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Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/108

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98 Sonetti del 1835

L’EDUCANNE DE SAN MICCHELE.1

     V’è ppiasciuta la predica der frate,
Ch’è vvenuto oggi a ddacce2 l’esercizzi?
Li sentite che rrazza de ggiudizzi
Se3 fanno de nojantre4 disgrazziate?

     Ggiri, ggiri le case attitolate:5
Entri ne li palazzi maggnatizzi,
E llà cconosscerà ccosa so’ vvizzi
De zitelle e de donne maritate.

     Quela fijja che ppare una Susanna,
Guardata da viscino in ne l’onore
È una spesce6 de cammera-locanna.

     E de qualunque mojje de siggnore,
Nun ze chiede si sgrinfia:7 se dimanna
De punt’in bianco:8 “Co’ cchi ffa a l’amore?„9

20 gennaio 1835.

  1. Le educande ecc. Le rinchiuse nella casa di correzione.
  2. Darci.
  3. Si.
  4. Noi altre.
  5. Titolate.
  6. Specie.
  7. Non si chiede se amoreggia.
  8. Ex abrupto.
  9. [S’usa cioè una frase più nobile, perchè il verbo sgrinfià è volgare; ma la sostanza è la stessa. — Che qui, e in altri luoghi dove tocca lo stesso tasto, il Belli non esageri punto, basteranno a provarlo questi passi del cap. XXII de’ Ricordi del D’Azeglio: “...Io scorgevo il bocchino, il risolino, l’occhiolino magnetico d’una delle signorine che si diceva mi volesse bene, e che lo voleva però altresì ad un figuro con moglie e figli, che si scoprì poi in seguito ladro a tutta prova. Sembrerà strana questa tenerezza in una principessina; ma l’adagio d’allora era che al cuore non si comanda, e non è credibile quali facilitazioni portasse questo assioma nelle relazioni giovanili... La principessa, donna oltre i quaranta, stata un tempo piacevole assai se non bellissima,... fu già l’adorazione d’un principe quasi sovrano; ora bisogna adattarsi a molto meno. Il figlio di un locandiere, giovine di venti anni, di forme e forze d’atleta, stupido e mal educato, è il suo padrone, e fa in modo che ognuno lo sappia. Le signorine, di varie paternità. Una è figlia di un cavalcante, ed essa stessa non lo ignora. I figliuoli in mano d’un prete, vero vituperio, che tien mano e partecipa alle loro sudice orgie, in certe camere remote del palazzo... Fra le numerose passioni che arsero nel cuore della principessa, una fu per un certo tempo accesa dal suo cocchiere... La principessa andava al Corso. Era l’uso fermarsi in Piazza del Popolo, ove i giovani venivano intorno ai legni a discorrere colle signore. Se si fermava a quella della principessa qualche adoratore che non desse nel genio al cocchiere, questi di sua iniziativa frustava, e via! E se il rivale era, come s’usa, appoggiato al legno e co’ piedi sulla linea delle ruote, peggio per lui! Un giorno essendo la principessa in un legno scoperto a due posti, corto, e quindi a portata dell’adorato oggetto; questi per gelosia, o per altro motivo rimasto ignoto, si voltò, e in mezzo alla fila delle carrozze e della gente, le dette un gran scappellotto... Questo genere se non comune, era però tutt’altro che raro nella Roma anteriore alla rivoluzione. Una signora che l’aveva allora lungamente abitata mi diceva: — era ben rara la dama, che, oltre l’amante in titolo, uomo della società, non avesse un cocchiere, un soldato, un quidam qualunque ecc. ecc. — Tale era lo stato sociale, che le teste guaste son venute a turbare. Questo cocchiere, era il padre d’una delle principessine, svelta, allegra, carina come un amore. Si maritò, e siccome il sangue non è acqua, anche lei s’innamorò del suo cocchiere. Il marito sorprese la corrispondenza, che mostrò come curiosità e lasciò ad una sua bella, ch’io conoscevo. Così la potei leggere, e mi ricordo d’un biglietto che diceva: “Peppe mio, son disperata: T** (il marito) non ti ci vuol portare (a una gita in villa), e dice che attacchi Cencio coi cavalli della tenuta ecc. ecc.„... Questa disgraziata, consumato fra essa e il marito quanto avevano, viveva poveramente. Scese nei suoi amori tutta intera la scala sociale, ed in ultimo era veduta talvolta la sera sul tardi in qualche vicolo in vicinanza d’una caserma in tenerezze con un soldato, che l’amava per pochi paoli. Credo che ad uno di questi tenesse dietro nella campagna del 48....„]