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Alea (gioco)

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Giocatori di dadi. Affresco romano dall'Osteria della Via di Mercurio a Pompei (VI 10, 1.19, stanza b)

Alea è un antico gioco da tavolo, di perizia e dadi, predecessore del gioco della tabula, entrambi progenitori del backgammon.

Sia alea che tabula appaiono in stretta relazione con il gioco noto come Ludus duodecim scriptorum: quest'ultimo, però, prevedeva una tavola con 36 caselle (3x12 con una fila centrale), anziché 24 (2x12, con le sole file laterali), caratteristica, quest'ultima, degli altri tre giochi[1]

Sembra ci sia un nesso tra il gioco dei dadi e l'astragalomanzia. Svetonio, infatti, parlando dell'imperatore romano, Augusto,[2] riferisce:

«[...] In nessun modo [Augusto] ebbe paura per la sua reputazione riguardo al gioco, e continuò a giocare semplicemente e pubblicamente, perché si divertiva anche quando era vecchio, e non soltanto in dicembre ma anche in tutti gli altri mesi, nei giorni lavorativi e feriali. Di ciò non vi è nessun dubbio. In una lettera autografa scrisse: "Ho cenato, mio caro Tiberio, con le stesse persone; si sono uniti al mio banchetto Vinicio e Silio, il padre: durante la cena abbiamo giocato come dei vecchi, sia ieri, sia oggi. Si gettavano i dadi e ogni volta che ciascuno di noi otteneva il colpo del cane oppure il sei, aggiungeva alla posta in gioco un denario per ogni dado e chi faceva il colpo di Venere prendeva tutto."»

«Per rilassarsi a volte andava a pesca con la lenza, altre volte giocava a dadi, con le pietruzze o con le noci insieme ai bambini piccoli, che apparivano graziosi per aspetto ed allegria, e che cercava ovunque, soprattutto tra Mauri e Siriani.»

Tipico dado romano da gioco (presso il Museo romano di Losanna-Vidy)

In un'altra lettera ancora Svetonio racconta:

«Mio Tiberio, noi abbiamo passato molto piacevolmente le Quinquatrie; abbiamo infatti giocato durante tutti questi giorni e abbiamo riscaldato il tavolo da gioco. Tuo fratello [Druso maggiore] ha partecipato al gioco con alte grida; alla fine, ad ogni modo, non ha perduto molto, ma dopo le perdite, a poco a poco si è rifatto oltre quanto sperava. Io invece ho perduto ventimila sesterzi, ma perché, secondo la mia abitudine, fui un giocatore estremamente generoso. Se avessi richiesto infatti quanto ho condonato a ciascuno, avrei vinto almeno cinquantamila sesterzi. Ma va bene così; la mia generosità infatti mi porterà fino alla gloria celeste.»

Scrivendo alla figlia, Augusto, le diceva:

«Ti ho inviato duecentocinquanta denari, somma che ho distribuito a ognuno dei miei convitati, pregando di giocarli tra loro durante la cena, sia ai dadi, sia a pari e dispari

Si sa che l'alea era molto diffusa ed era il gioco preferito dall'imperatore romano Claudio: Svetonio narra di come l'imperatore non riuscisse a privarsene nemmeno durante i viaggi, tanto da portarne un tavoliere attaccato al carro durante gli spostamenti[1].

Al pari del tabula, il gioco dell'alea andò incontro a deprecazioni e divieti ecclesiastici (canone 79 del Concilio di Elvira, Spagna, 307 d.C.; Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XVIII)) e civili (Codice Giustinianeo, 739‑742 d.C.)[1].

  1. ^ a b c P. Canettieri, Introduzione (archiviato dall'url originale il 30 aprile 2010). all'edizione del Libro de los juegos, da Knol
  2. ^ SvetonioAugustus, 70.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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