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Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/172

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162 Sonetti del 1832

DU’ SERVITORI.

     Nun m’invidià, Mmattia, nun m’invidià:
Ma ssai cuanto sce curre1 da mé e tté?
Tu sservi una madama, che Ddio sa
Si cquanti incerti sce se possi avé!

     E io sto a fregà ll’orbo2 e a sbavijjà3
Co sto Logotenente de l’A. C.,4
Che nun basta che llui nun me ne dà,
Porco futtuto, ma llui magna a mmé.

     Perché llui tiè sta bbell’usanza cqui,
Che le mancie de sala che cce so’,
Tutte a mmezzo co’ llui l’ho da spartì.

     Anzi, er fiasco che ll’oste me mannò
Pe’ la causa che vvinze venardì,
Io lo sturai, e llui se l’asciugò.

Roma, 28 novembre 1832.

  1. Ci corre.
  2. A perder tempo.
  3. Sbadigliare per fame.
  4. Prelato giudice luogotenente dell A.C. (Auditor Camerae). [“Anticamente il Pontefice era presidente di tutti i tribunali, conosceva e giudicava di tutte le cause maggiori per mezzo della Rota e della Segnatura; e delle minori per mezzo dell’autidore della Camera. Mutate in alcune parti le condizioni e le forme dello Stato, restò tuttavia l’auditor Camerale, restò, come suole in Corte romana, il nome, restò la carica, imagine dell’antico, che si reputa virtualmente immutabile ed incrollabile. L’auditore della Camera continuò a giudicare: dapprima ebbe un sottouditore, poi vari assessori, poi una Congregazione civile ed una Congregazione criminale dette dell’A-C (Auditoris Camerae). La Congregazione civile è composta di tre prelati, e tre togati: giudica per mezzo di un assessore quelle cause minori, di cui i governatori giudicano nelle provincie; per mezzo di un primo turno giudica in prima istanza; per mezzo di un secondo turno giudica in appello. La Congregazione criminale, costituita nel modo stesso, ha nome di tribunale del governo.„ Farini, Op. e vol. cit., pag. 139-40.]