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Girolamo Borro

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Girolamo Borro

Girolamo Borro, o Borri, latinizzato come Hieronymus Borrius (Arezzo, 1512Perugia, 26 agosto 1592), è stato un teologo italiano, umanista rinascimentale molto controverso e discusso già ai suoi tempi.[1]

Nacque ad Arezzo nel 1512, venne avviato agli studi filosofici dal teologo Stefano Bonucci, generale dei serviti e allievo di Pomponazzi. Probabilmente, nel 1535, conseguì la laurea a Padova in filosofia, medicina e teologia. Ad avvalorare la tesi che svolse gli studi nel Veneto alcuni scambi epistolari con l'Aretino, a cui Borro chiese amicizia e favori.[1]

Dopo la laurea, fu posto sotto la tutela e la guida del cardinale Giovanni Salviati, svolgendo l'incarico di teologo personale per 16 anni, presumibilmente fino al 1537. Dal 1540 viaggiò tra Padova, Arezzo e Roma, dove si fermò per un incarico di docenza. Nel 1548 si trasferì a Parigi.[1]

Nel 1550 rientrò a Roma per partecipare al conclave che vide l'elezione di papa Giulio III e in cui il Salviati fu dato come favorito dei cardinali francofili.[1]

Un anno dopo, nel 1551, con dispaccio ufficiale del 29 aprile, venne incarcerato con l'accusa di eresia, dando così l'avvio a una serie di vicende che lo portarono alla presenza del tribunale dell'Inquisizione. Tuttavia l'incidente dovette risolversi per il meglio, infatti nel 1553, dopo la morte di Salviati, Borro venne chiamato a ricoprire la cattedra di filosofia allo Studio di Pisa, affiancando Selvaggio Ghettini. Qui si fermò fino al 1559, ma proprio in quegli anni ripresero le controversie con l'Inquisizione.[1]

Nel 1575 venne nominato professore straordinario in filosofia e la questione sollevò feroci invettive contro di lui. I concorrenti alla cattedra si coalizzarono screditandolo e contestando la validità del suo dottorato; di contro Borro scrisse al granduca Francesco I de Medici, ma il risultato fu che gli scontri si moltiplicarono; i suoi accusatori fecero firmare una petizione agli studenti in cui reclamavano la cattedra per il Verino. Nel 1577 anche il medico A. Caniuzio, entrato in possesso a sua volta di titolo di straordinario, insorgeva contro Borro indicandolo come causa principale dell'odio contro di lui.[1]

Pur risultando inviso ai colleghi, la docenza di Borro continuò e le sue opere vennero citate da Galileo Galilei, che in uno dei suoi scritti, il De motu, lo definì un seguace di Averroè, e annoverò l'opera Flusso e reflusso del mare tra quelle correnti in ambiente peripatetico. Probabilmente Galilei apprese alcune obiezioni capitali alla dinamica aristotelica, quali la teoria di Avempace, tramite le opere di Borro.[1]

Nel 1583 Borro venne incarcerato a Roma con l'accusa di eresia insieme a due altri lettori pisani, forse per una lettura troppo eterodossa di Aristotele, a cui andavano ad aggiungersi le accuse e l'odio creatosi intorno alla sua persona e le inique interpretazioni del suo insegnamento. Fu l'intervento di papa Gregorio XIII a salvarlo e a restituirgli la libertà.[1]

Nel 1586, cacciato dallo Studio pisano, si trasferì a Perugia, dove insegnò all'Università fino a giorno della sua morte avvenuta all'età di 82 anni il 26 agosto 1592.[1]

Del flusso e reflusso del mare

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Del flusso, & reflusso del mare

Nel 1561 Borro pubblicò a Lucca l'opera Del flusso e reflusso del mare, in forma di dialogo tra se stesso, Giovanna d'Austria, a cui è dedicata l'opera, G. Acciaiuoli, il conte Polidoro e A. Neroni.[1]

In apertura dichiara il proprio dispregio della tradizione letteraria toscana, definendosi estimatore di quella latina e grande ammiratore degli Arabi e dei Greci, in particolar modo un cultore di Aristotele e Platone.

L'opera tende a dimostrare la teoria delle maree. Infatti procede dall'esposizione cosmologica aristotelica in cui trovano posto temi e dottrine care alla tradizione araba e neoplatonica, dalla quale elimina ogni aspetto magico e astrologico.[1]

Borro tenta di dedurre razionalmente, seguendo i principî naturali, la causa delle maree, individuando nella luce, nel calore e nel moto dei raggi lunari la causa determinante del fenomeno. I raggi lunari colpendo le acque marine provocano l'innalzamento delle masse d'acqua, perciò, quanto più la Luna salirà sull'orizzonte tanto più i suoi raggi colpiranno l'acqua profonda obbligandola gradualmente a gonfiarsi. Una teoria razionalistica e una spiegazione meccanica, nei limiti della scienza del tempo.[1]

De motu gravium et levium

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Nel periodo delle accuse pisane, proprio per dar prova dei suoi meriti pubblicò a Firenze nel 1575 il De motu gravium et levium. L'opera è dedicata al granduca Francesco I, al cardinale Ferdinando de' Medici e a Pier Vettori.

Borro propone l'esposizione della teoria dei moti elementari attraverso una precisa analisi delle principali nozioni della fisica e metafisica aristotelica, seguendo la tradizione dei commentatori greco-arabi, primo tra tutti Averroè. Prende le distanze dalla tradizione scolastica, mentre affronta le teorie fisiche dei presocratici e degli atomisti.[1]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m DBI.

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