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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/274

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264 Sonetti del 1834

LE FURTUNE

     Ne l’usscì dda la cchiesa, appena ho ttocco1
Co sto piede una sojja de scalino
Vedo un coso2 che lluccica: m’inchino...,
E ssapete ch’edèra?3 era un majocco.4

     Io, de raggione, nun fui tanto ggnocco
De lassallo5 stà llì, nnò ssor Fillino?
Ma mmentre ero a rriccòjjelo,6 un paìno7
Disse: “Furtuna e ddorme„:8 e entrò a Ssarrocco.9

     Furtuna e ddorme! io fesce:10 eh nnun c’è mmale.
La furtuna l’ho pprova,11 e ssarà mmejjo
Che mmó pprovi er dormì cqui ppe’ le scale.

     Oh azzeccàtesce12 un po’ cche cc’è de bbello
De sta furtuna mia? che mm’arisvejjo,
E mm’aritrovo llì ssenza cappello.

9 aprile 1834

  1. Toccato.
  2. Il coso e la cosa sono comodissimi nomi di disimpegno che si dànno a tutti gli oggetti.
  3. Che era, cos’era. Le voci è ed era, se vanno precedute da una che nel senso di cosa, si cambiano nella bocca del Romanesco in edè ed edèra.
  4. Baiocco.
  5. Lasciarlo.
  6. Raccoglierlo.
  7. Le persone ben vestite son tutte paìni e paìne.
  8. Fortuna e dormi: proverbio.
  9. San Rocco.
  10. Dissi.
  11. Provata.
  12. Indovinateci.