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Piero Guccione

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Piero Guccione negli anni Sessanta, foto di Alfio Di Bella

Piero Guccione (1935 – 2018), pittore e incisore italiano.

Citazioni di Piero Guccione

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  • Dovrei parlare di pittura, scriverne anzi, e della mia in particolare. Ma non ho voglia di farlo. Vi sono giorni, come oggi, in cui la pittura è un remoto fruscio di preziosissima seta a fronte della sonorità straziante di certe "emergenze": che viviamo direttamente o, peggio, che ci arrivano attraverso sconosciuti cavi e canali; da lontani, artificiali satelliti...[1]
  • Il percorso iniziato nella seconda metà degli anni Sessanta, con le prime, timide prese di contatto con la superficie marina, vede effettivamente qualche risultato nella serie dei mari realizzata intorno al 1980. Fu un percorso lento. Per la prima volta presi coscienza della sproporzionata quantità di tempo occorrente a fare la pittura. Di questa situazione – del resto immodificabile – fui un po' sconvolto e annoiato. Così mi rivolsi al pastello perché prometteva risposte più immediate, comunicazione ed esecuzione più rapide; non certo per il mercato, ma per l'urgenza espressiva più consona, se vogliamo, a una certa tradizione della nostra modernità. Però non immaginavo quanto la questione tempo – la sua inverosimile dilatazione – sarebbe diventata primaria e, come si usa dire oggi, strutturale nello sviluppo successivo del mio lavoro.[2]
  • Ogni quadro, ormai, è un interminabile viaggio che si va compiendo nei due o tre metri quadrati antistanti il cavalletto, avanti e indietro; cioè, lo spazio necessario per poterlo meglio osservare e controllare. Lunga e paziente veglia nell'attesa di scorgere il primo lembo di una misteriosa terra promessa (dove nessun popolo, però, è chiamato a salvarsi). Dunque più giusto dire che si tratta di un semplice scoglio a cui, solo, posso aggrapparmi e riposare qualche istante.[3]

La Sicilia è un albero di carrubo

Intervista di Lillo Gullo, Alto Adige, 3 gennaio 1990.

  • [Leonardo Sciascia, che ha utilizzato un tuo quadro per la copertina di Occhio di capra, sosteneva che molti paesi siciliani voltano le spalle al mare, che trovano ostile. Tu, invece, da quando sei ritornato a Scicli, dopo 15 anni di "parentesi" romana, ne hai fatto il tuo soggetto preferito. Perché?] La mia pittura si è sempre sviluppata con le case che ho abitato, cioè ho sempre dipinto quello che avevo attorno e con cui avevo dimestichezza quotidiana, una dimestichezza visiva che poi magari si arricchiva di altri significati. Così probabilmente è stato anche con il mare. Inoltre, il mare, elemento perennemente mobile e nello stesso tempo immobile, dal punto di vista della rappresentazione pittorica mi ha sempre intrigato, al punto da arrivare a dipingere una tela di quattro metri solo per catturare lo scatto, il momento del movimento di un'increspatura di due centimetri.
  • [Nei tuoi ultimi lavori è scomparsa la figura. Come mai?] La figura è scomparsa non tanto per mancanza di interesse ma perché penso che l'occhio diventa di per sé figura, l'occhio umano, intendo, che restituisce un'immagine dell'uomo attraverso l'immagine delle cose. Per il passato, va detto che non si trattava di persone a caso, ma di persone precise. Erano ritratti di amici conosciuti e osservati a lungo.
  • [Hai realizzato una serie di grandi pastelli dove il protagonista è il carrubo.] Nel Ragusano, il carrubo è un albero molto comune; poi mi è simpatico come albero, anche perché durante la guerra ha nutrito, e quindi salvato, parecchie persone. Il carrubo dei miei pastelli non è però un carrubo gioioso ma un carrubo ferito che nasce da un'esperienza visiva. L'ho visto, in pratica, schiantato da un forte vento. Ma ho voluto anche dargli un significato morale, farlo divenire l'emblema di una sorta di distruzione incombente...
  • [Allora, il carrubo ferito sarebbe la Sicilia ferita?] Non solo la Sicilia, ma anche il mondo, e soprattutto noi stessi.

Citazioni su Piero Guccione

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  • Chissà quale raziocinio o istinto, dottrina o presagio spinge un pittore a ritagliarsi questa o quella porzione nella totalità del visibile, per farne il proprio idolo iconico e quasi l'interprete privilegiato nel suo rapporto con l'infelicità della storia. Gli è sufficiente, talvolta, un elemento anche minimo – un manichino, una bottiglia, un muro – ed ecco, in virtù d'un miracolo che non finisce di meravigliarci, vivere in quella presenza, e splendere, il corpo intero dell'universo. Così per Piero Guccione l'albero: la vita, la morte e la passione dell'albero, sotto la specie doppia e contemporanea di creatura vegetale, inscritta all'anagrafe della nomenclatura botanica, e di carrubo-Cristo, emblema e testimonio incarnato del mondo offeso. [...] In Guccione, la pena è moltiplicata: a dargli patimento non è il semplice spettacolo di un'aiola en souffrance, ma quello, più crudo, della terra in pericolo, spogliata, saharizzata, ridotta da verde selva a deserto di dune gialle. (Gesualdo Bufalino)
  • Da alcuni anni ormai sono un'ammiratrice dell'itinerario bello, complesso di Piero Guccione. Un'arte di vasta e raffinata ambizione, ricca di un'intensità di visione personale propria della tradizione modernista. Ciò che ne fa un artista totalmente modernista è che la sua opera non propone un rapporto trasgressivo con la pittura stessa. E ciò che non rende il suo lavoro tipicamente contemporaneo è l'essenza di una distanza ironica dal modo in cui la pittura incarna il pensare o suscita il sentire. Guccione non si volge al passato come a qualcosa da annullare o meglio (come si dice oggi) di cui appropriarsi. Né intende, con l'arte, sferrare ancora un attacco alle capacità di empatia dello spettatore. [...] I quadri di Guccione belli, solenni, appassionati hanno un vigore contemplativo che rende difficile considerarli semplicemente rilevanti. Quando saranno concluse tutte le rassegne, costruite le scuole, ratificate le clamorose transazioni di influenza, queste opere continueranno a parlare nel loro registro necessario d interiorità, di singolarità di amore per la pittura stessa. (Susan Sontag)
  • Da molti anni Guccione dipinge il mare. [...] Guccione sostituisce alla terra con i suoi monti, le pianure, i dirupi, le onde di nebbia, il cielo, sostituisce a tutto il mare: la contemplazione suprema avviene tra l'uomo e il mare. (Roberto Tassi)
  • E dunque la parola "astrologare", "strologare", può avere il senso proprio di scrutare e studiare gli astri, di indovinarne le leggi e quello, più abusato e comune, di indovinare negli astri – come in un sogno immenso – il destino degli uomini. In questo duplice senso, così cogliendone l'essenza, possiamo dire che Piero Guccione ha "astrologato" immagini dal Gattopardo: come dalla volta notturna che don Fabrizio contempla e che una di queste immagini rende con misteriosa e ineffabile profondità. Ed è da dire che nella storia del libro illustrato, delle interpretazioni in immagini di opere letterarie, non molti esempi abbiamo di così stretta congenialità, di così immediata e sottile affinità, paragonabili a questo incontro del siciliano Guccione col romanzo del siciliano Tomasi: onirico incontro su una irredimibile realtà. (Leonardo Sciascia)
  • Eppure Guccione ci indica come nello stesso oggetto che noi sorvoliamo con sguardo distratto risieda l'infinito. E quell'oggetto ne manda indiscutibilmente i bagliori, ne trattiene il battito riparato e segreto. (Marco Goldin)
  • La strada che Piero Guccione ha intrapreso ormai da lunghi anni è difficile, impervia e affascinante a un tempo: costeggia, tanto spesso sconfinando, l'infinito. Il sogno che ha silenziosamente colto e indirizzato molte vite, oggi egli ce lo indica come fine di un'altra vita, la sua. (Marco Goldin)
  • Per Guccione la pittura sembra essersi assunta il compito di restituire una presenza lirica, intensificata, dell'immagine di taglio e riscontro quotidiani. Di costruire dunque un succedersi di visioni tipiche, sempre assolute, pur nella loro quasi precarietà e occasionalità appunto di taglio e di circostanza, che tuttavia mirano in realtà a consegnarsi, diversamente fissate nella dimensione lirica, in una sorta di assoluto. In fondo Guccione tenta di istituire una possibilità di assolutezza lirica entro la dimensione del presente dato come tale, sul suo fondamento d'esistenza. Esattamente, si potrebbe dire, come possibilità di istituire l'effimero per eterno, a patto di saper vivere entro l'effimero e l'episodico una totalità e assolutezza di valori del sentimento e dei sensi. Ci evoca dunque fantasmi di un assoluto vivibile presente. E la sua grafica partecipa intensamente di questa condizione, direi la sviluppa nella pratica appunto di possibilità specifiche ai “mezzi” utilizzati. (Enrico Crispolti)
  • Nell'arte del Novecento, le bottiglie non possono che essere quelle di Giorgio Morandi. Il mare di questo secolo, invece, è quello che Piero Guccione instancabilmente dipinge a Sampieri in Sicilia. E se nelle bottiglie morandiane non si deve indovinare il liquido, nel mare guccioniano non si va in cerca di pesci. È l'uomo, infatti, il nucleo segreto di entrambi gli artisti. È un geometrico e, al contempo, lirico interrogarsi sul destino dell'uomo contemporaneo ad un'ora precisa, in un luogo preciso e con un preciso stato d'animo. (Flora Graiff)

Note

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  1. Da Da un piccolo diario fuori tempo. 15.6.1986, in Piero Guccione, Su Scicli e dintorni, a cura di Giuseppe Nifosì, Ass. Il Giornale di Scicli, Modica (RG), 1992, p. 46.
  2. Citato in Marco Goldin, Dipingere la bellezza. Parole con Piero Guccione, in Piero Guccione, Huiles, pastels et crayons, Catalogo mostra, Éditions Galerie Claude Bernard, Paris, 1998.
  3. Da Note sparse, in Marco Goldin, Guccione, Electa, Milano, 1995.

Altri progetti

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