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Il modellamento glaciale (superiori)

Da Wikiversità, l'apprendimento libero.
lezione
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Il modellamento glaciale (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Scienze naturali per le superiori 5
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%


I ghiacciai. Origine e processi

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Ghiacciaio Pisgana (Gruppo dell'Adamello (alta Val Camonica, BS)

Il ghiaccio può accumularsi in aree dove la quantità di neve apportata dalle precipitazioni atmosferiche ogni anno eccede le perdite di neve dovute a scioglimento, evaporazione o deflazione da parte del vento, portando alla formazione di ghiacciai. Il clima è chiaramente il principale fattore che controlla l'accumulo del ghiaccio: infatti gli accumuli possono mantenersi solamente in due casi:

  • In aree in cui l'apporto di neve invernale eccede lo scioglimento estivo (in questo caso ovviamente la quantità di precipitazioni invernali è decisiva).
  • In aree in cui la temperatura tutto l'anno è molto bassa, tale da consentire un bilancio positivo tra accumulo e perdite (quindi la capacità di accumulo è meno dipendente dalla quantità di precipitazioni)

Sulla Terra vi sono aree ricoperte da ghiaccio perenne praticamente a tutte le latitudini (inclusi i tropici), e vi sono due principali tipi di ghiacciai:

  • Ghiacciai polari
  • Ghiacciai temperati o ghiacciai montani
TIPO LOCALIZZAZIONE ESEMPI CARATTERISTICHE
POLARE Antartide, Groenlandia, Islanda Calotte Glaciali Ghiacciai che ricoprono estese superfici di terre emerse (da decine a centinaia di chilometri quadrati) con spessori fino a oltre 4000 m (Antartide).
MONTANO Ande, Himalaya, Pirenei, Alpi, Patagonia, massicci africani del Kilimanjaro, Ruwenzori, Monte Kenya; Puncak Jaya (Nuova Guinea indonesiana) Ghiacciai vallivi; vallivi composti (cioè dati dalla confluenza di più ghiacciai); sommitali (o di vetta); di circo; di altopiano Ghiacciai nei quali è ben evidente la distinzione fra il bacino collettore e il bacino ablatore, al di sotto del limite delle nevi persistenti.
Schema generale di un ghiacciaio (si tratta di un ghiacciaio vallivo di area temperata, la categoria più articolata e complessa che esemplifica bene la morfologia). Sono riportati gli elementi morfologici principali, il sistema di di accumulo del ghiaccio e di drenaggio dell'acqua di fusione.

I ghiacciai sono tra i più importanti agenti dell' erosione e importanti meccanismi di trasporto di materiale roccioso in vaste aree del mondo, alle alte latitudini e in regioni montane. Questo materiale dà origine a depositi con morfologie caratteristiche e caratteri distintivi dei sedimenti.

La parte superiore di un ghiacciaio è il bacino di accumulo o bacino di raccolta, con bilancio di accumulo annuale positivo, mentre la parte inferiore si definisce area di ablazione, dove avviene la progressiva riduzione della massa glaciale per fusione, sublimazione, evaporazione. Le due parti sono separate da una linea di equilibrio in corrispondenza della quale l'apporto e l'ablazione di ghiaccio si compensano.
Frequentemente l'area di ablazione assume una forma allungata, detta lingua glaciale. La parte più bassa della lingua glaciale prende il nome di fronte del ghiacciaio e dà luogo, con le sue acque di fusione, a torrenti e/o laghi d'alta montagna (torrenti e laghi proglaciali). Sovente sotto la lingua glaciale si forma un torrente subglaciale, che ne raccoglie le acque di fusione e scorre per un certo tratto sotto la massa glaciale fino a fuoriuscire dalla fronte. In alcuni casi l'acqua scorre sulla superficie del ghiacciaio e si forma un torrente supraglaciale.

Il clima come già accennato è il fattore determinante nello sviluppo e nella preservazione dei ghiacciai. I cambiamenti climatici (le fasi climatiche) a medio e lungo termine ne determinano la comparsa, l'evoluzione e anche l'eventuale scomparsa. Quando il clima muta, l'equilibrio dei ghiacciai si altera: quindi i ghiacciai sono "spie" molto sensibili dei mutamenti climatici. Ad esempio, se il punto di equilibrio tra accumulo e ablazione si sposta a maggiore altitudine (in una fase climatica relativamente più calda), l'area di ablazione ne risulta incrementata, quindi ovviamente le parti del ghiacciaio ad altitudine minore saranno sottoposte ad una maggiore sottrazione di ghiaccio per fusione ed evaporazione, ma contemporaneamente lo stesso bacino di accumulo ne può risultare ridotto. Questo si traduce in una fase di ritiro del ghiacciaio, in cui il volume del ghiacciaio si riduce progressivamente e la sua fronte arretra rilasciando i sedimenti precedentemente in carico. Il ghiacciaio può eventualmente ridursi a plaghe di "ghiaccio morto" (non più in movimento attivo), fino a divenire semplicemente un nevaio perenne, poi stagionale, e scomparire.
Viceversa, con un irrigidimento del clima avremo uno spostamento in basso del punto di equilibrio, con incremento degli apporti nevosi entro il bacino di accumulo e ampliamento dello stesso, e contemporaneamente uno spostamento verso il basso del fronte glaciale. In questo caso avremo una fase di avanzamento della fronte del ghiacciaio, che trasporta sedimenti in posizione sempre più avanzata, obliterando in gran parte i depositi terminali precedenti.

Formazione del ghiaccio e drenaggio dell'acqua

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Stadi di formazione del ghiaccio

Nell'area di accumulo, al di sopra del limite delle nevi perenni, e a latitudini polari, la neve è in fiocchi soffici, asciutti e leggerissimi a causa dell'inclusione di grandi quantità di aria (densità 0,18937246 g/cm³), col tempo si accumulano e si compattano sotto l'azione combinata del proprio peso e del processo di metamorfismo dei cristalli di ghiaccio, che porta ad espellere l'aria contenuta negli interstizi ed a formare aggregati via via più densi: prima la neve granulare (0,3 g/cm³) e poi, dopo una estate, il Firn (0,5 g/cm³).

La completa trasformazione in ghiaccio (0,9 g/cm³) è un processo ancora più lento, che può richiedere anni e avviene per compattazione della neve sotto accumuli il cui spessore è di decine di metri. Nei ghiacciai delle zone temperate il processo è accelerato dall'eventuale addizionamento di ghiaccio formatosi in seguito al rigelo, durante la notte, dell'acqua di fusione della neve prodottasi durante il giorno per innalzamento della temperatura. Occorrono, comunque, in media cinque anni perché si formi ghiaccio sotto un accumulo di neve spesso una ventina di metri.

Lo strato superficiale di materiale nevoso si situa nella parte più interna dell'area di accumulo, in cui le condizioni climatiche ne consentono la conservazione per la maggior parte dell'anno. A causa del movimento continuo del ghiacciaio verso valle, la neve sarà esposta progressivamente a fusione fino alla linea della neve, oltre la quale è esposto il firn. Lo strato di firn (considerevolmente più compatto e resistente al disgelo) si estende più a valle per un certo tratto (variabile ovviamente con le condizioni climatiche). In un ghiacciaio, la linea del firn separa l' area di accumulo dall' area di ablazione. Oltre questa linea abbiamo il ghiaccio esposto, eventualmente ricoperto in parte di detrito (till), che può accumularsi fino a formare vere e proprie morene. Nella stagione estiva possono formarsi canali in cui scorre l'acqua di fusione, fino a torrenti supraglaciali.

Neve, neve granulare e firn hanno una porosità intergranulare (i "vuoti" tra le particelle costituenti). Questa porosità è molto sviluppata nella neve e si riduce progressivamente verso il basso con l'intervento dei fenomeni descritti. Si tratta di una porosità per la maggior parte interconnessa (cioè i pori sono collegati tra loro). L'acqua di fusione che si genera durante il giorno (o durante giorni senza gelo) si infiltra (percolazione) all'interno della porosità tra i cristalli e gli aggregati di neve e di firn, allargando i canali tra i pori, fino a incontrare la superficie del ghiaccio vero e proprio, che è praticamente impermeabile. Qui inizia a scorrere lungo la pendenza naturale dello strato di ghiaccio ed eventualmente si raccoglie in uno strato "pensile" (perched water), formando una zona in cui la porosità è completamente satura d'acqua. L'acqua accumulata nella zona satura può eventualmente sfruttare linee di debolezza del ghiaccio (come fratture e discontinuità in genere) per scendere ulteriormente formando condotti endoglaciali fino all'interfaccia ghiaccio-roccia, ove prende a scorrere sulla superficie rocciosa formando condotti subglaciali. Con l'avanzare verso la fronte questi condotti tendono a confluire, ricevendo anche l'apporto da parte dei crepacci soprastanti, e a formare cavità subglaciali, che possono alloggiare uno o più canali subglaciali, fino a veri e propri torrenti. In ultimo, l'acqua fuoriesce dalla fronte glaciale come torrente proglaciale.


Bilancio di massa

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Diagramma che illustra il bilancio di massa di un ghiacciaio, con l'andamento delle curve di accumulo e ablazione durante un anno, nel caso ideale di un ghiacciaio in equilibrio di massa. L'ablazione è riportata come positiva. E' riportata anche la curva del bilancio netto di massa, (accumulo - ablazione), positiva in inverno, negativa in estate. In realtà per la misura del bilancio annuale si considerano due minimi successivi della massa glaciale (meglio riconoscibili dalle caratteristiche della neve e del ghiaccio). L'unità per esprimere numericamente la variazione di massa è il chilogrammo (kg). Quando il bilancio di massa è espresso per unità di area, la sua unità è kg*m-2. L'unità kg*m-2 è solitamente sostituita dal millimetro di acqua equivalente, mm w.e. (spessore di acqua che si ricaverebbe dalla fusione della neve). Questa sostituzione è comoda perché 1 kg di acqua liquida, di densità 1000 kg*m-3, ha uno spessore di esattamente 1 mm quando è distribuito uniformemente su 1 m2 di superficie. Le unità kg*m-2 e mm w.e. sono quindi numericamente identiche.

L’evoluzione nel tempo di un ghiacciaio dipende principalmente dal bilancio tra gli accumuli di acqua allo stato solido (ghiaccio, neve) e le perdite (ablazione).

Le precipitazioni nevose sono la fonte più ovvia e, in generale, la più importante di accumulo per i ghiacciai, ma non la sola. Contributi significativi possono venire dalle valanghe e dalla neve portata dal vento, oltre che dal rigelo dell'acqua di fusione e di pioggia. In particolare, in piccoli ghiacciai di circo l'apporto delle valanghe e della "neve ventata" può essere importante, talora anche più delle precipitazioni atmosferiche di neve. Queste fonti alternative di neve sono in grado di sostentare e anche di formare ghiacciai anche al di sotto del limite di altitudine delle nevi perenni.

L'ablazione include tutti i processi per cui un ghiacciaio può perdere massa. La fusione è il processo più evidente di ablazione: il calore che causa la fusione della neve può giungere dalla luce solare diretta, dall'aria, dalla pioggia, dal calore geotermico dalle rocce del substrato. La sublimazione (cambiamento di stato da solido a vapore, senza passare per la fase liquida), gioca un ruolo significativo in regioni molto fredde e aride, alle alte latitudini (ad esempio in Antartide) e ad elevate altitudini. Le valanghe possono asportare materiale da un ghiacciaio, così come la deflazione da parte del vento. Nei ghiacciai che scendono al livello del mare, il distacco di iceberg gioca un ruolo molto significativo nell'asportazione di materiale.

Misurazione del manto nevoso in un crepaccio sul Ghiacciaio Easton, Cascate del Nord, USA; sono visibili gli strati annuali di neve.

Per molti ghiacciai, l'accumulo è concentrato in inverno, e l'ablazione in estate; questi sono indicati come ghiacciai ad accumulo invernale. Per alcuni ghiacciai, il clima locale porta l'accumulo e l'ablazione a verificarsi entrambi nella stessa stagione, quella estiva. Gli esempi più studiati si trovano in Himalaya e in Tibet: in questo caso la maggior parte degli apporti sono dati dai monsoni estivi, mentre la stagione invernale è secca. Questi sono conosciuti come ghiacciai ad accumulo estivo.

Il bilancio annuale nella pratica si misura tra due minimi consecutivi di massa glaciale, cioè tra l'inizio di una stagione di accumulo e l'inizio della successiva. Questo perché di solito il livello corrispondente all'inizio della nuova stagione di accumulo è riconoscibile nella stratigrafia della neve (in carotaggi, fosse di e in sezione nei crepacci); infatti la neve estiva è generalmente più compattata e più "sporca" per la presenza di livelli ricchi di polvere e materiale organico, e in base a questi caratteri il limite tra la neve estiva e la neve autunno-invernale è ben riconoscibile.

Nella zona di accumulo la profondità della coltre nevosa viene misurata per mezzo di sondaggi o fosse scavate all'uopo (snowpits), o nei crepacci (fin dove accessibili). Come riferimento per le misure si usano, come già accennato, gli strati annuali, di solito ben riconoscibili e in cui si può distinguere la porzione relativa all'inverno da quella relativa alla stagione estiva.

Diagramma e curva cumulativa del bilancio di massa annuale globale dal 1980 al 2012. E' evidente la tendenza globale alla perdita di massa dei ghiacciai, correlata al problema dell'aumento della temperatura del pianeta (global warming). Dati del World Glacier Monitoring Service Data (WGMS).

Nei ghiacciai delle regioni temperate, la resistenza dovuta all'inserimento di una sonda aumenta bruscamente quando la sua punta arriva al firn formatosi l'anno precedente. La profondità della sonda è una misura dell'accumulo netto sopra questo strato (cioè nell'ultimo anno). Gli snowpits scavati attraverso le coltri nevose residue degli inverni passati sono usati per determinare la profondità e la densità della coltre nevosa per i periodi relativi.
Le misurazioni effettuate nella zona di ablazione sono praticate utilizzando di paline (paline ablatometriche) inserite verticalmente nel ghiacciaio all'inizio della stagione di ablazione: la lunghezza della parte di palina esposta con la fusione del ghiaccio viene misurata alla fine della stagione di fusione e fornisce l'ammontare dell'ablazione.

Il bilancio di massa della coltre nevosa è il prodotto di densità e profondità. La profondità osservata (di solito espressa in centimetri) viene moltiplicata per la densità della coltre nevosa onde determinare l' accumulo equivalente in acqua.

Swe = z [cm] * ρN [Kg*m-3] / 100

dove:
Swe = spessore di acqua equivalente in millimetri; z = spessore della neve in centimetri; ρN = densità della neve in Kg*m-3

Si utilizzano valori standard di densità del ghiaccio o si effettuano misure di densità del nevato (neve trasformata), di solito su campioni presi con carotatori di diametro standard: il peso del campione moltiplicato per una costante dà la densità (in alcuni modelli si ha una lettura diretta della densità).

Se l'accumulo supera l'ablazione per un dato anno, il bilancio di massa è positivo; se è vero il contrario, il bilancio di massa è negativo. Questi termini possono essere applicati a un punto particolare del ghiacciaio per dare il bilancio di massa specifico per quel punto; o all'intero ghiacciaio o a qualsiasi area più piccola.
Per i ghiacciai ad accumulo invernale, il bilancio di massa specifico è solitamente positivo per la parte superiore del ghiacciaio. La linea che divide l'area di accumulo dall'area di ablazione (la parte inferiore del ghiacciaio) è chiamata linea di equilibrio; è la linea alla quale il bilancio netto specifico è zero. L'altitudine della linea di equilibrio è un indicatore chiave della "salute" del ghiacciaio. Lo spostamento della linea di equilibrio ad altitudine minore è indicativa di una fase di avanzamento del ghiacciaio, mentre uno spostamento ad altitudine maggiore indica una fase di regressione.


Rappresentazione schematica dei principali meccanismi di movimento di un ghiacciaio. E' rappresentato l'andamento della velocità di flusso lungo il profilo del ghiacciaio. Da sinistra: deformazione del ghiaccio; deformazione del ghiaccio e scivolamento basale (facilitato dalla presenza di acqua di fusione); deformazione del ghiaccio, scivolamento basale e deformazione del sedimento.

Movimento

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La massa di ghiaccio che forma il ghiacciaio è continuamente spinta verso il basso dalla gravità. Sebbene il ghiaccio sia un solido, sotto l'azione di una pressione ha un comportamento duttile, e si comporta come un fluido estremamente viscoso[N 1]. Questo in un ghiacciaio si verifica soprattutto nelle sue parti inferiori, dove è maggiore il peso degli strati di ghiaccio soprastanti. La presenza di acqua di fusione all'interfaccia inferiore tra il ghiaccio e il substrato roccioso funge da "lubrificante" e facilita il movimento di scivolamento. Nei ghiacciai che erodono il loro substrato, il detrito eroso tende ad accumularsi tra la base della massa glaciale e la roccia in posto (bedrock). In questo caso la deformazione del sedimento sotto il peso del ghiaccio rientra nei meccanismi di movimento del ghiacciaio.

I ghiacciai si muovono con velocità che variano da pochi metri/anno a centinaia di metri/anno. Tipicamente la velocità di flusso è maggiore nelle parti più superficiali della massa glaciale e tende a decrescere verso le parti inferiori, e nei ghiacciai vallivi è massima nella parte centrale, tendendo a decrescere verso i margini.

Per calcolare la velocità superficiale di un ghiacciaio può essere utilizzata la legge di Somigliana[1] introdotta dal fisico italiano Carlo Somigliana (Como, 1860 - Casanova Lanza, 1955). La velocità, infatti, dipende in modo diretto dallo spessore del ghiacciaio considerato, dalla presenza di acqua tra il ghiaccio e il letto roccioso, oltre che dall'inclinazione, dalla morfologia e dall'asperità del fondo. Partendo da questa relazione, la legge è stata riformulata successivamente tenendo conto anche dello sforzo di taglio basale, cioè la componente dello sforzo parallela alla superficie del bedrock. Inoltre la velocità dipende anche dalla densità del ghiaccio, dal suo spessore e dall'accelerazione di gravità:

dove ρ rappresenta la densità del ghiaccio, μ il coefficiente di viscosità del ghiacciaio, α l'angolo di inclinazione del fondo roccioso, mentre L e M sono, rispettivamente, il semiasse orizzontale e il semiasse verticale della semiellisse che forma la sezione trasversa del ghiacciaio (semilarghezza e spessore).

Questa legge può essere inoltre impiegata per calcolare lo spessore del ghiacciaio conoscendone la velocità di spostamento o la pendenza della parete rocciosa sottostante. La velocità di spostamento viene misurata tramite capisaldi geodetici geo-referenziati, calcolando lo spostamento di paline infisse nel ghiacciaio in periodi prefissati (normalmente giornalieri). La misura dello spessore viene oggi effettuata in modo diretto, attraverso sondaggi (con costi elevati), oppure indirettamente attraverso prospezioni geofisiche (sondaggi sismici, elettrici, o radar che si basano sulla diversa velocità di propagazione nel ghiaccio e nella roccia rispettivamente di vibrazioni o impulsi sonori, elettrici, elettromagnetici).

Da tutto questo si capisce che in punti diversi della massa glaciale abbiamo velocità diverse e pressioni diverse (quindi anche stati diversi) del ghiaccio che la compone, e quindi abbiamo anche inevitabilmente deformazioni interne. Le parti superficiali (entro la prima cinquantina di metri) sono quelle che hanno un comportamento più fragile alle sollecitazioni, e quindi tendono facilmente a fessurarsi per le irregolarità del substrato e della massa glaciale sottostante più compatta e per il diverso regime di flusso, formando crepacci (fessurazioni verticali o comunque ad alto angolo), che possono essere sia trasversali che longitudinali (questi ultimi prevalentemente presso la fronte del ghiacciaio). I crepacci possono allargarsi o restringersi verso il basso a seconda della distribuzione delle deformazioni nella massa glaciale. Nei ghiacciai alle medie e basse latitudini sono ricoperti da coltri di neve nella stagione invernale e risultano esposti per la maggior parte nella stagione estiva. Ovviamente, costituiscono una fonte di notevole pericolo per chi si avventura sulla superficie di un ghiacciaio. Dove il ghiacciaio supera un "salto" morfologico con un dislivello notevole, esso si fessura in elementi prismatici chiamati seracchi (vere e proprie "cascate di ghiaccio"); si tratta di zone molto pericolose cui non è prudente avvicinarsi perché assai instabili (soprattutto sui ghiacciai delle aree temperate, nelle ore centrali e più calde del giorno).

Regime termico

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Diagramma di stato dell'acqua, con i campi relativi alle fasi solida, liquida e aeriforme.

Nelle regioni più fredde, polari, i ghiacciai e le calotte glaciali sono permanentemente "saldati" dal gelo al loro substrato, e sono definiti come ghiacciai freddi. Questo tipo di ghiacciaio si muove solo per deformazione interna, che è rappresentabile come scorrimento laminare degli strati più superficiali sopra quelli più profondi. In questo caso, poiché il movimento all'interfaccia ghiaccio-roccia è molto limitato o assente, questi ghiacciai operano una rimozione molto limitata delle rocce e dei terreni sottostanti, e la maggior parte dei detriti sono presi in carico e trasportati sulla superficie superiore per franamenti gravitativi dai versanti. Questi ghiacciai sono molto meno importanti come agenti dell'erosione e del trasporto dei sedimenti rispetto a quelli montani in zone temperate.

Vi sono altri ghiacciai, a latitudini inferiori, definiti ghiacciai politermici, perché la dinamica della temperatura è più complessa rispetto ai precedenti. Questi ghiacciai sono "freddi" nella loro parte basale per la maggior parte del tempo, tuttavia, per l'accumulo di ghiaccio e neve nelle parti superiori, la pressione aumenta verso il basso fino a che può raggiungere il punto di fusione (la temperatura di fusione del ghiaccio infatti decresce con l'aumentare della pressione, come è evidente dal diagramma di stato dell'acqua). Quando ciò accade, la massa di ghiaccio subisce un impulso di movimento, scivolando rapidamente sul substrato: in questa fase il ghiacciaio è in grado di erodere la roccia sottostante. La fronte glaciale, portata ad una quota inferiore e sotto l'impulso del movimento, si rompe e fonde. Il movimento del ghiacciaio si svolge nell'arco di pochi mesi, mentre il ritiro della fronte alla sua posizione precedente richiede alcuni anni. Il detrito accumulato durante la fase di movimento viene rilasciato durante il ritiro della fronte. Questi ghiacciai quindi sono in grado di erodere e trasportare sedimento anche se freddi per la maggior parte dell'anno.

I ghiacciai temperati sono tipici delle regioni montane delle basse latitudini, con un regime termico considerevolmente meno rigido rispetto ai precedenti. In questi ghiacciai la parte basale raggiunge facilmente la pressione corrispondente al punto di fusione per quasi tutta l'estensione del ghiacciaio stesso (come si vede dal diagramma di stato dell'acqua, per temperature prossime al punto triplo basta un piccolo incremento di pressione per passare dalla fase solida alla fase liquida), e questo è quindi in grado di scivolare sul substrato, lubrificato dall'acqua di fusione, e può erodere rapidamente la roccia producendo sedimento con dimensioni da detrito fine a blocchi di diversi metri. Questi ghiacciai sono i più importanti dal punto di vista sia dell'erosione che del trasporto.

All'innalzamento della temperatura alla base di un ghiacciaio contribuiscono anche l'attrito all'interfaccia ghiaccio-roccia e il flusso di calore di origine endogena dovuto al decadimento radioattivo delle rocce del nucleo e del mantello terrestre.
All'erosione in ambiente glaciale (soprattutto nei ghiacciai di media e bassa latitudine) contribuisce anche il fenomeno del gelo/disgelo. Durante il giorno l'acqua di fusione si infiltra nelle fratture e nelle irregolarità del bedrock; di notte, con l'abbassamento della temperatura e il rigelo l'aumento di volume del ghiaccio causa la frammentazione della roccia.

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • L'ambiente glaciale: formazione dei ghiacciai e idrologia dei ghiacciai[2][3]

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I meccanismi del modellamento glaciale

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I meccanismi attraverso i quali si attua la modificazione del substrato roccioso sono: erosione, trasporto, sedimentazione. La degradazione di origine chimica e biologica, pure presente, gioca un ruolo secondario per le caratteristiche climatiche dell'ambiente glaciale.

Gli agenti del modellamento in ambiente glaciale sono:

  • ghiacci continentali
  • acque continentali (correnti)
  • erosione e trasporto eolico (deflazione)
  • onde e correnti marine (ghiacciai costieri)

Materiali e tessiture

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Depositi continentali

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Per una migliore comprensione delle caratteristiche dei materiali di questo ambiente, si richiamano nozioni già riportate in precedenza:

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Il modellamento fluviale (superiori)#I materiali.

Il movimento del ghiaccio è un flusso laminare estremamente viscoso, quindi i materiali presi in carico non hanno la possibilità di mescolarsi, e non possono sussistere i meccanismi di interazione (gli urti tra i clasti, gli urti con il substrato) che abbiamo in altri tipi di flusso (le correnti acquee ed eoliche). Inoltre le velocità in gioco sono di ordini di grandezza inferiori a quelle degli altri tipi di flusso (quindi non possiamo avere meccanismi come la saltazione). Il materiale preso in carico rimane dov'è, sulla superficie o all'interno della massa glaciale, o sprofonda lentamente nel ghiaccio per il proprio peso, o al più viene "trascinato" a contatto con il bedrock. Perciò non ha luogo alcuna selezione del materiale. Come risultato, il materiale trasportato dai ghiacciai ha una granulometria molto eterogenea, che va dal detrito più fine ai massi. I depositi con queste caratteristiche di assenza di classazione sono definiti diamicton[N 2].
Inoltre, i clasti derivati dall'erosione glaciale sono angolosi o a spigoli vivi, perché le modalità di trasporto non permettono neppure un'ulteriore abrasione, quindi hanno un arrotondamento scarso o nullo. A questo contribuisce anche il fatto che nell'ambiente glaciale abbiamo soprattutto processi di frammentazione di tipo fisico, mentre l'alterazione chimica, a bassa temperatura e in assenza di vegetazione e di suolo, gioca un ruolo molto secondario.

Questo vuol dire anche che il detrito glaciale ha composizione molto vicina a quella del bedrock, e sono molto comuni i frammenti inalterati. In queste condizioni, il materiale subisce una evoluzione molto lenta. In particolare, l'assenza di suolo e l'assenza di alterazione chimica limita lo sviluppo dei minerali argillosi. Pertanto il detrito fine è soprattutto limo (silt). Le frazioni più fini sono polvere delle stesse dimensioni dell'argilla, ma con scarsa componente argillosa in senso stretto, bensì composte di granuli di quarzo e altri minerali di dimensioni micrometriche, senza o con scarse proprietà colloidali. Quindi il detrito fine glaciale non floccula, e tende a rimanere in sospensione nell'acqua di fusione dei ghiacciai e poi dei torrenti proglaciali per molto tempo. Questa abbondanza di sedimento in sospensione causa la colorazione bianco-lattea o verdastra dei laghi alimentati da acqua di fusione glaciale.

I granuli di sabbia hanno spigoli vivi molto acuti, "a coltello", con fratture scheggiose ma poche tacche e impronte di urti con altri granuli. I ciottoli e i massi hanno tipicamente facce levigate e appiattite e forme a "ferro da stiro", e sono striati per lo sfregamento prodotto dal trasporto glaciale di fondo o contro i versanti; in quelli allungati le striature sono parallele all'asse maggiore, che coincide generalmente con la direzione di movimento del ghiacciaio. Se il ciottolo ha cambiato orientazione durante il trasporto le striature risultano incurvate o incrociate.

Il detrito trasportato dai ghiacciai non è necessariamente il risultato dell'erosione glaciale: i ghiacciai trasportano infatti anche materiale derivato dall'alterazione dei versanti che lo circondano (crioclastismo, termoclastismo, dilavamento), e, in regioni temperate, anche dal trasporto da parte di correnti acquee, soprattutto nella stagione estiva. Tutto questo contribuisce all'estrema eterogeneità dei sedimenti glaciali.

I depositi continentali di origine glaciale sono chiamati till. Attualmente, questi depositi condizionano la morfologia di vaste aree, a tutte le latitudini, hanno un impatto non trascurabile sulle attività umane (agricoltura, urbanistica, infrastrutture, strutture produttive) e una notevole rilevanza paesaggistica. Tuttavia, questo tipo di depositi (ad eccezione dei sedimenti più recenti dell'Era Quaternaria) si preserva piuttosto raramente nelle successioni geologiche più antiche. Questo perché le aree continentali sono costantemente al di sopra del livello di base finale, che è il livello medio del mare, e quindi questi depositi, contemporaneamente e posteriormente all'accumulo, sono sottoposti per lungo tempo a processi prevalentemente erosivi, fino ad essere sovente obliterati[N 3].

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Il modellamento fluviale (superiori)#I processi di erosione e sedimentazione fluviale.

Tuttavia, in diversi casi risultano preservati depositi glaciali anche molto antichi. In questo caso si tratta di sedimenti litificati, cioè trasformati in roccia, e si dicono tilliti.

Quando i ghiacciai incontrano i mari (o i laghi)

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Schema di una fronte glaciale in un contesto marino (o lacustre), con i relativi depositi e i principali processi deposizionali. Non in scala. Quando il ghiacciaio sfocia in mare, l'acqua di fusione subglaciale (meno densa dell'acqua di mare) tende a formare uno strato superficiale con sedimento fine in sospensione, che decanta gradualmente. Nel caso di un lago, si avrebbe un maggiore mescolamento delle acque. In caso di carico di acque subglaciali particolarmente fredde e torbide (quindi più dense delle acque lacustri) si avrebbero depositi di tipo iperpicnale.

Nelle aree ad elevata latitudine in cui i ghiacciai arrivano al livello del mare, possono deporsi sedimenti glacio-marini, con caratteri peculiari, che hanno un potenziale di preservazione maggiore rispetto ai depositi continentali. A tutte le latitudini, in laghi proglaciali, si depongono sedimenti glacio-lacustri, con caratteri in parte simili. In questi casi, la sedimentazione avviene con una influenza più o meno marcata dell'ambiente bacinale (mare o lago), che si esprime attraverso una parziale rielaborazione (mediante onde e correnti) dei sedimenti di origine glaciale. La presenza di un bacino permette anche la deposizione dei materiali fini per decantazione (cioè per il proprio peso, sotto l'azione della gravità). Questi materiali quindi avranno in parte una maggiore maturità tessiturale, che si traduce in una migliore selezione e in un arrotondamento più spinto.

Sono presenti depositi di till subglaciale, con selezione praticamente assente, mentre alla fronte si depongono sedimenti scaricati per gravità dalla fronte stessa. Verso l'esterno, questi depositi di matrice più chiaramente glaciale passano a sedimenti meglio selezionati e stratificati per flusso gravitativo (di tipo "torbiditico"). Se il ghiacciaio è stazionario i sedimenti terminali possono accumularsi fino ad emergere; in tal caso possono svilupparsi anche veri e propri delta di contatto glaciale, con sedimenti rielaborati dalle correnti in uscita dal fronte glaciale e dalle onde.
Le acque di fusione in entrata tendono in mare a risalire formando uno strato di acqua dolce (plume) ricca di sedimento fine in sospensione, che sedimenta gradualmente per decantazione. Verso bacino abbiamo quindi sedimenti fini, spesso ritmici (alternanze di silt e argilla), caratterizzati dalla presenza di ciottoli, blocchi e massi isolati (dropstone), "precipitati" dagli iceberg galleggianti distaccatisi dalla fronte del ghiacciaio. La presenza dei dropstone "imballati" in sedimenti fini è diagnostica per il riconoscimento di depositi glacio-marini o glacio-lacustri[N 4] . Nel caso di un lago, si avrebbe un maggiore mescolamento delle acque. In caso di carico di acque subglaciali particolarmente fredde e torbide (quindi più dense delle acque lacustri) si avrebbero depositi di tipo iperpicnale.

Non è facile distinguere i depositi glacio-marini da quelli glacio-lacustri in sedimenti antichi, perché la maggior parte dei processi e delle strutture sono comuni. Il criterio fondamentale è la presenza di fossili marini nei sedimenti fini laterali a quelli glaciali e proglaciali.

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • Materiali e tessiture dei depositi glaciali[4][5]
  • Meccanismi ed effetti dell'erosione glaciale[6]
  • Depositi glacio-marini e glacio-lacustri[7]

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Forme di erosione

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Animazione che esemplifica la formazione delle valli glaciali. Viene mostrata sia la fase di avanzata che di ritiro dei ghiacciai.

I ghiacciai esercitano un'azione erosiva potente ed efficace sulle rocce del fondo e sui versanti si esplica attraverso vari processi:

  • Abrasione delle rocce a contatto con la massa glaciale, sia sui versanti che sul fondo; questa azione viene esercitata sia direttamente dal ghiaccio (che è a sua volta a tutti gli effetti una roccia) che per opera dei detriti rocciosi inglobati (esarazione glaciale), levigando e "graffiando" la superficie rocciosa (striature glaciali).
  • Asportazione di detriti dai versanti e dal fondo. L'azione combinata del peso e del movimento del ghiacciaio, coadiuvata dallo scorrimento dell'acqua di fusione e dal meccanismo del gelo/disgelo, permette l'asportazione di frammenti rocciosi, anche di notevoli dimensioni (massi erratici), presi in carico dal ghiacciaio e deposti più a valle.
  • Rimozione dei frammenti già disgregati, e ridistribuzione lungo lo sviluppo del ghiacciaio.
  • Deformazione di depositi già presenti, non solo glaciali ma anche periglaciali (ad esempio marini o lacustri). Questa azione avviene normalmente per i depositi di fondo, ma è particolarmente accentuata nelle fasi di avanzamento dei ghiacciai, quando la fronte glaciale avanza deformando e in parte obliterando per erosione i depositi terminali delle fasi precedenti.

L'azione erosiva dei ghiacciai è legata allo spessore e alla massa del ghiaccio e alla quantità e natura del materiale in carico. Essa agisce sulle rocce, sui depositi recenti e modella il paesaggio. Le forme d'erosione più caratteristiche sono le seguenti.

La valle glaciale presenta un tipico profilo trasversale a "U", con fondo largo e piatto e fianchi ripidi, dovuto al meccanismo erosivo del ghiacciaio, che, contrariamente a quanto avviene per un fiume, si esercita lungo tutta la sezione di contatto tra il ghiaccio e la roccia incassante.

Schema di valle sospesa.

Valle sospesa.Quando il ghiacciaio che occupa una valle principale si ritira, il profilo di equilibrio dei torrenti tributari non ha il tempo di adeguarsi al mutato livello di base (prima costituito dal ghiacciaio). Quindi per un certo periodo le valli laterali rimangono appunto "sospese" con una soglia alta sulla valle principale, formando cascate o rapide. Con il passare del tempo, la rapida erosione regressiva operata da queste ultime tenderà a ripristinare il profilo di equilibrio dei torrenti laterale al nuovo livello di base (il fiume del fondovalle principale). L'altitudine delle soglie delle valli sospese permette di definire per differenza con il fondo valle lo spessore dell'antico ghiacciaio (al netto dell'erosione post-glaciale del corso d'acqua attuale di fondo valle).

Schema di un circo glaciale.

Il circo glaciale ha la forma di una conca, circondata su tre lati da una corona di creste e con soglia talora in contropendenza che la raccorda con il resto della valle glaciale. Alloggia il bacino collettore del ghiacciaio, in cui la massa glaciale esercita una erosione regressiva sui versanti incassanti. L'azione erosiva del ghiacciaio si esercita principalmente per asportazione diretta di materiale e per crioclastismo nella parte più a monte del circo, mentre verso la soglia del circo prevale l'azione di esarazione glaciale. Quando il ghiacciaio fonde, si può formare un lago di circo o tarn. I circhi glaciali sono spesso coalescenti, cioè nascono come morfologie individuali ma durante il loro sviluppo tendono ad "amalgamarsi" con altri circhi fino a formare dei delle morfologie composite in cui è talora difficile e soggettivo distinguere i circhi individuali originari. L'altitudine dei circhi abbandonati (inattivi) tende ad allinearsi secondo una linea ideale che riflette l'andamento dell'antica linea delle nevi perenni (assumendo che ciascun circo fosse occupato da un ghiacciaio individuale). In realtà nella maggior parte dei casi questa linea riflette un limite di neve "composito" mediato su diversi periodi di glaciazione durante i quali i circhi sono stati occupati, comunque su scala regionale questo metodo dà delle buone indicazioni generali di tipo paleoclimatico.

schema che illustra la formazione delle rocce montonate: il flusso glaciale esercita abrasione sulla parte a monte, levigandola e striandola, mentre sulla parte a valle opera soprattutto asportazione di materiale.

Le rocce montonate sono dossi rocciosi arrotondati e allungati nella direzione di scorrimento del ghiaccio, costituiti da affioramenti di rocce più difficilmente erodibili e modellate dall'esarazione. L'abrasione vi scava solchi paralleli, le striature glaciali: dalla loro direzione è possibile risalire alla direzione e talora al verso in cui è avvenuto il movimento locale del ghiacciaio. Nella parte più a valle delle rocce montonate, dove la pressione tangenziale della massa glaciale è minore, abbiamo soprattutto disgregazione della roccia per opera dell'acqua di fusione e dei fenomeni di gelo e disgelo, con asportazione dei frammenti.

Schema che illustra la genesi di un fiordo.

I Fiordi sono forme d'erosione vallive comuni nelle aree costiere alle alte latitudini (ad esempio Norvegia e Islanda dove il termine è stato coniato storicamente, ma anche in Scozia, Groenlandia, Labrador, e a sud in Nuova Zelanda e Patagonia). Il termine deriva dal norvegese fjord, islandese fjörður, che vuol dire "approdo" (la radice indo-europea è la stessa di "porto"). Si tratta di antiche valli glaciali a "U", formatesi nell'ultima era glaciale, e invase dal mare. Un fiordo si forma quando un ghiacciaio vallivo erode una valle a "U" che sfocia in mare. Secondo il modello standard, i fiordi hanno origine da valli fluviali a bassa inclinazione: durante la fase di avanzamento il ghiacciaio "sovraescava" per esarazione e asportazione di materiale una valle a "U", il cui fondo è spesso al di sotto del livello del mare, ed è delimitata all'imbocco da una soglia rilevata. Questo avviene perché il ghiacciaio risulta assottigliato presso la fronte verso mare e il tasso di erosione del bedrock è minore, e per la presenza sovente di depositi terminali (morene) che proteggono la roccia in posto dagli elementi. Questa soglia nei fiordi attuali, invasi dal mare, è sede di correnti pericolose, soprattutto ai cambi di marea, e talvolta di vere e proprie rapide marine con la marea calante. Alla fine dell'ultima fase glaciale, lo scioglimento dei grandi ghiacciai continentali e polari determinò una trasgressione marina su vaste aree costiere prima asciutte, inondando quindi queste valli costiere.

Schema che illustra la risalita crostale dopo una glaciazione.

Nelle aree di medio-alta latitudine, durante l'ultima glaciazione, molte aree continentali (tra cui l'area fenno-scandinava e baltica in Europa) erano caratterizzate da estese calotte glaciali con spessore di centinaia, fino ad alcune migliaia di metri. Il peso di queste calotte determinava un aumento locale della subsidenza. Lo scioglimento di queste calotte alla fine della glaciazione fu accompagnato dalla risalita della crosta terrestre a causa del venir meno del peso del ghiaccio. Spesso questa risalita era più veloce dell'aumento del livello del mare, e questo favorì una ulteriore sovraescavazione da parte questa volta dei corsi d'acqua per raggiungere il profilo di equilibrio. In altri casi quando la soglia non è stata erosa e si hanno depositi morenici cospicui al di sopra, i fiordi sono occupati da bacini lacustri d'acqua dolce.

Nunatak in Antartide occidentale (Isola di Thurston).

Nunatak (in lingua inuit: picco isolato) è un termine usato in geologia e in glaciologia per definire la sommità di una montagna non coperta da neve o ghiaccio che si erge all'interno oppure ai margini di un campo di ghiaccio o di un ghiacciaio o di una calotta glaciale (antartica, groenlandese o islandese). Spesso vengono chiamati anche isole glaciali. Hanno una morfologia aspra, sovente piramidale per le modalità dell'erosione cui sono sottoposti, prevalentemente per crioclastismo (cicli gelo/disgelo); in qualche caso con morfologia a mesa (altopiano roccioso). Quando i ghiacciai circostanti si ritirano, i nunatak restano come picchi o massicci isolati a forte contrasto con la morfologia circostante. Il loro isolamento spesso favorisce lo sviluppo di endemismi della flora e della fauna locale, che spesso perdurano anche posteriormente alla fine della glaciazione. Un esempio di nunatak in Italia è il Monte Barro, pochi chilometri a Sud di Lecco, una montagna isolata di forma grossolanamente piramidale che durante l'ultima glaciazione si ergeva in mezzo al ghiacciaio abduano (che occupava l'area valliva del Lario, ramo di Lecco), al suo sbocco nell'alta Pianura Padana. Questo rilievo è sede di un parco naturale regionale, ed è caratterizzato da importanti fenomeni di endemismo.

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • I processi e le forme di erosione glaciale[8][9]

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Forme di deposito

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Schema di ghiacciaio alpino con i principali depositi morenici.

I depositi di materiale di origine glaciale (till) che si depongono direttamente a contatto con un ghiacciaio sono definiti collettivamente in geomorfologia come morene[N 5].
A seconda della posizione rispetto al ghiacciaio, è possibile distinguerne vari tipi:

  • morena laterale: forma delle dorsali in corrispondenza del fianco del ghiacciaio, alla congiunzione con il versante. E' alimentata tipicamente dal detrito asportato direttamente dal ghiacciaio e da quello franato dai versanti, eroso dalle acque correnti o dal crioclastismo.
  • morena mediana: situata alla confluenza di due ghiacciai. Quando due lingue glaciali confluiscono, tipicamente il detrito delle morene laterali sui due fianchi della confluenza viene intrappolato nella parte mediana della nuova lingua glaciale che deriva dalla coalescenza (amalgamazione) delle due lingue. La morena mediana non è più alimentata direttamente dai versanti ma dalle morene laterali a monte, e il detrito in carico tende lentamente ad affondare nella massa glaciale sotto il suo stesso peso.
  • morena di fondo o morena basale: formata da materiale trascinato dal ghiacciaio all'interfaccia ghiaccio-roccia nella sua parte basale. Spesso questi depositi (soprattutto per ghiacciai di non grande estensione) sono privi di una morfologia definita, o tendono a formare degli accumuli soprattutto in rientranze e tasche rocciose. Tuttavia, nelle aree con aree glaciali più estese vi sono depositi con morfologie caratteristiche.
    Schema delle morfologie glaciali di fondo.
    • I kame sono collinette di forma irregolare o grossolanamente conica. Hanno origine da accumuli di sedimento supraglaciale in conche createsi sulla superficie glaciale durante la fusione di un ghiacciaio. Dopo lo scioglimento del ghiacciaio, questi accumuli collassano in forma di collinette. I sedimenti interni variano da depositi di till a depositi in parte rielaborati dalle acque di fusione, quindi meglio classati. Quando si tratta di depositi marginali (ad esempio morene laterali), a contatto con versanti, con il ritiro del ghiacciaio questi depositi collassano formando però a causa della loro maggiore continuità laterale morfologie a terrazzo (terrazzi di kame).
    • I kettle sono conche di forma da irregolare o tondeggiante. Derivano da plaghe di "ghiaccio morto" lasciato indietro dal ghiacciaio nella fase di ritiro e sepolto da sedimenti. Con il completo scioglimento del ghiaccio, restano come fosse nei depositi subglaciali, talora occupate da un lago di kettle. Sono spesso associati ai kame (morfologia a kame e kettle). I terrazzi di kame spesso recano dei kettle al margine, come strutture di collasso del margine stesso.
    • Gli esker sono rilievi allungati, sinuosi, nastriformi, talora interrotti o formati da allineamenti di rilievi minori. Sono composti da sedimenti fluvio-glaciali e sono l'espressione del riempimento di tunnel subglaciali in cui scorrevano corsi d'acqua (torrenti subglaciali). Una volta sciolto il ghiacciaio i sedimenti rimangono come rilievi. Sono composti di sedimenti in parte rielaborati dall'acqua di fusione, quindi con caratteri fluviali: predominano ghiaia e ciottoli (occasionalmente massi) con una certa selezione. La stratificazione è irregolare ma vi è spesso laminazione incrociata da corrente.
      schema di morfologia a drumlin.
    • I drumlin sono rilievi a pianta ellittica a "dorso di balena", allungati nella direzione di movimento del ghiacciaio, con il pendio più ripido volto a monte e digradanti in modo più graduale verso valle. Hanno lunghezze variabili da poche decine di metri ad alcuni chilometri, altezze da pochi metri ad una cinquantina di metri e rapporto lunghezza/larghezza inferiore a 0.5. Sono solitamente non forme isolate ma in "campi" con decine o centinaia di drumlin aventi lo stesso orientamento, posizionati dietro la morena frontale. I sedimenti hanno tipologie molto variabili, e la loro genesi è piuttosto discussa tra gli studiosi: è possibile che derivino dall'azione di più processi, o siano il risultato simile di processi diversi. In diversi casi sembrano essere il risultato della deformazione di depositi subglaciali tipo esker e kame operata dal ghiacciaio stesso nelle fasi di avanzamento. In altri contesti sembrano essere determinati dall'erosione di masse d'acqua e ghiaccio liberatesi in seguito ad inondazioni "catastrofiche" derivate dallo scioglimento rapido dei ghiacciai.
Morene terminali che mostrano vari stadi di ritiro del Ghiacciaio del Miage (Val Vény, Valle d'Aosta).)
  • morena terminale o morena frontale: localizzata davanti alla fronte glaciale. E' alimentata dal materiale scaricato dalla fronte per fusione del ghiaccio (dalle morene laterali, mediane e di fondo e dal detrito supraglaciale). Tipicamente a forma di anfiteatro con la concavità rivolta verso il ghiacciaio. L'altezza di queste morene varia in funzione dell'entità del ghiacciaio che le alimenta, da pochi metri a decine di metri sui terreni circostanti, in casi estremi oltre il centinaio di metri (la morena terminale del Ghiacciaio Khumbu, in Nepal, raggiunge 250 m di altezza). Sono composte di detrito molto eterogeneo (sabbioso-ghiaioso con massi) e il lato interno è di materiale "sciolto", tendente a collassare, mentre il lato esterno è sovente più consolidato e colonizzato da vegetazione. Rilievi geofisici hanno spesso individuato entro questi depositi nuclei significativi di "ghiaccio morto". Spesso si tratta di morfologie composite, che esprimono diverse fasi di avanzata e regresso del ghiacciaio e constano di più archi morenici giustapposti. Le morene terminali possono essere utilizzate per stimare lo spessore della fronte del ghiacciaio alla sua massima estensione (ovviamente, non possono essere più alte della fronte che le ha prodotte).
Esempio di deposito glacio-tettonico (morena di spinta) nelle isole Svalbard.
  • morena di spinta (push moraine): è un deposito morenico sempre alla fronte glaciale. Mentre però la morena frontale in senso stretto è il risultato del rilascio "passivo" di materiale per scioglimento della fronte del ghiacciaio, la morena di spinta viene accumulata per mezzo della spinta attiva del ghiacciaio stesso, che agisce come un "bulldozer". I depositi possono essere gli stessi della morena frontale o depositi di till subglaciale, o glacio-lacustri, o depositi della piana proglaciale preesistenti, ma intensamente deformati, spesso ripiegati internamente (con pieghe del tutto analoghe a quelle di origine tettonica) e con piani di taglio (simili a faglie) che li dislocano. A questo tipo di depositi si applica anche la definizione di depositi glacio-tettonici. La presenza delle morene di spinta è indicativa di una fase di avanzamento di un ghiacciaio, che può essere stagionale oppure su scala temporale più ampia, quindi fornisce indicazioni climatiche e paleoclimatiche di interesse. Le morene di spinta stagionali sono alte pochi metri (1-5 m), e hanno tipicamente il lato prossimale verso il ghiacciaio con minore inclinazione, mentre il lato distale è più ripido. In pianta mostrano frequentemente un pattern lobato, le cui rientranze sono rimarcate da allineamenti di massi che derivano dai depositi accumulati nei crepacci longitudinali della fronte glaciale. Sono però segnalati sistemi glacio-tettonici di morene terminali alle alte latitudini (ad esempio in Russia e in Scandinavia) con sviluppo di chilometri e altezze di decine di metri, con ripiegamenti e linee di sovrascorrimento causati dalla spinta del ghiacciaio sia nel ghiaccio stesso sia nei depositi morenici, e inclusi di "ghiaccio morto" (isolati dal ghiacciaio attivo) anche di notevole entità.
  • I massi erratici sono blocchi di roccia trasportati a valle dal ghiacciaio e là abbandonati dopo il ritiro. Si tratta di blocchi anche di notevole entità (da metri a decine di metri), striati e in parte levigati dal trasporto glaciale. Si riconoscono spesso perché di composizione sicuramente alloctona rispetto al territorio che li accoglie. Esempi classici sono in Brianza e nel Milanese i trovanti di "Serizzo" e "Ghiandone" (rocce granitoidi) derivati dal plutone della Val Masino e Val Bregaglia (Media Valtellina e Svizzera meridionale), portati dal Ghiacciaio Abduano. Spesso questi massi sono stati utilizzati nei secoli per ricavarne elementi architettonici (colonne, pilastri, architravi, sarcofagi etc.).

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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Esogeologia

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L'ambiente glaciale, come altri, non è esclusivo della Terra. In numerosi corpi celesti appartenenti al Sistema Solare è riscontrabile la presenza di ghiacciai e di morfologie relazionate con essi. Anzi, nei corpi planetari e satellitari esterni del nostro sistema, oltre la cosiddetta frost line (linea della neve), che decorre all'incirca tra Marte e Giove (all'interno della Fascia degli Asteroidi), le temperature sono tali che l'acqua (insieme a diversi altri materiali, come l'ammoniaca e il metano e in generale i composti dell'Idrogeno) sono prevalentemente allo stato solido. La presenza di ghiacciai è ben conosciuta su Marte, caratterizzato da due calotte polari ben sviluppate formate prevalentemente da ghiaccio di acqua e di anidride carbonica. Nelle regioni subpolari del pianeta sono visibili veri e propri ghiacciai con caratteri simili agli analoghi terrestri.

Note

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Esplicative

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  1. La viscosità è una grandezza fisica che misura la resistenza di un fluido allo scorrimento. E' legata all'attrito tra le molecole del fluido. Ad esempio: il miele è più viscoso dell'acqua.
  2. Un diamicton (o diamictite se si tratta di una roccia, cioè di un diamicton litificato) è definito in base ai suoi caratteri tessiturali, non all'origine o ai processi deposizionali: quindi non è necessariamente di origine glaciale. Può essere anche di origine torbiditica in senso lato, o da colata gravitativa in ambiente subaereo (ad esempio in un conoide di deiezione). In generale si tratta di un deposito con scarsa maturità (cioè con basso grado di elaborazione).
  3. Nelle aree ad altitudine elevata è anche assai poco probabile (a meno di imponenti movimenti tettonici) che variazioni del livello del mare arrivino a sommergere zone glaciali, preservando i relativi sedimenti sotto sedimenti marini.
  4. Ovviamente, occorre sempre considerare l'associazione di facies nel suo complesso: strutture simili a dropstones si possono rinvenire ad esempio anche in depositi piroclastici. In quel caso si tratta però di bombe vulcaniche...
  5. Si sottolinea che con till si definisce il materiale detritico, mentre le morene sono le forme di deposito. in altre parole: le morene sono composte dal till.

Bibliografiche

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  1. Cristina Zerbi, La legge di Somigliana, Meridiani Montagne N°39 (pag. 30), Domus Editore, Rozzano (MI), luglio 2009
  2. Bennett e Glasser (2009), pp. 39-107.
  3. Nichols (2009), pp. 102-105.
  4. Nichols (2009), pp. 106-107.
  5. Ricci Lucchi (1980), pp. 175-177.
  6. Bennett e Glasser (2009), pp. 108-132.
  7. Bennett e Glasser (2009), pp. 305-326.
  8. Nichols (2009), pp. 105-107.
  9. Bennett e Glasser (2009), pp. 108-183.
  10. Nichols (2009), pp. 107-110.
  11. Bennett e Glasser (2009), pp. 247-304.

Bibliografia

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Per ulteriori approfondimenti ed eventuali necessità di citazione, si danno di seguito alcuni testi "chiave" per completezza e chiarezza di trattazione.

  • (EN) Bennett M.R. e Glasser N.F., Glacial Geology – Ice sheets and landforms. Second Edition, Chichester (UK), Wiley-Blackwell, 2009.
  • (EN) Nichols G., Sedimentology and stratigraphy - 2nd ed., Oxford, UK, Wiley-Blackwell, 2009, pp. 102-113.
  • Ricci Lucchi F., Sedimentologia. Parte 1 - Materiali e tessiture dei sedimenti, Bologna, CLUEB, 1980, pp. 25-36; pp. 125-144.