + wa + [Nome del predicato] + desu ka / de(wa) arimasen ka.
Anata wa gakusei desu ka, Tu sei uno studente?; Neko wa shiroi dewa arimasen ka, Il gatto non è bianco?; Maria wa itariajin desu ka, Maria è italiana?.

Frase esistenziale: utilizza i verbi imasu e arimasu (esserci, esistere), il primo per gli esseri animati, il secondo per quelli inanimati.

  • Affermativa: [Soggetto] + wa / ga + [Nome del predicato] + imasu / arimasu.
Isu ga arimasu, C'è una sedia; Sensei ga imasu, C'è il professore.
  • Negativa: [Soggetto] + wa / ga + [Nome del predicato] + imasen / arimasen.
Isu wa arimasen, Non ci sono sedie; Sensei wa imasen, Non ci sono professori.
  • Interrogativa: [Soggetto] + wa / ga + [Nome del predicato] + imasu ka / arimasu ka / imasen ka / arimasen ka.
Isu wa arimasu ka, Ci sono sedie?; Sensei ga imasen ka, Non c'è il professore?.

Modelli di periodo

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Periodo causale: è costituito da una proposizione principale e da una proposizione subordinata causale.

  • Forma normale: [Subordinata] + (no da) kara / no de + [Principale] + (no desu).
Kōhī ga suki dewa nai kara nomimasen, Non bevo caffè perché non mi piace.
  • Forma invertita: [Principale] + (no desu). [Subordinata] kara desu / no desu.
Kōhī o nomimasen. Suki dewa nai no desu, Non bevo caffè, (il fatto è che) non mi piace.

Sistema di scrittura

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Il sistema di scrittura giapponese si basa sui due kana (hiragana e katakana), alfabeti sillabici creati — secondo la tradizione — intorno al IX secolo dal bonzo Kūkai (Kōbō Daishi), e sui kanji (caratteri di origine cinese), i sinogrammi.

I primi due alfabeti sono composti ciascuno da 45 sillabe (che comprendono le vocali) e da una consonante, la N. Oltre a questi suoni seion, puri, ci sono 20 suoni dakuon o impuri (ottenuti dalla nigorizzazione, ovvero dall’aggiunta di due trattini chiamati nigori a destra dei caratteri, che sonorizza le consonanti), 5 suoni handakuon o semipuri (con un cerchietto, maru, a destra dei caratteri) e 36 suoni yōon o contratti, derivati dalla combinazione di alcuni dei precedenti.

Sillabario Hiragana:

(a) (i) (u) (e) (o)
(ka) (ki) (ku) (ke) (ko)
(ga) (gi) (gu) (ge) (go)
(sa) (shi) (su) (se) (so)
(za) (ji) (zu) (ze) (zo)
(ta) (chi) (tsu) (te) (to)
(da) (ji) (zu) (de) (do)
(na) (ni) (nu) (ne) (no)
(ha) (hi) (fu) (he) (ho)
(ba) (bi) (bu) (be) (bo)
(pa) (pi) (pu) (pe) (po)
(ma) (mi) (mu) (me) (mo)
(ya) (yu) (yo)
(ra) (ri) (ru) (re) (ro)
(wa) (wo)
(n)

Lo hiragana è impiegato specialmente per i prefissi, i suffissi, le particelle (o posposizioni) — parti grammaticali giapponesi che non si rappresentano con i kanji. Viene usato inoltre per trascrivere la pronuncia dei kanji (prendendo il nome di furigana), sia per motivi didattici (nel caso di kanji rari) sia per scrivere sul computer (ogni ideogramma è scritto inizialmente come sequenza di segni hiragana e poi sostituito da uno dei kanji che hanno quella pronuncia).

Sillabario Katakana:

(a) (i) (u) (e) (o)
(ka) (ki) (ku) (ke) (ko)
(ga) (gi) (gu) (ge) (go)
(sa) (shi) (su) (se) (so)
(za) (ji) (zu) (ze) (zo)
(ta) (chi) (tsu) (te) (to)
(da) (ji) (zu) (de) (do)
(na) (ni) (nu) (ne) (no)
(ha) (hi) (fu) (he) (ho)
(ba) (bi) (bu) (be) (bo)
(pa) (pi) (pu) (pe) (po)
(ma) (mi) (mu) (me) (mo)
(ya) (yu) (yo)
(ra) (ri) (ru) (re) (ro)
(wa) (wo)
(n)

Il katakana, in alcuni casi simile allo hiragana, ma più rigido e squadrato, è attualmente impiegato soprattutto per trascrivere le parole di origine straniera (adattate naturalmente alla fonotassi giapponese: non tutti i suoni stranieri sono infatti presenti nell'alfabeto katakana, per esempio a causa del rotacismo). Inoltre può essere usato quando si vuol dare una maggior enfasi a determinati termini giapponesi all'interno di un testo. Fra i giovani è sempre più diffuso l'uso dei katakana per scrivere sostantivi giapponesi dai kanji troppo difficili o antiquati. Vengono infine usati per la scrittura delle voci onomatopeiche.

I kanji (lett. "Segni della Cina" da "Kan" = "Cina") sono propriamente caratteri di origine cinese. Sono migliaia, ma quelli considerati "principali" (jōyō kanji) sono 1945. Essi sono formati da uno dei 214 radicali, che può trovarsi a sinistra, sopra, intorno, …, e da altri elementi riconducibili ad altri kanji. I radicali a loro volta sono dei kanji a sé che solitamente non hanno molti tratti. Perché è importante riconoscere i radicali? Perché aiutano nella comprensione dei kanji. Infatti questi hanno un significato preciso (e varie pronunce — di solito da una a tre — a seconda della loro posizione nelle parole. Adottando gli ideogrammi cinesi, i giapponesi hanno importato anche la loro pronuncia — detta on —, modificata secondo la propria fonetica, specialmente per le parole composte, data la brevità di tali pronunce — la lingua cinese scritta di epoca classica era di fatto quasi totalmente monosillabica). Esempio: la parola 休み (yasumi) significa "vacanza, riposo"; e il kanji (il secondo è la sillaba mi in hiragana) è composto dal radicale di "uomo" e da "albero". Si forma pertanto l’immagine di un uomo sotto un albero… che riposa.

Traslitterazione o rōmaji

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Il rōmaji (lett. "Segni di Roma") è il sistema di traslitterazione dal giapponese ai caratteri latini. Ci sono più tipologie di rōmaji: i più usati sono il sistema Hepburn e il sistema Kunrei. Qui viene usato il sistema Hepburn, che si differenzia dal Kunrei solo per qualche sillaba e per la scrittura dei suoni contratti. Il primo si avvicina di più alla pronuncia; il secondo è più schematico (dove lo Hepburn scrive ta, chi, tsu, te, to, il Kunrei scrive ta, ti, tu, te, to). Attenzione: i giapponesi non usano mai il rōmaji per scrivere (anche se da tempo si è diffuso il modo di scrivere orizzontale sinistra-destra, alto-basso, occidentale, al posto del "classico" — e naturalmente tuttora impiegato — sistema di scrittura verticale alto-basso, destra-sinistra). Il rōmaji è comunque insegnato nelle scuole perché attraverso la sillabazione in caratteri romani si possono scrivere i testi in giapponese su apparecchi elettronici (computer, telefonia, ecc.)

Convenzioni ortografiche

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Solo 3 particelle hanno una pronuncia irregolare: は (ha) che si pronuncia wa, を (wo) che si pronuncia o e へ (he) che si pronuncia e. Queste letture irregolari si applicano solo quando il fonema è usato come particella. Nel caso di は ci sono anche altre poche eccezioni dovute a rimanenze arcaiche della particella d'argomento in parole ormai indipendenti, per esempio ではありません (dewa arimasen, traduzione: non è) o こんにちは (konnichiwa, buongiorno). La sillaba を è esclusivamente particella e non compare in nessuna altra parola giapponese.

Scrivere senza spazi

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Gli spazi nella lingua giapponese sono una introduzione piuttosto recente ad uso dei bambini e di coloro che devono apprendere la lingua iniziando dagli alfabeti sillabici. A volte la divisione fra parola e parole si basa su metodi meramente convenzionali (alcuni legano le post-particelle ai nomi che li precedono, altri no, stesso discorso per la desinenza -masu dei verbi nella forma di cortesia). In realtà l'alternanza di kanji e hiragana fa sì che ci sia un'alternanza delle parti del discorso pienamente distinguibile. Dopo ogni sostantivo (scritto in kanji) segue una particella in hiragana; anche verbi e aggettivi hanno una prima parte in kanji e una desinenza in hiragana. Conoscendo questa struttura diventa semplice delimitare una parola dall'altra.

Altre particolarità della lingua giapponese

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  • Grande quantità di omofoni;
  • Gran numero di voci onomatopeiche;
  • Uso dei classificatori (derivati dal cinese), unità di misura che cambiano a seconda dell’oggetto della conta;
  • Numero enorme di forestierismi, la maggior parte derivati dal cinese, più recentemente dall'inglese americano;
  • Grande ricchezza e varietà di parole con sfumature di significato diverse (dovuto appunto all'importazione massiccia di parole anche da altre lingue straniere)
  • Sostantivi, verbi e aggettivi non distinguono tra genere, numero e persona;
  • Confine sfumato tra verbi e aggettivi;
  • Suddivisione delle voci verbali per basi;
  • Coniugazione positiva e negativa di tutte le forme verbali e aggettivali.
  • Divisione della lingua in livelli di cortesia, specialmente per i verbi, e di conseguenza gran numero di suffissi e di prefissi di genere onorifico;
  • Indicatore del tema o argomento della frase;
  • Soggetto quasi sempre sottinteso.
  • Brevità delle frasi comuni;

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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Kubota Yoko (1989). Grammatica di giapponese moderno. Libreria Editrice Cafoscarina. ISBN 88-85613-26-8.
Mariko Saito (2001). Corso di lingua giapponese per italiani 1. Bulzoni. ISBN 8883193873.
Mariko Saito (2003). Corso di lingua giapponese per italiani 2. Bulzoni. ISBN 8883198530.
Makino Seiichi, Tsutsui Michio (1991). A dictionary of basic japanese grammar. Japan Publications Trading Co. ISBN 4789004546.
Makino Seiichi, Tsutsui Michio (1995). A dictionary of intermediate japanese grammar. Japan Publications Trading Co. ISBN 4789007758.
Andrew Nelson, a cura di John Haig (1996). The New Nelson Japanese-English Character Dictionary. Tuttle Publishing. ISBN 0804820368.
Mark Spahn, Wolfgang Hadamitzky (1996). The Kanji Dictionary. Tuttle Publishing. ISBN 0804820589.
(1999). Dizionario Shogakukan Italiano-Giapponese. Shogakukan. ISBN 4095154020.
(1994). Dizionario Shogakukan Giapponese-Italiano. Shogakukan. ISBN 4095154519.

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