Estradizione svedese dei soldati baltici
L'estradizione svedese dei soldati baltici, in Svezia nota come estradizione dei balti (in svedese: Baltutlämningen), è un controverso evento politico che ebbe luogo nel 1945-1946, quando il Paese scandinavo estradò 146 volontari e coscritti lettoni ed estoni delle Waffen-SS che erano stati reclutati dalla Germania nazista per combattere l'Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale.[1][2][3]
Contesto storico e processo di estradizione
[modifica | modifica wikitesto]Il 2 giugno 1945 l'Unione Sovietica chiese alla Svezia di estradare tutti i soldati affiliati all'Asse.[4] Il protocollo del governo emesso il 15 giugno è stato tenuto segreto fino alla sua pubblicazione, avvenuta il 19 novembre dello stesso anno.[4] Il documento fu votato dalla maggior parte delle forze parlamentari e dal Partito Comunista Svedese, il quale intendeva adottare una risoluzione ancor più radicale ed estradare tutti i rifugiati civili nei rispettivi Paesi baltici di appartenenza.
La maggior parte dei soldati baltici estradati erano lettoni che erano fuggiti dalla sacca di Curlandia.[2] Quando raggiunsero la Svezia, coloro che vestivano un'uniforme furono trasferiti in campi di detenzione. L'estradizione nell'Unione Sovietica ebbe luogo il 25 gennaio 1946 nel porto di Trelleborg: il trasporto avvenne per mezzo del piroscafo Beloostrov.[5][6] Al ritorno in patria, gli uomini furono brevemente stipati in un campo a Liepāja, una cittadina a sud della Lettonia, e successivamente spostati. I dati sono contrastanti, ma le fonti più autorevoli confermano almeno 50 arresti tra il 1947 e il 1954 e condanne emesse solitamente per 10-15 anni di reclusione.[7][8]
La Svezia estradò anche circa 3000 soldati tedeschi, seguendo le disposizioni vigenti sui prigionieri di guerra.[9] Il trattamento dei popoli baltici fu tuttavia più complesso e controverso, poiché le autorità russa li consideravano cittadini sovietici (l'Unione Sovietica aveva occupato i tre stati baltici indipendenti nel 1940) e dunque considerava i ribelli alla stregua di traditori: ben presto si diffuse tra gli internati la paura di condanne capitali.[3] Due ufficiali lettoni si suicidarono e altri tentarono di farlo.[5] Non mancarono casi di automutilazione.[10]
Tra i prigionieri, il tenente colonnello Kārlis Gailītis e il capitano Ernsts Keselis furono effettivamente condannati a morte salvo poi subire una diversa sorte e conversione della pena in 17 anni di lavori forzati.[11] Altri tre soldati di rango inferiore furono condannati a morte e giustiziati nel 1946.[12]
Eventi successivi
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1970 il regista Johan Bergenstråhle realizzò una pellicola sulla questione intitolata Una tragedia baltica (in svedese Baltutlämningen). Il film è basato sul testo scritto nel 1968 Legionärerna: En roman om baltutlämningen da Per Olov Enquist (titolo inglese: The Legionnaires: A Documentary Novel) che aveva vinto il Premio letterario del Consiglio nordico: l'autore ha collaborato alla realizzazione della sceneggiatura.[13]
Il 20 giugno 1994, 40 dei 44 sopravvissuti estradati (35 lettoni, 4 estoni e 1 lituano) hanno accettato un invito a visitare la Svezia. Furono accolti da re Carlo XVI Gustavo di Svezia presso il Palazzo Reale di Stoccolma.[10] Il ministro degli affari esteri svedese Margaretha af Ugglas ha pubblicamente dichiarato che il governo svedese è d'accordo con le critiche alla decisione e esprime rammarico per le ingiustizie subite.[10]
A Trelleborg, tra il 1999 e il 2000, è stata realizzata tra il 1999 da Christer Bording la scultura commemorativa di una "nave per rifugiati incagliata".[10]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Rasmus Mariager, Karl Molin e Kjersti Brathagen, Human Rights in Europe during the Cold War, Routledge, 2014, p. 48, ISBN 978-11-35-97326-1.
- ^ a b (EN) Lars Fredrik Stöcker, Bridging the Baltic Sea, Lexington Books, 2017, p. 42, ISBN 978-14-98-55128-1.
- ^ a b (EN) Johan Matz, Stalin's Double-Edged Game, Rowman & Littlefield, 2019, p. 291, ISBN 978-17-93-60920-5.
- ^ a b (EN) Nikolai Tolstoj, Victims of Yalta, Open Road Media, 2013, pp. 368-369, ISBN 978-14-53-24936-9.
- ^ a b (EN) John Gilmour, Sweden, the Swastika and Stalin Societies at War Series, Edinburgh University Press, 2011, p. 205, ISBN 978-07-48-68666-7.
- ^ (EN) Prit Buttar, Between Giants, Bloomsbury Publishing, 2013, p. 329, ISBN 978-14-72-80287-3.
- ^ Stéphane Courtois, Nicolas Werth; Jean-Luis Panné, Andrzej Paczkowski e Karel Bartosek, Il libro nero del comunismo, 5ª ed., Mondadori, 1998, p. 323, ISBN 978-88-04-44798-6.
- ^ (SW) Flyktingminnesvård i Trelleborg, su forsvarsframjandet.org. URL consultato il 31 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 16 marzo 2003).
- ^ (EN) Ingrid Carlberg, Raoul Wallenberg: The Man Who Saved Thousands of Hungarian Jews from the Holocaust, Hachette UK, 2016, p. 383, ISBN 978-18-48-66595-8.
- ^ a b c d (EN) Swedish Artillery Museum, su artillerimuseet.se. URL consultato il 31 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2020).
- ^ (LV) Valentīns Silamik̦elis, Ar Baltijas karogu izdotie, Jumava, 1998, p. 365, ISBN 978-99-84-05163-5.
- ^ (SW) Baltutlämningen skildrad av de utlämnade, su forsvarsframjandet.org. URL consultato il 31 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 17 novembre 2011).
- ^ (EN) Lars G. Warme, A History of Swedish Literature, U of Nebraska Press, 1996, p. 414, ISBN 978-08-03-24750-5.