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Kurt Vonnegut

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Kurt Vonnegut nel 1972

Kurt Vonnegut, Jr. (1922 – 2007), scrittore statunitense.

Citazioni di Kurt Vonnegut

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  • La gente non viene in chiesa per la predica, naturalmente, ma per sognare ad occhi aperti Dio.
People don't come to church for preachments, of course, but to daydream about God.[1]
  • Le comunità virtuali non costruiscono nulla. Non ti resta niente in mano. Gli uomini sono animali fatti per danzare. Quant'è bello alzarsi, uscire di casa e fare qualcosa. Siamo qui sulla Terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti.[2]
  • «Mio zio Alex Vonnegut, un assicuratore che aveva studiato ad Harvard e che abitava al 5033 di North Pennsylvania Street, mi insegnò una cosa molto importante. Disse che quando le cose vanno davvero bene dovremmo fare in modo di accorgercene.
    «Non parlava di grandi trionfi bensì di semplici epifanie: bere una limonata all'ombra in un pomeriggio afoso, sentire il profumo di una panetteria vicina, pescare e fregarsene se si pesca qualcosa o no, ascoltare qualcuno che suona bene il piano nell'appartamento accanto al nostro.
    «Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: "Se non è bello questo, cosa mai lo è?"»[3]
  • Neppure il Creatore dell'Universo conosceva quello che l'Uomo stava per dire. Forse l'Uomo era un Universo migliore allo stadio giovanile.»[4]
  • Noi facciamo ciò che dobbiamo, | ciò che dobbiamo, confusamente dobbiamo, | confusamente facciamo, confusamente dobbiamo, | finché scoppiamo, fisicamente scoppiamo, fisicamente scoppiamo.[5]
  • Ora, voi giovinastri volete un nome nuovo per la vostra generazione? O forse no, volete solo trovarvi un lavoro, giusto? Be', i media ci fanno un grandissimo favore a chiamarvi Generazione X, vero o no? Giusto a due lettere dalla fine dell'alfabeto. E dunque io ora vi battezzo Generazione A e vi dichiaro all'inizio di una serie di trionfi e fallimenti spettacolari, allo stesso modo di Adamo ed Eva tanti anni fa.[6]
  • Per piacere... un po' meno d'amore, e un po' più di civiltà.[7]
  • 1. Riducete e stabilizzate la popolazione.
    2. Smettete di avvelenare l'aria, l'acqua e il terreno.
    3. Smettete di prepararvi alla guerra e datevi da fare coi vostri veri problemi.
    4. Insegnate ai vostri figli e anche a voi stessi, finché ci siete, come abitare un piccolo pianeta senza collaborare a ucciderlo.
    5. Smettete di pensare che la scienza possa aggiustare tutto se le date 3 miliardi di dollari.
    6. Smettete di pensare che i vostri nipoti saranno OK, per quanto spreconi possiate essere voi, perché potranno andare su un bel pianeta nuovo con una nave spaziale. Questo è veramente stupido e meschino.[8]
  • Se vuoi davvero infastidire i tuoi genitori e non sei tanto audace da essere omosessuale, il minimo che puoi fare è darti all'arte. Ricordati di non usare mai i punti e virgola, però: sono ermafroditi travestiti, che non stanno a significare assolutamente nulla. Tutto ciò che fanno è mostrare che sei stato all'università.[9]
  • Storia: Tutti su Marte vengono dalla Terra. Credevano che su Marte sarebbero stati meglio. Nessuno riesce a ricordare cosa ci fosse di tanto brutto sulla Terra. [...] Psicologia: Il grosso guaio di questi stupidi bastardi è che sono troppo stupidi per credere che esista una cosa come l'intelligenza.[10]
  • Troppo lavoro e niente svago [...] rende tonti.[11]

Attribuite

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  • Sii cauto nell'accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
    Ma accetta il consiglio... per questa volta.
[Citazione errata] Questa è l'ultima parte del monologo finale del film The Big Kahuna (2000). Il brano è anche conosciuto come Wear sunscreen ed è apparso per la prima volta sul web nel giugno 1997 sotto forma di catena di Sant'Antonio: il testo veniva indicato come un discorso ai laureati del Mit (Massachusetts Institute of Technology) pronunciato da Kurt Vonnegut. Lo stesso Vonnegut tuttavia affermò di non essere mai stato al Mit e di non aver mai pronunciato tale discorso. Il vero autore del testo, infatti, è Mary Schmich, una giornalista del Chicago Tribune che il 1º giugno 1997 pubblicò questo articolo (Advice, like youth, probably just wasted on the young) come una sorta di "Guida alla vita per i neolaureati". Baz Luhrmann nel 1998 realizzò un singolo musicale partendo da questo testo, Everybody's free to wear sunscreen. Dopo aver visto il film Linus, nel 2002, rimase colpito dal monologo finale e decise di realizzarne una versione in italiano, Accetta il consiglio, utilizzando il testo italiano dei sottotitoli del film e lo stesso sottofondo musicale. Tale brano viene recitato da Giorgio Lopez, il quale aveva doppiato Danny DeVito in molti film ma non in The Big Kahuna.[12]

Ghiaccio-nove

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Chiamatemi Jonah. I miei genitori mi chiamavano più o meno così. Mi chiamavano John.
Jonah o John... se anche mi fossi chiamato Sam, sarei rimasto un Jonah – e non perché fossi un menagramo, ma perché c'era sempre qualcosa o qualcuno che mi scaraventava puntualmente in determinati posti, in determinati momenti. Non senza i debiti mezzi e motivi, convenzionali o strambi che fossero. E, nel pieno rispetto del piano, allo scoccare del secondo stabilito, questo Jonah era lì, nel posto stabilito.
State a sentire:
Quando ero più giovane – due mogli or sono, più 250.000 sigarette e 50.000 cicchetti...
Quando ero molto, ma molto più giovane, incominciai a raccogliere il materiale per un libro che doveva intitolarsi Il giorno in cui il mondo finì.

Citazioni

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  • Niente è vero, in questo libro.
  • Alla tigre tocca cacciare
    All'uccello tocca volare
    All'uomo tocca chiedersi: "Perché? Perché? Perché?".
    Alla tigre tocca dormire
    All'uccello tocca posarsi
    E all'uomo raccontarsi
    Che è ancora in grado di capire.
  • Questo è un laboratorio di ri-cerca. Ri-cercare vuol dire cercare di nuovo? Vuol dire che stanno cercando qualcosa che avevano trovato una volta e che poi è scappata, in un modo o in un altro, e adesso devono ri-cercarla? Perché dovevano costruire un palazzo come questo [...] e riempirlo di tutti questi matti? Cos'è che cercano di trovare di nuovo? E chi l'ha perduto?
  • La gente non fa che suggerire delle cose, lo fa in continuazione, ma non è nella natura del ricercatore puro prendere in considerazione i suggerimenti. La testa del ricercatore è piena di progetto assolutamente personali, ed è proprio questo che vogliamo. (cap. 19)
  • A volte mi chiedo se non fosse nato morto. Non ho mai conosciuto un uomo meno interessato alla vita di lui. A volte penso che sia proprio questo il problema del mondo: troppa gente, in alto loco, che è morta stecchita. (cap. 33)
  • Allora, quando fu irrimediabilmente chiaro che nessuna riforma governativa o economica avrebbe reso il popolo meno miserabile, la religione divenne l'unico vero strumento di speranza. La verità era nemica del popolo, perché la verità era orribile, pertanto Bokonon si dedicò a fornire al popolo bugie migliori. [...] Man mano che cresceva la leggenda vivente del crudele tiranno e del mite santone nella giungla, cresceva di pari passo la felicità della popolazione. (capp. 78-79)
  • Se allora fossi stato bokononista, riflettendo sul miracoloso intrico della catena di avvenimenti che aveva portato i soldi della dinamite a quella particolare ditta di marmisti, avrei sussurrato: "laborioso, laborioso, laborioso".
    Laborioso, laborioso, laborioso è ciò che sussurriamo noi bokononisti ogni volta che pensiamo a quanto è complicato e imprevedibile, in realtà, il meccanismo della vita.
    Ma allora, da cristiano, tutto quello che riuscii a dire fu: "La vita è proprio buffa certe volte."
    "E certe volte no" disse Marvin Breed.
  • La stanza parve inclinarsi, le pareti, il soffitto e il pavimento si trasformarono momentaneamente nelle aperture di molti tunnel – tunnel che portavano in tutte le direzioni attraverso il tempo. Ebbi una visione bokononista dell'unità di ogni secondo di tutto il tempo e di tutta l'umanità errante, di tutti gli uomini, tutte le donne e tutti i bambini che vagavano all'infinito.
  • Forse, quando commemoriamo la guerra, dovremmo toglierci i vestiti e dipingerci di blu e camminare per tutto il giorno a quattro zampe grufolando come maiali. Questo sarebbe indubbiamente più appropriato di qualsiasi nobile discorso e sventolio di bandiere e presentat'arm con fucili ben oliati.

Se fossi più giovane, scriverei una storia della stupidità umana, e scalerei la vetta del Monte McCabe e mi sdraierei sulla schiena con la mia storia per cuscino; e raccoglierei da terra un po' di quel veleno biancoazzurro che trasforma gli uomini in statue; e trasformerei in una statua anche me stesso, sdraiato sul dorso, con un ghigno orrendo, e il pollice sul naso a fare maramao a Tu Sai Chi.

Madre notte

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  • Dite quel che volete del sublime miracolo di una fede senza dubbi, ma io continuerò a ritenerla una cosa assolutamente spaventosa e vile.
  • Mi sentii agghiacciare. Non era un senso di colpa che mi agghiacciava. Avevo imparato a non sentirmi mai colpevole. Non era la spaventosa sensazione di sentirmi ormai inevitabilmente perduto che mi agghiacciava. Avevo imparato a non far tesoro di nulla. Non era l'odio per la morte che mi agghiacciava. Avevo imparato a considerare la morte come un'amica. Non era una rabbia sconsolata che mi agghiacciava. Avevo imparato che un uomo farebbe meglio a cercare di tirare tempestate di diamanti in un tombino, piuttosto che aspettarsi giusti castighi e ricompense. Non era il pensiero di essere così poco amato che mi agghiacciava. Avevo imparato a vivere senza amore. Non era la crudeltà di Dio che mi agghiacciava. Avevo imparato a non aspettarmi mai nulla da Dio. Quel che mi agghiacciava era il fatto di non avere assolutamente alcun motivo per muovermi in una direzione piuttosto che in un'altra. Era stata la curiosità a farmi procedere per tutti quegli anni morti e senza scopo. Adesso era morta e sepolta anche quella.
  • Noi siamo ciò che facciamo finta di essere, e dovremmo porre più attenzione in ciò che facciamo finta di essere.

Mattatoio n. 5

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Luigi Brioschi, 1970

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È tutto accaduto, più o meno. I brani di guerra, in ogni caso, sono abbastanza veri. Un tale che conoscevo fu "veramente ucciso", a Dresda, per aver preso una teiera che non era sua. Un altro che conoscevo minacciò "veramente" di fare ammazzare i suoi nemici personali, dopo la guerra, da dei killer. E così via. Ho cambiato tutti i nomi.
Io tornai "veramente" a Dresda con i soldi della Fondazione Guggenheim (Dio la benedica) nel 1967. Somigliava molto a Dayton, nell'Ohio, ma c'erano più spazi vuoti che a Dayton. Nel terreno dovevano esserci tonnellate d'ossa umane.[13]

Luigi Brioschi, 2017

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È tutto accaduto, più o meno. Le parti sulla guerra, in ogni caso, sono abbastanza vere. Un tale che conoscevo fu veramente ucciso, a Dresda, per aver preso una teiera che non era sua. Un altro tizio che conoscevo minacciò veramente di far uccidere i suoi nemici personali, dopo la guerra, da killer prezzolati. E così via. Ho cambiato tutti i nomi.
Io ci tornai veramente a Dresda, con i soldi della Fondazione Guggenheim (Dio la benedica), nel 1967. Somigliava molto a Dayton, nell'Ohio, ma c'erano più aree deserte che a Dayton. Nel terreno dovevano esserci tonnellate di ossa umane.

Citazioni

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  • Così va la vita. (ricorrente, cap. 1)
  • Non vi dirò quanto mi è costato, in soldi, tempo e ansietà, questo schifoso libretto. Ventitré anni fa, quando tornai dalla Seconda guerra mondiale, pensavo che mi sarebbe stato facile scrivere della distruzione di Dresda, dato che non avrei dovuto fare altro che riferire ciò che avevo visto. E pensavo anche che sarebbe stato un capolavoro o per lo meno che mi avrebbe fatto guadagnare un mucchio di quattrini, dato che il tema era così forte.
    Ma allora non mi venivano molte parole da dire su Dresda, o almeno non abbastanza da cavarne un libro. E non me ne vengono molte neanche ora, ora che sono diventato un vecchio rudere con i suoi ricordi e le sue Pall Mall e i figli grandi. (cap. 1)
  • Penso a quanto mi siano stati inutili i miei ricordi di Dresda, e a quanto sono stato comunque tentato di scriverne, e mi viene in mente il famoso "limerick":
    C'era un giovin d'Istanbul, | che al suo attrezzo parlò: | "La borsa m'hai vuotato, | la salute hai rovinato, | e adesso, mio dannato, | non funzioni neanche un po'".
    E mi viene in mente anche quella canzone che fa: Mi chiamo Yon Yonson, | e sto nel Wisconsin, | a sgobbare in segheria. | Quando cammino per la via | la gente mi chiede: "Come ti chiami?". | E allora rispondo: | "Mi chiamo Yon Yonson, | e sto nel Wisconsin...".
    E così via, all'infinito. (cap. 1)
  • "Sa cosa rispondo quando uno mi dice che sta scrivendo un libro contro la guerra?"
    "No. Cosa dice, Harrison Starr?"
    "Dico: perché non scrive un libro contro i ghiacciai, allora?"
    Quello che voleva dire, naturalmente, era che ci saranno sempre guerre, che impedire una guerra è facile come fermare un ghiacciaio. E lo credo anch'io.
    E poi, anche se le guerre non fossero come i ghiacciai, ci sarebbe sempre la morte, la morte pura e semplice. (cap. 1)
  • E io m'interrogai sul presente: quanto fosse vasto, quanto fosse profondo, quanto fosse mio. (cap. 1)
  • [...] perché non c'è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli.
    E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c'è da dire su un massacro, cose come "Puu-tii-uiit?". (cap. 1)
  • Billy è andato a dormire che era un vedovo rimbambito e si è svegliato il giorno delle sue nozze. Ha varcato una soglia nel 1955 ed è uscito da un'altra nel 1941. È tornato indietro da quella porta e si è trovato nel 1963. Ha visto molte volte la propria nascita e la propria morte, dice, e rivive di tanto in tanto tutti i fatti accaduti nel frattempo. (cap. 2)
  • Vista a rovescio da Billy, la storia era questa:
    Gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di cadaveri decollavano all'indietro da un campo d'aviazione in Inghilterra. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero, sempre volando all'indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri americani distrutti, che erano a terra e poi decollarono all'indietro, per unirsi alla formazione.
    Lo stormo, volando all'indietro, sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe, esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse in recipienti cilindrici d'acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, là sotto, avevano degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi di acciaio. Li usavano per succhiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c'erano ancora degli americani feriti, e qualche bombardiere era gravemente danneggiato. Sopra la Francia, però, i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi e rimisero tutti e tutto a nuovo.
    Quando i bombardieri tornarono alla base, i cilindri d'acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c'erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellarli, a separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto donne a fare questo lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. Là dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non potessero mai più fare male a nessuno. (cap. 4)
  • Il nono giorno il vagabondo morì. Così va la vita. Le sue ultime parole furono: "Va così male, secondo te? No, non va poi così male". (cap. 4)
  • Sotto l'effetto della morfina, Billy sognò delle giraffe in un giardino. Le giraffe percorrevano dei vialetti coperti di ghiaia e ogni tanto si fermavano per addentare delle pere zuccherate in cima agli alberi. Anche Billy era una giraffa. Mangiò una pera. Era dura. Resisteva ai suoi denti sgranocchianti, e si aprì di colpo in una protesta sugosa.
    Le giraffe accettavano Billy come una di loro, come una creatura inoffensiva dotata della loro stessa assurda struttura. Due di esse gli si avvicinarono da opposte direzioni e si appoggiarono contro di lui. Avevano un labbro superiore lungo e muscoloso al quale potevano dare la forma di una campana. Con queste labbra lo baciarono. Erano femmine, color panna e giallo limone. Avevano delle corna che sembravano i pomelli di una porta. Questi pomelli erano coperti di velluto.
    Perché? (cap. 5)
  • Un giorno Rosewater disse a Billy una cosa interessante su un libro che non era di fantascienza. Disse che tutto quello che c'era da sapere sulla vita si poteva trovare nei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. "Ma non basta più" disse Rosewater. (cap. 5)
  • "Sa," disse, "noi. qui, la guerra abbiamo dovuto immaginarcela, e ci siamo immaginati che a farla fossero degli anziani come noi. Avevamo dimenticato che a fare la guerra sono i ragazzini. Quando ho visto quelle facce appena rasate, è stato uno choc. 'Dio mio, Dio mio', mi sono detto, 'questa è la Crociata dei Bambini'." (cap. 5)
  • La creatura venuta dallo spazio aveva studiato a fondo il cristianesimo per capire, se possibile, perché per i cristiani fosse tanto facile essere crudeli. Era arrivata alla conclusione che il guaio derivava almeno in parte dal modo trasandato in cui era scritto il Nuovo Testamento. Secondo lui, l'intento dei Vangeli era insegnare alla gente, fra le altre cose, a essere misericordiosi, anche verso i più umili.
    Ma i Vangeli, in realtà, insegnavano questo:
    Prima di uccidere qualcuno, accertatevi bene che non abbia relazioni importanti. Così va la vita. (cap. 5)
  • La magagna nelle storie di Cristo, diceva la creatura venuta dallo spazio, era che Cristo, malgrado le apparenze, era Il Figlio dell'Essere Più Potente dell'Universo. I lettori lo capivano e così, quando arrivavano alla crocifissione, naturalmente pensavano (e qui Rosewater rilesse ad alta voce):
    Oh, accidenti... Hanno scelto proprio la persona sbagliata per il loro linciaggio, quella volta!
    E questa idea aveva una sorella: "Ci sono delle persone giuste da linciare". Chi? Quelle che non hanno relazioni importanti. Così va la vita. (cap. 5)
  • Tutto era bello e nulla stonava. (epitaffio, cap. 5)
  • La colonna di uomini malconci e vacillanti raggiunse il cancello del mattatoio di Dresda, poi entrò. Il mattatoio non era più un posto affollato. Quasi tutto il bestiame tedesco era stato ucciso, mangiato ed espulso da esseri umani, soldati per lo più. Così va la vita.
    Gli americani vennero condotti al quinto edificio oltre il cancello. Era un cubo di cemento a un piano con porte scorrevoli davanti e di dietro. Era stato costruito come porcilaia per i maiali prima della macellazione. Ora sarebbe stato la casa lontano da casa di cento prigionieri di guerra americani. Dentro c'erano cuccette, due stufe panciute e un rubinetto. Dietro il rubinetto c'era una latrina, formata da una sbarra con i buglioli sotto.
    Sopra la porta dell'edificio c'era un grosso numero. Il numero era "cinque". Prima che gli americani potessero entrare, la guardia che faceva da interprete disse loro di ricordare quel semplice indirizzo, nel caso si fossero persi nella grande città. Il loro indirizzo era questo: Schlachthoffünf. Schlachthof significava mattatoio; fünf era il vecchio buon numero "cinque". (cap. 6)
  • Quando l'aereo si fu alzato, la macchina che era il suocero di Billy chiese al quartetto di cantare la sua canzone preferita. I quattro sapevano quale canzone intendeva, e la cantarono. La canzone diceva così:
    Nella cella son rinchiuso, | con la merda fin sul muso, | e le palle giù per terra. | E lo scolo maledetto | mi rovina l'uccelletto. | Mai mai più una polacca | cercherò come baldracca.
    Il suocero di Billy rise a lungo, ascoltando questa canzone, e pregò il quartetto di cantare l'altra canzone polacca che gli piaceva tanto. Così quelli cantarono una canzone delle miniere della Pennsylvania che cominciava così:
    Io e Mike scaviamo insieme, | e la vita prendiamo come viene. | Quando è sabato intaschiamo, | la domenica ronfiamo. (cap. 7)
  • Quasi non ci sono personaggi, in questa storia, e quasi non ci sono confronti drammatici, perché la maggior parte degli individui che vi figurano sono malridotti, sono solo trastulli indifferenti in mano a forze immense. Uno dei principali effetti della guerra è, in fondo, che la gente è scoraggiata dal farsi personaggio. (cap. 8)
  • Tra parentesi, Trout aveva scritto un libro su un albero che faceva i soldi. Aveva come foglie dei biglietti da venti dollari. I suoi fiori erano titoli di stato. I suoi frutti erano diamanti. Attirava gli esseri umani, che si ammazzavano tra loro intorno alle sue radici e così diventavano un ottimo fertilizzante.
    Così va la vita. (cap. 8)
  • Ecco quello che cantavano mentre Billy si sentiva straziare le budella:
    Undici cent il cotone, quaranta il manzo buono; | come fa a campare un onesto pover'uomo?| Prega che venga il sole, che tanto pioverà; | le cose vanno peggio; chiunque ammattirà. | Ho fatto una baracca e l'ho ben pitturata; | ma poi è venuto il fulmine e me l'ha scassata. | Inutile sperare di non saltare il pranzo | finché il cotone è a undici e a quaranta il manzo. | Undici cent il cotone, e tasse a tonnellate: | è un carico pesante, per spalle affaticate...
    E così via. (cap. 8)
  • Lui era giù nel deposito della carne, la notte che Dresda venne distrutta. Sopra si sentivano come dei passi di giganti: erano grappoli di bombe ad alto potenziale che cadevano. I giganti non la smettevano più di camminare. Il deposito della carne era un rifugio sicurissimo. Là sotto cadeva solo, di tanto in tanto, una pioggia di polvere d'intonaco. C'erano gli americani, quattro delle loro guardie, alcune carcasse di animali e nessun altro. Le altre guardie, prima che cominciasse il bombardamento, erano tornate al calduccio delle loro case a Dresda. Sarebbero rimaste tutte uccise insieme alle loro famiglie.
    Così va la vita.
    Anche le ragazze che Billy aveva visto nude stavano morendo, in un rifugio molto meno solido, in un altro punto del macello.
    Così va la vita.
    Ogni tanto una guardia andava in cima alle scale a vedere cosa stava succedendo là fuori, poi tornava giù e bisbigliava qualcosa alle altre. C'erano degli incendi, fuori. Dresda era tutta una sola, grande fiammata. Quell'unica fiammata stava divorando ogni sostanza organica, ogni cosa capace di bruciare.
    Non fu prudente uscire dal rifugio fino a mezzogiorno dell'indomani. Quando gli americani e le loro guardie vennero fuori, il cielo era nero di fumo. Il sole era una capocchia di spillo. Dresda ormai era come la luna, nient'altro che minerali. I sassi scottavano. Nei dintorni erano tutti morti.
    Così va la vita. (cap. 8)
  • Che il bombardamento di Dresda sia stato una grande tragedia nessuno può negarlo. Che fosse realmente una necessità militare pochi, dopo avere letto questo libro, lo crederanno. È stata una di quelle cose terribili che a volte accadono in tempo di guerra, causate da una sfortunata combinazione di circostanze. Coloro che l'approvarono non erano né malvagi né crudeli, ma può darsi benissimo che fossero troppo lontani dall'amara realtà della guerra per comprendere pienamente il terrificante potere distruttivo dei bombardamenti aerei nella primavera del 1945. (cap. 9)
  • Quando arrivarono al mattatoio, Billy rimase sul carro a crogiolarsi al sole. Gli altri andarono in cerca di souvenir. Successivamente i tralfamadoriani avrebbero consigliato a Billy di concentrarsi sui momenti felici della vita e di ignorare quelli tristi, di puntare lo sguardo solo sulle cose belle mentre l'eternità si fermava. Se gli fosse stato possibile realizzare questo tipo di selettività, forse Billy come momento più felice avrebbe scelto quello in cui se ne stava a sonnecchiare in fondo al carro, al sole. (cap. 9)
  • Su Tralfamadore, dice Billy Pilgrim, non c'è molto interesse per Gesù Cristo. La figura terrestre che più colpisce i tralfamadoriani, dice lui, è quella di Charles Darwin, che insegnò che chi muore deve morire e che i cadaveri sono un miglioramento. Così va la vita. (cap. 10)
  • E una mattina si alzarono e scoprirono che la porta era aperta. La Seconda guerra mondiale in Europa era finita. (cap. 10)

Perle ai porci

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  • Da molto tempo si è insegnato agli americani a odiare tutti coloro che non vogliono o non possono lavorare, e addirittura a odiarsi, per questo. (cap. 14)
  • Salve, piccini. Benvenuti sulla Terra. È calda d'estate e fredda d'inverno. È rotonda, umida e affollata. Al massimo, piccini, avrete un centinaio d'anni da passare qui. E c'è solo una regola che conosco, piccini… Maledizione, dovete essere buoni. (cap. 7)
  • "Vi voglio bene, figli di puttana," disse Eliot a Milford. "Siete i soli che leggo, ormai. Siete gli unici che parlano dei cambiamenti veramente straordinari che si stanno verificando, gli unici così pazzi da sapere che la vita è un viaggio nello spazio, e neanche tanto breve, perché durerà miliardi di anni. Siete gli unici tanto coraggiosi da preoccuparsi veramente per il futuro, da notare veramente tutto quello che ci stanno facendo le macchine, che ci stanno facendo le guerre, che ci stanno facendo le città, che ci stanno facendo le idee semplici e grandiose, di quali tremendi equivoci, errori, incidenti e catastrofi sono causa. Siete gli unici tanto sciocchi da arrovellarsi sul tempo e sulle distanze senza fine, sui misteri che non moriranno mai, sul fatto che stiamo decidendo proprio adesso se il viaggio spaziale del prossimo miliardo di anni o giù di lì finirà in paradiso o all'inferno." (cap. 2)

Incipit di alcune opere

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Distruggete le macchine

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Ilium, New York, è divisa in tre parti.[14]

Hocus Pocus

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L'autore di questo libro non disponeva di carta da scrivere di uniforme formato e qualità.[14]

La colazione dei campioni

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Questo è il racconto dell'incontro di due uomini bianchi, solitari, macilenti e abbastanza anziani, su un pianeta che andava rapidamente morendo.[14]

Le sirene di Titano

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Ormai ciascuno sa come trovare dentro di sé il significato della vita.
Ma l'umanità non è sempre stata così fortunata. Meno di un secolo fa gli uomini e le donne non avevano un facile accesso alle scatole di rompicapi che sono dentro di loro.

Non sapevano nominare neppure uno dei cinquantatré portali dell'anima.

E le religioni strane facevano grossi affari.

L'umanità, ignorante delle verità che giacciono entro ogni essere umano, guardava verso l'esterno... premeva sempre verso l'esterno. Ciò che l'umanità sperava di imparare in quella spinta verso l'esterno era chi fosse realmente responsabile di tutta la creazione e che cosa significasse tutta la creazione.

Madre notte

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MI CHIAMO HOWARD W. Campbell, jr.
Ho fama di nazista, sono americano di nascita e apolide per inclinazione naturale.
L'anno in cui scrivo è il 1961.
Voglio dedicare questo mio libro al signor Tuvia Friedmann, direttore dell'Istituto per la documentazione dei crimini di guerra, di Haifa, e a chiunqua altro possa interessare.
Perché al signor Friedmann dovrebbe importargli qualcosa di questo libro?
Perché sull'uomo che lo sta scrivendo grava il sospetto che sia stato un criminale di guerra. Il signor Friedmann è uno specialista di questi casi. E ha manifestato più che un desiderio, l'impaziente ardore di avere qualsiasi scritto con cui volessi prendermi la briga di arricchire il suo archivio di barbarie naziste. La sua smania di averlo è tale che mi mette a disposizione una macchina da scrivere, un servizio gratuito di assistenza stenografica, e la collaborazione di assistenti che rintracceranno qualunque cosa mi occorra per far sì che il racconto riesca completo e senza inesattezze.
Mi trovo al fresco.

Un pezzo da galera

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Eh, sì: Kilgore Trout è di nuovo dentro. Non ce l'ha fatta, fuori. Mica c'è da vergognarsi. Un sacco di brave persone, fuori non ce la fanno. Mi stupisce che io ci sia riuscito.

Ho ricevuto una lettera stamattina (18 novembre 1978) da un giovane che non conosco, un certo John Figler, da Crown Point nell'Indiana. Crown Point è famosa per un'evasione, compiuta colà, dal bandito John Dillinger, durante il periodo più fosco della Grande Depressione americana. Dillinger evase minacciando il secondino con una pistola fatta di sapone e lucido per scarpe. Il secondino era una donna. Dio li abbia in gloria, lui e lei, entrambi. Dillinger era il Robin Hood della mia prima gioventù. È sepolto vicino ai miei genitori – e a mia sorella Alice, che l'ammirava anche più di me – a Crown Hill, il cimitero di Indianapolis. Su quel colle che domina la città riposa anche il celebre poeta James Whictcomb Riley. Da piccola, mia madre lo conosceva bene.

Citazioni su Kurt Vonnegut

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  • Mi innamorai profondamente dei libri di Kurt Vonnegut [...]. Vonnegut mi insegnò che essere umili è bello e piacevole, che gli esseri umani non sono più importanti delle rape, che dobbiamo amare con tutto il cuore senza aspettarci una ricompensa ma esclusivamente per essere delle persone buone, e che la creatività è la parte più importante di noi stessi. Mi mostrò la vanità e l'insensibilità da cui era scaturita l'assurda crudeltà della guerra e il suo ironico distacco dalla violenza folle ed egoista del mondo [...]. Ancora oggi, i suoi libri influenzano la mia visione politica e sociale e la mia ironia, e mi toccano profondamente. Kurt Vonnegut mi ha cambiato la vita, ed è sempre attuale. (Flea)

Note

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  1. Da Palm Sunday, Delacorte Press, 1981.
  2. Da Un uomo senza patria, p. 57.
  3. Da Cronosisma, traduzione di Sergio Claudio Perroni, minimum fax, Roma, 2016. ISBN 978-88-7521-800-3
  4. Da La colazione dei campioni.
  5. Da Destini peggiori della morte, traduzione di Graziella Civiletti.
  6. Da un discorso per l'apertura dell'anno accademico alla Syracuse University, 8 maggio 1994; citato in Douglas Coupland, Generazione A, Isbn Edizioni, 2010, p. 9. ISBN 8876382143
  7. Da Comica finale, traduzione di Vincenzo Mantovani, Bompiani, Firenze-Milano, 2022, p. 13. ISBN 979-12-217-0021-3
  8. Da Destini peggiori della morte, traduzione di Graziella Civiletti.
  9. Citato in Stefano Bartezzaghi, Non se ne può più, Mondadori, 2012. ISBN 9788852025662
  10. Da Le sirene di Titano.
  11. Da Un pezzo da galera, p. 97.
  12. Cfr.
  13. Da Mattatoio n. 5 o la crociata dei bambini (Danza obbligata, con la morte), traduzione di Luigi Brioschi, Mondadori, 1970.
  14. a b c Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Kurt Vonnegut, Ghiaccio-nove, traduzione di Delfina Vezzoli, Feltrinelli, 2009. ISBN 9788807720277
  • Kurt Vonnegut, Le sirene di Titano, traduzione di Roberta Rambelli, Nord.
  • Kurt Vonnegut, La colazione dei campioni o Addio triste lunedì! (Breakfast of champions or Goodbye blue monday!), traduzione di Attilio Veraldi, Elèuthera, Milano, 1992.
  • Kurt Vonnegut, Madre Notte, traduzione di Luigi Ballerini, Feltrinelli, 2007. ISBN 88-07-81956-8
  • Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, traduzione di Luigi Brioschi, Feltrinelli, Milano, 2017. ISBN 9788858829516
  • Kurt Vonnegut, Perle ai porci, traduzione di Vincenzo Mantovani, Bompiani, Firenze-Milano, 2022. ISBN ISBN 978-88-587-9876-8
  • Kurt Vonnegut, Un pezzo da galera, (Jalibird), traduzione di Pier Francesco Paolini, Rizzoli Editore, Milano, 1981.
  • Kurt Vonnegut, Un uomo senza patria, traduzione di Martina Testa, minumum fax, Roma, 2006. ISBN 88-7521-090-X

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