Carmina (Catullo)/01
Cui dono lepidum novum libellum (dal latino: "A chi posso donare un libretto nuovo ed elegante") è l'incipit del primo dei Carmina di Catullo, il proemio della raccolta, contenente la dedica a Cornelio Nepote e l'invocazione alla Musa ispiratrice.
Testo
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Cui dono lepidum novum libellum[1] |
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A chi posso regalare il libretto nuovo e raffinato |
(Fonte: → Wikisource
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Note al testo
- ↑ "Libellum" è una forma veggezzativa per "liber". Già nel primo verso della sua raccolta Catullo la definisce frivola, senza valore.
- ↑ La pietra pomice veniva usata per lisciare il bordo del rotolo di papiro.
- ↑ Cornelio Nepote, a cui Catullo dedica il liber.
- ↑ Il poeta si riferisce ai "Chronica" di Nepote, un'opera storiografia completamente perduta. Inoltre è presente grecismo "carta", al posto del comune volumen, indice di un lessico ricercato e raffinato.
- ↑ La Musa, fonte di ispirazione dei poeti, definita "patrona" perché il poeta, traendone ispirazione, ne è servo.
- ↑ Forma sincopata per "saeculum", indicante il tempo di una generazione.
Analisi stilistica
[modifica | modifica sorgente]La poesia appartiene alla prima parte della raccolta catulliana, le nugae, poesie di argomento vario:
- La metrica della poesia: Endecasillabi faleci.
- Le figure foniche della poesia: alliterazione ("m" nel verso 1, "m" ed "s" nel verso 5), anfibologia ("lepidum" e "novum" nel verso 1, "expolitum" nel verso 2, "explicare" nel verso 6).
- Le figure retoriche della poesia: omoteleuto al verso 1, "lepidum novum libellum", anastrofe (nei versi 2, 4, 6).
- Riferimenti letterari: l'invocazione alle Muse nel proemio della propria opera è ripresa dall'antica tradizione greca ed è una costante nella storia della letteratura.
Analisi e sintesi
[modifica | modifica sorgente]Nei primi due versi Catullo si chiede a chi debba dedicare la sua nuova "piacevole" raccolta, il "libellus", che ha appena finito di levigare con la pietra pomice. Questi primi versi possono essere soggetti ad una duplice interpretazione, (da qui l'anfibologia). Se si prende in considerazione il "libellus" come oggetto materiale, bisogna sapere che ai tempi di Catullo si scriveva su papiri ruvidi, successivamente resi lisci con la pietra pomice e poi arrotolati intorno a bacchette di legno o avorio. Se si intende invece il "libellus" quale raccolta di componimenti, gli aggettivi "novum" o "lepidum" insieme con il verbo "expolitum" (levigato) sono da riferirsi allo stile nuovo e grazioso dei poetae novi, uno stile che richiede un grande lavoro di "levigatura" e sintesi. Decide di dedicare il "libellus" a Cornelio Nepote, storiografo del I secolo a.C., conterraneo di Catullo e probabilmente suo grande amico, che considerava le "nugae" (inezie) di Catullo come qualcosa di importante. Nel sesto e settimo verso elogia la sua opera, i Chronica, a noi completamente non pervenuta, che mirava a raccontare tutta la storia in tre libri definiti dal poeta "eruditi e faticosi". Anche in questi versi, dove non manca una sottile ed affettuosa ironia, è visibile il nuovo ideale di poesia dei neoteroi: l'opera di Cornelio è apprezzata da Catullo perché breve, dotta e laboriosa. È comunque più verosimile pensare che l'autore dedichi a Cornelio solamente una parte dei componimenti a noi pervenuti e non l'intero "Liber" (che comprende 2300 versi, compresi alcuni carmina più complessi e quindi non propriamente definibili come nugae, inezie). Per tutto il componimento il poeta sostiene ironicamente che le sue poesie siano di poco conto, una falsa modestia che alla fine sparisce. Invocando solennemente la "vergine protettrice", ovvero la Musa, si augura che la sua raccolta si mantenga per almeno più di una generazione.
Il tema
[modifica | modifica sorgente]I temi sono la concezione della poesia per Catullo, vista come inezia, componimento di scarso valore e l'elogio a Cornelio Nepote e alla sua attività storiografica.
Il messaggio
[modifica | modifica sorgente]Lo stile leggiadro e graziato del componimento anticipa ciò che sarà la raccolta di Catullo: un insieme di poesie scritte per diletto, apparentemente di "poco valore" rispetto alle opere politiche e filosofiche del tempo (I secolo a.C.). Scrivendo questa raccolta, il poeta vuole far comprendere ai lettori che la poesia non è uno "strumento" didascalico (come nel De rerum natura di Lucrezio) o narrativo (come nel Bellum Poenicum di Nevio), ma una forma d'arte a sé stante, per questo definita dallo stesso poeta come cosa di poco conto. Eppure, con l'allusione alla "levigatura con la pietra pomice" nel secondo verso, Catullo contraddice la sua apparente concezione della poesia: era definito insieme ad altri letterati "poeta novus", poeta nuovo, in senso dispregiativo, perché le loro poesie frivole e amoreggianti erano viste contrarie ai grandi costumi dei Romani, antico popolo di guerrieri diventato potenza suprema militare e politica nonché polo culturale del mondo antico. Perciò anche se in apparenza Catullo sminuisce la sua opera, trovandosi d'accordo con i suoi accusatori, questa non è altro che falsa modestia perché dietro questa cosiddetta operetta si cela un grande lavoro, come dimostrano il linguaggio aulico ricco di grecismi, le forme metriche elevate e gli argomenti ripresi dalla cultura alessandrina.