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Pritaneo

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Pritaneo di Panticapeo, II secolo a.C., Kerč', Ucraina.

Il pritaneo (in greco antico: πρυτανεῖον?, prytaneion, "presidenza") era, nell'antica Grecia, l'edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato della città (pritano; vi era custodito il focolare sacro della città e potevano esservi accolti ospiti di particolare riguardo o cittadini benemeriti[1]).

Origine e funzione

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L'edificio tuttavia aveva un ruolo molto più ampio, in quanto rappresentava il focolare e il cuore della città, dove si trovava il fuoco sacro che non si spegneva mai. Simbolo della continuità della città, consacrato ad Estia, dea del focolare, della casa e della famiglia, il pritaneo era il cuore simbolico e politico della pólis: in esso sedevano i magistrati, si accoglievano gli ambasciatori e si celebravano le cerimonie pubbliche, si prendeva il fuoco per fondare le colonie (e il loro pritaneo), si tenevano i sacrifici solenni e le offerte agli dei.

Ad Atene, il Pritaneo non va confuso con la Thòlos (Θόλος) dell'agorà dove i pritani, eletti dalle tribù di Atene per assicurare la presidenza della bulè (assemblea ristretta), vivevano e lavoravano; il Pritaneo era invece un edificio più antico, situato alle falde settentrionali dell'Acropoli. In origine vi si riunivano i pritani, intesi in senso arcaico come sommi magistrati della costituzione ateniese precedente alla riforma di Clistene.

Successivamente, pur mantenendo la funzione di custodire il fuoco sacro, l'edificio fu adibito ad accogliere i cittadini onorati del δεῖπνον, il pranzo offerto per merito dalla città, mentre la sede dei pritani fu trasferita nell'Agorà.[2] Chi veniva onorato di sedere continuativamente alla mensa comune ( il δεῖπνον infatti valeva per un solo pasto), cioè chi godeva del privilegio della σίτησις (vitto), era anche detto parassito, con il significato di "mangio insieme, sono commensale".[3] Plutarco (Solon, 24) riferisce di cittadini illustri mantenuti a spese dello Stato nel Pritaneo come ad esempio Cleone che venne onorato del privilegio del vitto dopo la vittoria contro i Lacedemoni nella Battaglia di Sfacteria, nel 425 a.C., durante la Guerra del Peloponneso[4].

  1. ^ Erodoto, Storie, I, 146; III, 57
  2. ^ Margherita Guarducci, "L'epigrafia greca dalle origini al Tardo Impero", Roma, 1987, p.119
  3. ^ Lorenzo Rocci, Vocabolario greco italiano, Società Editrice Dante Alighieri, 1987, 13ª ed., v. παρα-σιτέω
  4. ^ Domenico Musti, Storia Greca, Laterza, Bari, 2001, pag. 404.

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