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Utente:Presbite/Sandbox8

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Le accuse alla Osoppo consistettero in una serie di fatti che i partigiani comunisti appartenenti alle formazioni slovene, gappiste e garibaldine imputarono alle forze delle Brigate Osoppo-Friuli. Questi fatti - alcuni dei quali completamente inventati - vennero rimarcati in occasione dei processi per l'eccidio di Porzûs e costituirono uno dei principali filoni di propaganda antiosovana posti in essere dalla stampa del PCI. La loro qualificazione in ambito giudiziario venne definita nei diversi gradi di giudizio e scagionò completamente le forze osovane da ogni accusa. Ciononostante, nei decenni successivi le polemiche continuarono, spostandosi dal campo giudiziario a quello giornalistico-storiografico. A partire dagli anni '90 del XX secolo le medesime accuse sono state rilanciate solamente da Alessandra Kersevan, le cui tesi sono state riprese in seguito da altri autori legati alla sinistra estrema.

Contatti fra Decima Mas e Osoppo

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28 gennaio 1945: informativa da parte della prefettura di Udine della RSI sulle presunte trattative fra tedeschi, Decima Mas e Osoppo

Nell'inverno 1944-45 venne aperta una trattativa tra alcuni esponenti della Osoppo e il comando della Decima Mas: quest'ultima voleva proporre agli osovani di organizzare una comune difesa del confine orientale italiano contro le formazioni partigiane jugoslave. Tutto si risolse in un nulla di fatto, ma la vicenda venne utilizzata sia dai gappisti per giustificare l'eccidio nell'immediatezza degli eventi, sia dalla stampa comunista nel dopoguerra per attaccare gli osovani. È anche da rilevare che nel dopoguerra la pubblicistica di destra ha più volte speculato sulla questione, dando per stipulato un accordo che invece non venne mai raggiunto[1]. Di seguito si riportano le versioni dei principali protagonisti dei contatti e la motivazione della sentenza della Corte di Assise di Firenze che confermò che mai venne stretto alcun accordo fra Decima Mas e Osoppo.

La versione di Morelli

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Nel gennaio 1945, in seguito a colloqui tra Cino Boccazzi "Piave" (capitano dell'esercito del sud, paracadutato dagli inglesi dietro le linee, catturato come spia dalla Decima Mas e da questa trattenuto con possibilità di spostamento e di comunicazione via radio con lo stato maggiore del regio esercito[2]) e Manlio Morelli (capitano del battaglione "Valanga"), quest'ultimo informò Borghese che era giunto il momento di aprire una trattativa con gli osovani. Secondo la ricostruzione di Morelli, Borghese diede a quest'ultimo il compito di organizzargli un incontro con un rappresentante della Osoppo. Il comandante Candido Grassi "Verdi" accettò di incontrare Borghese o un suo delegato: l'incontro si svolse a Vittorio Veneto, ma Borghese non poté parteciparvi a causa di impegni di servizio. All'incontro partecipò Cino Boccazzi. Le trattative sarebbero pervenute alle seguenti conclusioni: la Decima non avrebbe potuto aggregarsi direttamente alla Osoppo, tuttavia un'unità di montagna della Decima avrebbe potuto unirsi alla Osoppo per aprire la strada ad altre forze. La Osoppo avrebbe per contro dovuto garantire i collegamenti tra i comandi delle due unità e le forze dislocate in montagna. L'incontro non portò però alla firma di un accordo, perché - a parere di Morelli - occorreva prima informare il comando del Corpo Italiano di Liberazione, da cui dipendeva la Osoppo, e vincere le resistenze all'interno della Decima. L'incalzare degli eventi fece poi passare in secondo piano, per la Decima, la questione della Osoppo.[3].

La versione di Boccazzi

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Boccazzi ricostruì la vicenda varie volte, con dovizia di particolari e alcune notevoli differenze rispetto a Morelli: ricordando d'esser stato all'epoca componente della missione inglese presso la Garibaldi-Natisone al comando del maggiore inglese Thomas John Roworth "Nicholson", venne catturato in combattimento il 14 dicembre 1944 a casera Le Valine in Val Tramontina. Personalmente interrogato da Borghese, gli venne chiesto di tentare un collegamento col comando alleato e con l'esercito del sud. Comunicata la cosa al maggiore Nicholson e fattogli sapere che tramite questo contatto avrebbe potuto inviare una serie di notizie utili, il comando alleato diede istruzioni di mantenere aperto il canale di comunicazione. In un secondo colloquio tenutosi il 26 gennaio 1945 sempre con Borghese, venne concertato di spedire Boccazzi in Friuli per combinare un incontro fra quest'ultimo e lo stesso Nicholson. Della cosa era stato informato solo il capitano Morelli. Oltre a ciò, Borghese chiese di cercare di contattare anche la Osoppo, per discutere la situazione della frontiera orientale. Raggiunta Udine, il pomeriggio del 28 gennaio Boccazzi s'incontrò quindi con Nicholson, "Verdi" e don Aldo Moretti "Lino" (fra i fondatori della Osoppo) al Tempio Ossario, e insieme l'ufficiale inglese e i comandanti osovani diedero il via all'operazione. Così conclude il racconto Boccazzi: «Il 15 febbraio - l'eccidio di Porzus avvenne il giorno 7-2-1945 - ci fu un inconcludente colloquio fra Verdi e il capitano Morelli a Vittorio Veneto e capimmo che dalla Decima e da Borghese non si poteva cavare molto data l'irrazionalità del loro procedere. Il comando alleato, informato di tutto ciò, diede ordine di sospendere tutto (...)»[4].

La versione di Nicholson

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Anche il maggiore Roworth "Nicholson" fornì una sua versione sulla vicenda, che ricalca sostanzialmente quella di Boccazzi ed è utile anche per inquadrare temporalmente i fatti citati. In un rapporto top secret non datato inoltrato all'Headquarters Allied Military Government - Eight Army egli ricapitolò le offerte presentate dalla Decima durante il colloquio con "Piave", concludendo che «La X Flottiglia Mas ha proposto di inviare due rappresentanti assieme a "Verdi" e a me al Quartier Generale alleato (...), per discutere la possibilità di un'azione congiunta. Su mia disposizione nessun atto di conciliazione fra le formazioni "Osoppo" e la X Flottiglia Mas è stato sviluppato, ma tutta la materia è stata posta all'esame del Quartier Generale alleato». Il 27 gennaio 1945 "Nicholson" inviò un messaggio via trasmittente alla propria base nel Sud: il giorno dopo arrivò la risposta: «Borghese ha fatto approcci con gli Alleati a mezzo Svizzera alcuni mesi fa. Il 17° gruppo armate ordina di non agire perché il tempo non è maturo. In ogni caso Borghese e i suoi uomini hanno una pessima reputazione, e ciò vale ancora. Perciò si avvisa di usare la massima cautela nel trattare con lui. La migliore condotta è quella di sfruttare la situazione per ottenere informazioni su attività antipartigiana (...)». Nella successiva immediata risposta, "Nicholson" inquadrò la vicenda in modo più ampio: «Relazioni fra sloveni e italiani molto tese sulla zona disputata qui, e se ora il ministero degli Esteri [NDR: il Foreign Office] non fa passi con i due governi qui vi sarà la guerra fra di loro non appena i tedeschi se ne andranno, dal momento che entrambe le parti hanno deciso ora di occupare e tenere la zona disputata con la forza. Suggerisco che una zona convenuta sia lasciata libera sino a che non arrivano le truppe alleate. Posso far mantenere questo piano dagli italiani (...)». Il 6 febbraio "Nicholson" torna alla carica: «Willie [NDR: nome in codice di Borghese] formula precise promesse alla "Osoppo" di fornire le armi (...). Intermediario è "Piave" che comprendo e stimo. Borghese domanda colloqui diretti con me, giacché la "Osoppo" non fa niente senza il mio assenso, e in ogni caso desidera fare proposte dirette agli Alleati. (...)». Il comando alleato rifiutò però di proseguire nei contatti con Borghese, e la cosa si arenò definitivamente[5].

La ricostruzione del fatto secondo le risultanze processuali

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Dell'episodio specifico si parlò diffusamente sia nelle varie fasi del processo contro gli esecutori dell'eccidio che nel corso del precedente processo a Borghese. Vennero chiamati a testimoniare sia i partecipanti che gli organizzatori dell'incontro, mentre l'Unità - che aveva inviato al processo il comandante garibaldino Ferdinando Mautino, testimone per la difesa - titolò «"Cordiali" i rapporti fra fascisti e Osoppo»[6]. Le corti rilevarono che l'esito dell'incontro fu negativo, e che quindi non fu stretto alcun accordo fra Decima Mas e Osoppo. Infine, venne rilevata «l'assoluta ininfluenza del colloquio di Vittorio Veneto sull'azione di Porzûs»: l'incontro ebbe luogo - secondo le diverse testimonianze - il 30 o 31 gennaio o - alternativamente - il 15 febbraio 1945. Nel secondo caso esso sarebbe stato successivo all'eccidio, ma anche nel primo caso sarebbe stato posteriore agli ordini esecutivi per l'attacco alle malghe, che vennero inoltrati il 24 gennaio 1945. Le corti così conclusero: «Nessuna ombra può quindi rimanere non solo sulla persona di "Bolla", il quale rimase completamente estraneo all'incontro di Vittorio Veneto, ma neppure su "Verdi"», rilevando come lo stesso Candido Grassi "Verdi" successivamente entrò a far parte del Comando Unico di coordinamento fra garibaldini e osovani e Luigi Longo - dopo la liberazione - lo inserì in un suo libro fra i «quattro massimi esponenti della lotta di liberazione veneta, qualificandoli come gli "eroici partigiani veneti" che non avevano lasciato passare i tedeschi»[7].

Contatti con altri fascisti

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Contatti con i tedeschi

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Il presidio di Ravosa

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La vicenda di Ravosa costituì - all'epoca del processo - una delle principali accuse contro la Osoppo: Mautino arrivò a scrivere sulle pagine de l'Unità che «la costituzione e l'attività del presidio di Ravosa rappresenta uno dei casi di maggiore evidenza della collaborazione del comando opportunista di Bolla coi tedeschi ed i fascisti[8]». Della vicenda l'inviato del quotidiano comunista se ne occupò in quattro diversi articoli dai significativi titoli di «Nella Osoppo c'erano partigiani veri e falsi!»[9], «Persino l'accusa ha confermato l'accordo della "Osoppo" coi nazisti»[10], «"Cordiali" i rapporti fra fascisti e Osoppo»[11] e «I tedeschi fucilavano i garibaldini risparmiando quelli della Osoppo»[12].

Descrizione del fatto

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Dopo i rastrellamenti nel Friuli orientale del settembre 1944 i tedeschi stanziarono nella zona vari presidi di Cosacchi collaborazionisti, che sottoposero la popolazione a continue vessazioni. Un certo Secondo Clocchiatti, indicato come spia al servizio dell'SD tedesco dallo storico comunista Mario Pacor – durante la Resistenza ufficiale di collegamento in Friuli fra i reparti garibaldini e il IX Korpus sloveno nonché direttore del giornale Il Nostro Avvenire, emanazione del IX Korpus stesso e in seguito organo ufficiale in lingua italiana del governo jugoslavo nei territori occupati della Venezia Giulia[13] – ma in studi seguenti inquadrato invece come «uomo molto scaltro che riusciva a mantenersi in un precario equilibrio fra fascisti e partigiani»[14], il 14 gennaio 1945 s'incontrò a Ravosa con quattro fra i maggiorenti locali: don Zuliani, G.Ronchi, F.Fattori e il prof. Enrico Coletti, che gli rappresentarono la situazione e prospettando come soluzione l'istituzione di una guardia civica. A Udine Clocchiatti entrò in contatto col capitano della MDT Walter Bruno Pozzi[15], e lo convinse ad istituire il nuovo presidio. Pozzi pose come condizione che fosse composto da soli militi fascisti, con la garanzia che questi non avrebbero subito molestie dai partigiani. Secondo quanto testimoniato dallo stesso Clocchiatti, dell'operazione vennero messi al corrente sia il responsabile dell'Ufficio Informazioni della Osoppo Leonardo Bonitti "Tullio" (che a sua volta informò Alfredo Berzanti "Paolo") che il comandante garibaldino Leo Scagliarini "Ricciotti", responsabile della polizia partigiana. Durante un colloquio tenutosi nel ristorante udinese "Alla Vedova", osovani e garibaldini diedero l'assenso alla costituzione del presidio. Su richiesta di Pozzi si organizzò un ulteriore incontro fra il capitano repubblichino, osovani e garibaldini nella seconda quindicina di gennaio del 1945, in un casolare a metà strada fra Canebola e Racchiuso. L'accordo definitivo venne raggiunto a fine gennaio.

La vicenda di Elda Turchetti

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La 1ª Brigata Osoppo ospitava Elda Turchetti, una giovane donna che Radio Londra aveva indicato come spia. In seguito a tale denuncia, la stessa Turchetti si era presentata spontaneamente a un partigiano gappista suo conoscente di nome Attilio Tracogna "Paura": questi l'aveva condotta da Adriano Cernotto "Ciclone" (gerarchicamente dipendente proprio da Toffanin), che non sapendo quali decisioni prendere l'aveva riconsegnata a "Paura", il quale la portò quindi all'osovano Agostino Benetti "Gustavo", dipendente dal responsabile dell'Ufficio Informazioni della Osoppo Leonardo Bonitti "Tullio". La Turchetti venne in seguito affidata all'osovano Ivo Feruglio "Marinaio", che il 13 dicembre 1944 la portò a Topli Uork[16][17][18]. Lì fu assolta in istruttoria al termine di un processo partigiano conclusosi il 1º febbraio 1945[19][20]. Dal ruolino della Osoppo tenuto da "Bolla" risulta che la donna era stata arruolata a tutti gli effetti nella 1ª Brigata Osoppo, col nome di "Livia"[21][22]. La protezione data a Elda Turchetti fu in seguito indicata – nelle varie e spesso contraddittorie ricostruzioni di Toffanin – come il motivo scatenante dell'azione dei partigiani garibaldini[23].

  1. ^ In merito si vedano le secche precisazioni di Galliano Fogar - comandante partigiano di Giustizia e Libertà, storico e cofondatore dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia: La stampa falsa la storia, in Il Piccolo, Trieste, 30 gennaio 1995.
  2. ^ Rapporto di intelligence citato in: Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani 1943-1947, Bompiani (2004), pp. 52.
  3. ^ Rapporto del capitano Morelli del 21 agosto 1945, citato in: Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani 1943-1947, Bompiani (2004), pp. 54-56.
  4. ^ L'intera testimonianza di Boccazzi è tratta da Cino Boccazzi, Moventi e pretesti alle malghe di Porzus. Una lettera di Piave (Cino Boccazzi), in Storia contemporanea in Friuli, Anno VI, n. 7, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine 1976, pp. 331-334.
  5. ^ Lazzero 1984, pp. 127-152
  6. ^ Ferdinando Mautino, "Cordiali" i rapporti fra fascisti e Osoppo, in l'Unità, 9 novembre 1951, p. 5.
  7. ^ Tutto il capoverso e le citazioni virgolettate sono tratte da Bianchi e Silvani 2012, pp. 263-266.
  8. ^ Ferdinando Mautino, Persino l'accusa ha confermato l'accordo della "Osoppo" coi nazisti (PDF), in 20 ottobre 1951, l'Unità. URL consultato il 22 marzo 2015.
  9. ^ Ferdinando Mautino, Nella Osoppo c'erano partigiani veri e falsi! (PDF), in 18 ottobre 1951, l'Unità. URL consultato il 22 marzo 2015.
  10. ^ Ferdinando Mautino, Persino l'accusa ha confermato l'accordo della "Osoppo" coi nazisti (PDF), in 20 ottobre 1951, l'Unità. URL consultato il 22 marzo 2015.
  11. ^ Ferdinando Mautino, "Cordiali" i rapporti fra fascisti e Osoppo (PDF), in 9 novembre 1951, L'Unità. URL consultato il 22 marzo 2015.
  12. ^ Ferdinando Mautino, I tedeschi fucilavano i garibaldini risparmiando quelli della Osoppo (PDF), in 15 novembre 1951, l'Unità. URL consultato il 22 marzo 2015.
  13. ^ Mario Pacor, Confine orientale: questione nazionale e Resistenza nel Friuli-Venezia Giulia, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 306.
  14. ^ Cesselli 1975, pp. 45-46
  15. ^ Nome completo e alcune scarne indicazioni sul reparto che comandò in Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland. Udine Gorizia Trieste Pola Fiume e Lubiana durante l'occupazione tedesca 1943-1945, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 2005, p. 236.
  16. ^ Bianchi e Silvani 2012, pp. 194-195.
  17. ^ Strazzolini 2008, min. 2:17:02 ss.
  18. ^ Cesselli 1975, p. 48
  19. ^ Oliva 2002, p. 195.
  20. ^ L'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione mantiene nei propri archivi la copia dell'incartamento approntato dalla Osoppo per l'indagine. L'originale venne sequestrato a Topli Uork dai gappisti e in seguito fu depositato nell'archivio di Lubiana. La documentazione venne reperita solamente negli anni settanta.
  21. ^ Paolo Strazzolini, Elda Turchetti: vittima dimenticata, in La Domenica del Messaggero, 11 giugno 1995.
  22. ^ Strazzolini 2006, pp. 58-59.
  23. ^ Danilo De Marco, Nubi sulla Resistenza (PDF), in l'Unità due, 12 agosto 1997. URL consultato il 1º luglio 2012.
Saggistica
  • Elena Aga Rossi, Victor Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, Il Mulino, 1997, ISBN 978-88-15-11869-1.
  • Elena Aga Rossi, Antonio Carioti, I prodromi dell'eccidio di Porzûs, in Ventunesimo Secolo, n. 16, giugno 2008, pp. 83-88.
  • Gianfranco Bianchi e Silvano Silvani (a cura di), Per rompere un silenzio più triste della morte. Il processo di Porzûs. Testo della sentenza 30.04.1954 della corte d'assise d'appello di Firenze, Udine, La Nuova Base Editrice, 2012 [1983], ISBN 88-6329-059-8.
  • Alberto Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-45, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 2003, ISBN 88-87388-10-5.
  • Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Bologna, Il Mulino, 2007, ISBN 88-15-11394-0.
  • Marco Cesselli, Porzûs. Due volti della Resistenza, Milano, La Pietra, 1975. Ristampa: Udine, Aviani, 2012. ISBN 978-88-7772-153-2
  • Primo Cresta, Un partigiano dell'Osoppo al confine orientale, Udine, Del Bianco, 1969.
  • Galliano Fogar - Sotto l'occupazione nazista nelle provincie orientali - Udine, Del Bianco, 1961. (Quarto volume della serie “lotta politica e resistenza nella venezia giulia”)
  • Daiana Franceschini, Porzûs. La Resistenza lacerata, Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia, 1998.
  • Sergio Gervasutti, Il giorno nero di Porzus. La stagione della Osoppo, Venezia, Marsilio, 1997 [1981], ISBN 88-317-6815-8.
  • Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Anno Accademico 2007-2008. Tesi di dottorato poi pubblicata con il titolo Frontiera rossa. Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2010, ISBN 88-6102-074-7.
  • Alessandra Kersevan, Porzûs, Dialoghi sopra un processo da rifare, Udine, Edizioni Kappa Vu, 1995, ISBN 88-89808-75-6.
  • Antonio Lenoci, Porzûs. La Resistenza tradita, Bari, Laterza, 1998, ISBN 88-8231-044-2.
  • Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Milano, Mondadori, 2002, ISBN 88-04-51584-8.
  • Giovanni Padoan, Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al confine orientale, Udine, Del Bianco, 1965.
  • Giovanni Padoan, Porzûs. Strumentalizzazione e verità storica, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2000.
  • Tommaso Piffer (a cura di), Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale, Bologna, Il Mulino, 2012, ISBN 88-15-23486-1.
  • Jože Pirjevec, Foibe. Una storia d'Italia, Torino, Einaudi, 2009, ISBN 88-06-19804-1.
  • Raoul Pupo, Trieste '45, Bari, Laterza, 2010, ISBN 978-88-420-9263-6.
  • Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. V. La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Torino, Einaudi, 1975, ISBN 88-06-11502-2.
  • Paolo Strazzolini, Da Porzûs a Bosco Romagno, Spilimbergo, Associazione Culturale Forum Democratico, 2006.
DVD
  • Paolo Strazzolini, Udine nella memoria – 1945. Da Porzûs a Bosco Romagno. L'eccidio alle malghe di Topli Uork. I fatti, i luoghi, i personaggi, Comune di Udine – Comune di Attimis, Udine, 2008.

Collegamenti esterni

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Saggi
Interviste
Interviste audio

da Radio Radicale:

da Radio Onde Furlane:

Articoli di quotidiani

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