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Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/292

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282 Sonetti del 1835

LA CUGGNATA1 DE MARCO SPACCA.2

     Come disce er ronnò3 cco’ la catena?4
Parto reggin’addio sèntime Arbasce.5
Accusì6 ddico a tté: ssèntime, Nèna,7
Sta tu’ sorella8 a mmé ppoco me piasce.

     Io so’9 un omo che ccerco la mi’ pasce,10
Ma un giorn’o ll’antro11 che mme pijja in vena,
Me j’attacco12 ar tignóne,13 e sso’ ccapasce14
D’ammaccajje er musaccio e ffà una sscena.

     Fàmose a pparlà cchiaro. Er viscinato
Pò ddì15 ssi16 cche ffioretto è stata lei,
Ché er marito sc’è mmorto disperato.

     Che tte viè17 a rriccontà? li su’ trofei?
Che vviè a ffà a ccasa mia, pe’ bbio salato?
A imbirbitte18 un po’ ppiù de quer che ssei?

9 settembre 1835.

  1. La cognata.
  2. Annotazione aggiunta come indicato in Correzioni e Aggiunte
  3. Il rondò.
  4. [Con la ripetizione, che
    allora più assai che adesso era in voga, della cabaletta.]
  5. [Questo preteso rondò deve essere un pasticcio, come tanti
    altri de’ Romaneschi, derivato dalla prima scena dell’Artaserse del Metastasio, dove Arbace dice a Mandane: Addio; e questa
    risponde: Sentimi, Arbace. Se pure non è derivato da uno degli altri Artasersi, che su quello del Metastasio furono rimpolpettati e musicati.]
  6. Così.
  7. Sentimi, odimi, Maddalena.
  8. Questa tua sorella.
  9. Io sono.
  10. La mia pace.
  11. O l’altro.
  12. Me [gli] le attacco.
  13. Il tignóne è formato dalle trecce di capelli ravvolte dietro il capo. [Deriva dal francese chignon, ravvicinato, con rispetto parlando, a tigna. A Firenze si chiama staffa, e manca ai vocabolari, e non è da confondere con la crocchia, come pare che faccia il Belli.]
  14. E sono capace.
  15. Può dire.
  16. Se. È un ripieno da non considerarsi.
  17. Che ti viene.
  18. A guastarti, a corromperti.