Assedio di Sagunto
Assedio di Sagunto parte della seconda guerra punica | |
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Il percorso seguito da Annibale durante la seconda guerra punica, dove la prima tappa fu Sagunto | |
Data | Marzo-ottobre 219 a.C. |
Luogo | Sagunto |
Esito | Vittoria cartaginese |
Schieramenti | |
Comandanti | |
Effettivi | |
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L'assedio di Sagunto costituisce il primo degli episodi, e il vero e proprio casus belli, dell'intera seconda guerra punica. Secondo Eutropio, sarebbe da datarsi all'anno del consolato di Publio Cornelio Scipione Asina e Marco Minucio Rufo (il 221 a.C.)[2] anche se tradizionalmente viene posto nell'anno 219 a.C. L'esito dell'assedio fu che i Saguntini, alleati dei Romani, si arresero alle forze cartaginesi, comandate da Annibale, dopo otto mesi.[3]
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]Annibale, che era stato educato dal padre sin da piccolo all'odio verso Roma, una volta divenuto comandante delle forze cartaginesi in Iberia, aveva bisogno di un pretesto per cominciare la guerra, senza però violare le condizioni del trattato dell'Ebro del 226 a.C., che impegnava i cartaginesi a non espandersi oltre il fiume spagnolo.
«Dal giorno poi in cui fu proclamato comandante, come se gli fosse stata decretata l'Italia come sfera d'azione e gli fosse stata affidata una guerra contro i Romani, pensando di non doverla differire oltre, per evitare che un qualche incidente gliela impedisse, come era accaduto a suo padre Amilcare e poi ad Asdrubale, decise di portar guerra a Sagunto.»
Fu così che, sulla base delle direttive e dei consigli che il padre Amilcare gli aveva dato,[4] cominciò ad attaccare e sottomettere tutte le popolazioni a sud del fiume, come gli Olcadi (221 a.C.[5]), i Vaccei (220 a.C.[6]) e i Carpetani (sempre nel 220 a.C.[7]).
Annibale ormai poteva completare la sua opera sottomettendo Sagunto,[8] città alleata di Roma, con il pretesto che si trovava a sud dell'Ebro e che quindi rientrava nei territori di competenza dei cartaginesi.
Casus belli
[modifica | modifica wikitesto]Con la fine del 220 a.C., Annibale se ne tornò a svernare con l'esercito a Nova Carthago,[10] mentre i Saguntini, sentendo la guerra imminente (anche a causa delle discordie nate con il popolo dei Turdetani, forse sobillati dal generale cartaginese[11]), riuscirono a convincere Roma a inviare dei loro legati a controllare la situazione in Iberia,[12] e a avvertire Annibale, di non impensierire i Saguntini, alleati del popolo romano.[13] Polibio racconta che la delegazione romana (composta da Publio Valerio Flacco e Quinto Bebio Tamfilo), una volta raggiunta Nova Carthago, sia stata ricevuta da Annibale. Al generale cartaginese fu richiesto di stare lontano da Sagunto, poiché si trovava sotto la loro protezione, e di non oltrepassare l'Ebro, secondo i recenti accordi stipulati con Asdrubale nel 226 a.C.[14] Ma Annibale, che era giovane, con una gran voglia di combattere anche dopo i recenti successi ottenuti in Iberia, e in più eccitato dall'odio antiromano di lunga data,[15] in modo pretestuoso, prima si atteggiò a protettore degli stessi Saguntini,[16] poi, una volta avuto il benestare da parte dello stesso Senato cartaginese, decise di dirigersi verso Sagunto, per porre fine ai soprusi che i Saguntini commettevano nei riguardi di alcune popolazioni soggette ai Cartaginesi.[17] E così Sagunto fu scelta come casus belli. Polibio stesso ci dice che:
«[Annibale] era animato dall’ira più violenta e sconsiderata: non si serviva dunque delle ragioni vere, ma ricorreva ai pretesti più assurdi, come del resto sogliono fare quanti, incitati da una passione preconcetta, non fanno calcolo alcuno della giustizia.»
Lo storico greco riteneva in sostanza che Annibale sarebbe stato più coerente nel voler alimentare un nuovo conflitto con i Romani, se avesse preteso la restituzione della Sardegna e dei tributi che erano stati imposti ai Cartaginesi in modo ingiusto, e dichiarare la guerra agli stessi solo nel caso non avessero accettato.[18] Fu così che gli ambasciatori romani avuta la sensazione che Annibale stesse cercando a tutti i costi la guerra, presero il mare alla volta di Cartagine, con l'intenzione di fare la stessa richiesta formale al Senato cartaginese, convinti che non avrebbero combattuto in Italia ma in Iberia, dove Sagunto sarebbe stata una base operativa assai importante per le operazioni future.[19] Annibale si proponeva, invece, di:
- disilludere la speranza che i Romani avevano di condurre la guerra in Iberia;[20]
- spaventare tutte le tribù iberiche (sia quelle già sottomesse, rendendole più disciplinate; sia quelle ancora indipendenti, rendendole più caute);[20]
- non lasciarsi alle spalle alcun nemico;[21]
- e ottenere abbondanti mezzi e rifornimenti per l'impresa da compiere in Italia, per i suoi soldati e per soddisfare le necessità della madrepatria, Cartagine.[22]
Frattanto il Senato romano di fronte alla minaccia di una nuova guerra, prendeva le misure per consolidare le proprie conquiste a oriente, in Illiria.[23]
Forze in campo
[modifica | modifica wikitesto]Sagunto era una fiorentissima città a sud del fiume Ebro a soli 1.000 passi dal mare[24] (ovvero sette stadi[25]), ai piedi di un sistema montuoso che forma la linea di confine tra Iberia (a sud) e Celtiberia (a nord).[25] Gli abitanti della zona occupavano un territorio estremamente fertile e certamente il più produttivo di tutta l'Iberia.[26] Le mura che circondavano la città facevano un angolo che si trovava verso la parte dove la pianura è più piatta e aperta, rispetto alle altre parti della città.[27] Posta pertanto in posizione munitissima in cima a un'altura, Sagunto sarebbe servita per rifinire la preparazione dell'esercito di Annibale, ottimizzandone la qualità prima dell'invasione dell'Italia.
Delle forze cartaginesi sappiamo da Tito Livio che l'armata disponeva di soldati in abbondanza. Si parla di 150.000 soldati.[1][2] Al contrario i Saguntini disponevano di forze limitate per difendere e offendere dall'interno delle loro mura. Per questi motivi cominciarono a disperdere le loro forze, in contemporanea su più fronti.[28]
L'assedio
[modifica | modifica wikitesto]Primo assalto alle mura
[modifica | modifica wikitesto]Sagunto venne attaccata nel marzo del 219 a.C. e sottoposta a un drammatico assedio[2] che si protrasse per otto mesi[29] senza che Roma decidesse di attivarsi.[30] Annibale, entrato nel suo territorio con l'esercito deciso all'assalto, devastò prima i campi qua e là, infine cingendo di un poderoso assedio la città su tre lati,[31] dopo aver posto l'accampamento proprio di fronte alla stessa.[32] Annibale decise di aggredire l'angolo delle mura che dava sulla piana circostante, con tutta una serie di macchine d'assedio, per mezzo delle quali si potesse manovrare l'ariete contro le mura.[33] Qui fece costruire una torre assai elevata, ma le mura in quel punto erano state fortificate adeguatamente a un'altezza superiore e presidiate da soldati scelti che resistevano strenuamente anche con armi da getto.[34] In questi combattimenti a volte disordinati i Saguntini non cadevano in numero maggiore dei Cartaginesi.[35] Livio racconta che lo stesso Annibale, avvicinatosi troppo alle mura fu colpito da un giavellotto alla coscia (poiché spesso rischiava temerariamente di persona[36]), e lo spavento e la fuga furono così grandi che i suoi soldati per poco non abbandonarono tutte le macchine d'assedio sotto le mura nemiche.[37]
La città è circondata da una cinta d'assedio
[modifica | modifica wikitesto]Annibale rientrato al campo decise di chiedere una tregua per curare la ferita e per innalzare tutta una serie di opere di fortificazione attorno alla città, in modo da isolarla dal territorio circostante. Al termine della tregua gli scontri ripresero più aspri di prima, tanto che Annibale fu costretto a utilizzare la vinea per proteggere i suoi soldati dai continui lanci degli assediati e avvicinare alle mura un nuovo ariete.[38]
Parti di mura si sbriciolano: i Saguntini resistono
[modifica | modifica wikitesto]Le mura cominciarono a sbriciolarsi sotto i continui colpi degli arieti, tanto che in molti punti risultavano in parte già abbattute. Si racconta che ben tre torri e le mura racchiuse tra esse caddero con grande fragore.[39] I Cartaginesi, credendo che con quella breccia la città era ormai presa, tentarono di lanciarsi all'interno della stessa, ma trovarono un muro di soldati saguntini pronti a difendere le loro abitazioni.[40]
«Da una parte la speranza, dall'altra la disperazione eccitano gli animi, poiché il Cartaginese crede di aver già preso la città – basta ancora un piccolo sforzo –; i Saguntini oppongono i loro corpi a difesa della patria rimasta priva di mura, e nessuno di essi indietreggia, per non lasciare che il nemico occupi il posto da lui abbandonato.»
Ma i Saguntini non arretrarono di un passo, anche grazie a un'arma da getto in loro possesso che incuteva grande paura negli assalitori: la falarica.[41] L'esito della battaglia fu a lungo incerto, ma i Saguntini sentirono crescere in loro forze e coraggio quando si resero conto di essere riusciti a resistere ad Annibale, non permettendogli di ottenere subito la vittoria. Allora levato un grido improvviso, spinsero i Cartaginesi fuori dalle rovine del muro, generarono nelle loro file sgomento e disordine, tanto da farli indietreggiare fino ai loro accampamenti.[42]
Nuova ambasciata romana ad Annibale
[modifica | modifica wikitesto]Sappiamo sempre da Tito Livio che una nuova ambasciata fu inviata da Roma proprio nel mezzo dell'assedio alla città. Annibale mandò loro incontro in mare alcuni messaggeri per avvertirli che non era sicuro avvicinarsi troppo ai combattimenti di gente tanto sfrenata. Del resto sarebbe stato troppo imbarazzante per il generale cartaginese ricevere gli ambasciatori romani in una situazione tanto critica.[2] Era evidente che questi ultimi, non ammessi al cospetto di Annibale, si sarebbero recati a Cartagine con ulteriori lamentele. Fu così che Annibale decise di anticiparli inviando una lettera ai capi del partito dei Barcidi, per evitare che la parte loro avversa non favorisse i Romani.[43] Fu così che l'ambasceria romana non ebbe successo,[44] rivelandosi solo una perdita di tempo.[2][45]
L'assalto finale: la presa della rocca
[modifica | modifica wikitesto]Annibale, dopo aver portato a termine numerosi altri lavori (disponendo presidi a custodia delle vigne e delle macchine d'assedio), decise che avrebbe lasciato l'intero bottino ai suoi soldati, per suscitare negli stessi sentimenti d'ira e di speranza nel raggiungere l'ambito premio.[46] Annibale stesso diede inizio all'assalto, incitando i suoi a compiere l'impresa di occupare la città, sebbene i Saguntini fossero riusciti nei pochi giorni precedenti a ricostruire parte delle mura crollate. Una gigantesca torre, più alta delle mura e dotata di catapulte e baliste, cominciò a sgretolare le mura che le si trovavano di fronte, mentre 500 soldati scelti africani, tutti dotati di piccone, riuscivano ad aprire i primi varchi tra le mura, tanto che schiere di soldati cartaginesi cominciarono a riversarsi in città.[47] Occuparono una rocca che sovrastava la città e la protessero con un muro, oltre a catapulte e balliste. Frattanto i Saguntini innalzarono un nuovo muro a protezione della parte non ancora in mano cartaginese.[48]
La resa finale della città
[modifica | modifica wikitesto]Da entrambe le parti si fecero il massimo degli sforzi per fortificare e combattere, ma i Saguntini nel tentativo di difendere le parti più interne della città, la resero ogni giorno più piccola. Contemporaneamente il protrarsi dell'assedio, aumentò la carestia e ridusse la speranza di aiuti esterni, poiché i Romani erano lontani. Una breve speranza da parte degli assediati si ebbe quando Annibale fu costretto a compiere un'improvvisa azione militare contro i Carpetani e gli Oretani che avevano sequestrato gli ufficiali incaricati degli arruolamenti nei loro territori.[49] Ma l'assalto a Sagunto non diminuì, poiché Maarbale, a cui Annibale aveva lasciato temporaneamente il comando delle operazioni d'assedio, non diminuì l'intensità degli assalti alla città.[50] Egli infatti riuscì con tre arieti a far crollare buona parte delle mura, mostrando allo stesso Annibale, che era appena tornato, il suolo pieno di recenti rovine.[51] Una nuova feroce battaglia divampò per il possesso della rocca, dove caddero numerosi soldati da ambo le parti, tanto che vi fu il tentativo di mediazione da parte del saguntino Alcone, il quale si recò di notte dallo stesso Annibale. Visto che le condizioni di pace imposte dal generale cartaginese erano troppo dure (i Saguntini dovevano restituire ogni cosa ai Turdetani, oltre a tutto l'oro e l'argento; e uscire dalla città con una sola veste in più per ciascuno, recandosi ad abitare la località indicata dai Cartaginesi), preferì disertare rimanendo presso il nemico.[52] Un nuovo tentativo fu fatto allora dall'ibero Alorco, che era stato soldato di Annibale e in quel momento era ospite e amico dei Saguntini.[53] Egli, presentatosi dinanzi al senato di Sagunto pronunciò un discorso nel quale in sintesi si espresse in questo modo:
«Ma dal momento che non avete nulla da sperare da parte dei Romani, né ormai le vostre armi o mura bastano a difendervi, io vi porto una pace più necessaria che giusta. Di essa c'è qualche speranza, sì, ma solo se, come Annibale ve la offre da vincitore, così voi la accetterete da vinti e se intendete considerare non come un danno ciò che viene perduto, dal momento che tutto è del vincitore, ma come un dono qualunque cosa vi venga lasciata. Egli vi toglie la città, che ha in gran parte distrutta, quasi tutta conquistata; vi lascia il territorio, riservandosi di assegnarvi un luogo in cui edificare una nuova città. Comanda che gli sia consegnato tutto l'oro e l'argento, pubblico e privato; serba inviolate le persone vostre, delle mogli e dei figli vostri, se siete disposti ad andarvene da Sagunto disarmati e con due abiti per ciascuno.»
E mentre si era radunata una grande folla, prima di dare una risposta ai Cartaginesi, si decise di raccogliere tutto l'oro e l'argento e fonderlo insieme.[54] Frattanto un avvenimento non previsto mutò il destino della città: una delle sue torri, a lungo bersagliata dalle armi da lancio dei cartaginesi, crollò, permettendo al nemico di sfruttare un inaspettato varco nelle mura, ora che la folla raccolta nella piazza principale aveva lasciato la città senza posti di guardia e sentinelle lungo il suo perimetro.[54] Annibale pensando che in simili occasioni non si deve esitare, ordinò l'assalto alla città, ormai senza difese. Fu una carneficina terrificante,[55] la città cadde con ingente bottino.[56]
Conseguenze
[modifica | modifica wikitesto]È tristemente famoso l'aspro commento di Tito Livio:
«Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata»
Livio infatti racconta che, non era ancora stata decisa l'ambasceria romana che portasse il messaggio ad Annibale, che l'assedio era già incominciato. I Romani poi cominciarono a discutere se inviare i consoli dell'anno, in Iberia e in Africa, se si dovesse inviare un esercito solo di terra o anche di mare, oppure se si dovesse condurre la guerra solo contro Annibale in Iberia.[57] Alla fine, la sfortunata città, stremata da mesi di fame,[2] battaglie, lutti e disperazione (per il mancato arrivo delle forze alleate romane) si arrese e venne rasa al suolo. Le ingenti ricchezze della città furono tenute da parte in vista dell'imminente campagna militare, gli schiavi furono distribuiti tra i soldati cartaginesi, mentre il resto del bottino fu inviato a Cartagine.[58] Roma, a questo punto, intervenne e inviò una delegazione a Cartagine chiedendo la consegna di Annibale, ma con le ricchezze che per anni erano arrivate dalla Spagna il partito della guerra aveva ripreso vigore a Cartagine, e questa rifiutò. La conseguenza ineluttabile fu che Roma dichiarò guerra a Cartagine.[2] Era la fine del 219 a.C. e incominciava la seconda guerra punica.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 8, 3.
- ^ a b c d e f g h Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, III, 7.
- ^ Periochae, 21.2.
- ^ Polibio, Storie, III, 14, 10.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 3-4.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 5-6.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 7-17.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 2.
- ^ Periochae, 21.1.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 1.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 6, 1-2.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 1-3.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 6, 3.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 4-5.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 6.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 7.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 8.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 9.
- ^ Polibio, Storie, III, 15, 12-13.
- ^ a b Polibio, Storie, III, 17, 5.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 6.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 7.
- ^ Polibio, Storie, III, 16, 1.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 2.
- ^ a b Polibio, Storie, III, 17, 2.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 3.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 5.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 8, 4.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 9.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 15, 3.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 4-5.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 4.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 6.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 7.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 9.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 8.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 7, 10.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 8, 1-2.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 8, 5.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 8, 7.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 8, 11-12.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 9, 1-2.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 9, 3-4.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 10; XXI, 11, 1-2.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 11, 3.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 11, 3-4.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 11, 5-8.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 11, 9-10.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 11, 11-13.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 12, 1.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 12, 2.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 12, 3-5.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 12, 6-8.
- ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 14, 1-2.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 14, 3-4.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 15, 1-2.
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 6, 4-7.
- ^ Polibio, Storie, III, 17, 10.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Fonti primarie
- (GRC) Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά), VII e VIII. Versione in inglese qui Archiviato il 20 novembre 2015 in Internet Archive..
- (LA) Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, III.
- (GRC) Plutarco, Vite parallele, Epaminonda e Scipione l'Africano; Pericle e Fabio Massimo; Pelopida e Marcello.
- (GRC) Polibio, Storie (Ἰστορίαι), VII. Versioni in inglese disponibili qui e qui.
- (GRC) Strabone, Geografia, V. Versione in inglese disponibile qui.
- (LA) Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI-XXX.
- (LA) Tito Livio, Periochae, vol. 21-30.
- Fonti storiografiche moderne
- G. Brizzi, Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, Bologna 1997. ISBN 88-555-2419-4
- G.Brizzi, Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma, Roma-Bari 2007, ISBN 978-88-420-8332-0.
- (EN) H. H. Scullard, Carthage and Rome, Cambridge, 1989.
Voci correlate
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