Lettera di un matematico italiano
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LETTERA
DI UN
MATEMATICO
ITALIANO
scritta
al chiarissimo signor marchese
SCIPIONE MAFFEI
INTORNO AL LIBRO
DEL SIGNOR
ABBATE SUZZI
stampato in padova
Sopra le Equazioni Algebraiche del terzo grado.
in verona, mdccxlviii.
Per Dionigi Ramanzini Librajo a San Tomio.
Con Licenza de’ Superiori.
SIGNOR MARCHESE
Io adunque per cominciare la esposizione delle mie difficoltà, dico primo, che la radice non può stare nella espressione della radice della equazione .
Prova. Imperciocchè ; ma non può stare nella espressione della radice antedetta, ostando a ciò le formule Cardaniche: dunque neppure vi potrà stare .
Dico secondo che sostituita nella equazione in luogo di , non svanisce l’equazione.
Prova. Imperciocchè essendo per Ipot. ,
sarà ;
ma :
Dunque
e perciò dovrebbe essere , il che ripugna.
Da ciò apparisce, che la espressione della radice della equazione , portata dal Signor Abbate Suzzi, è falsa:
Dico terzo, che da’ binomj cubici Suzziani derivati da equazioni aventi radici razionali non si può sempre estrar la radice. Prova. Sia abbia da estrar la radice dal binomio. Suzziano derivato dalla risoluzione della equazione , che ha tutte e tre le radici razionali; supposta la cercata radice , sarà
- pongasi
sarà
;
ma dal numero 5291 non si può estrar la radice cubica, non essendo egli cubo. Dunque dai binomj cubici Suzziani derivati da equazioni aventi radici razionali non si può sempre estrar la radice.
Dico quarto, che dai calcoli Suziani nascono le formule ordinarie Cardaniche.
Prova. Sit resolvenda (mi servo precisamente delle parole, e del calcolo Suzziano) æquatio ,in qua pro coefficiente ternarium pono, tantum facilitatis gratia. In loco in quo sunt, retineantur primus, et secundus terminus æquationis propositæ, et compleatur cubus salva jam æqualitate. Erit . Utrinque extrabatur radix cubica. Fiet
. Ponatur
erit hoc ipsum æquale . Fiat cubus ex concepta formula, qui æqualis erit cubis partium ipsius una cum triplo facti ex iisdem partibus ducti in summam ipsarum partium radicem cubi componentium, ac loco summæ ex dictis partibus æqualis collocetur. Erit igitur
; vel facta moltiplicatione per , et additis homogeneis, erit ??. Ponatur primo . Sitque similiter secundo . Ex prima harum æquationum habetur ; atque adeo utrinque cubis factis erit , vel . Loco in æquatione secunda substituatur ejus valor inventus, habebimus , atque adeo . Modo loco ponatur in æquatione , fiet . Fin quì il Suzzi; ed ora proseguisco io: ; e perciò ??). Poniamo ora , sarà , la quale è una delle formule Cardaniche, da cui facilmente si derivano le altre tre.
Questo mostra, che la formula del Signor Abbate, dove discorda dalle Cardaniche, non può essere vera.
Dico quinto, che quando il Sig. Abbate era arrivato all’equazione non poteva ragionevolmente proseguire il suo calcolo più oltre, e passare alla equazione &c.
Prova. Imperciocchè il calcolo analitico s’istituisce per ritrovar qualchecosa, che non era nota: Dunqu qualor la cosa, che si cerca, è resa manifesta, non v’ha sufficiente ?? calcolo ulteriormente. Ma quando il Sig. Abbate ?? alla equazione manifesto quanto andava cercando, cioè il valor di ed , essendo ed : Dunque quando il Signor Abbate era arrivato &c.
Che se nonostante tutto il Signor Abbate dirà di voler proseguire il suo calcolo per dare alla quantità un valore reale, ed aver però questa ragione sufficiente di farlo, io dico, che non l’otterrà giammai. Per ben dilucidar questo punto facciamo caso, che s’abbia d’applicare nel Cerchio, il di cui raggio è , una corda . Posta la distanza della corda medesima dal centro , sarà ; e però quantità immaginaria, ed il Problema impossibile. Si quadrino i due termini della equazione , si troverà ; e perciò . Ora dimando io è forse reale questo valore di ? Nò certamente in realtà, ma in apparenza soltanto; avvegnacchè dovendo la corda, che si vuol applicare nel detto, cerchio esser distante dal centro la quantità , è certo, che ella anderà sempre a cadere fuori dal cerchio. Questo dimostra, che il Signor Abbate non ha levato l’immaginario delle formule cubiche, ma paliato. E in verità quando si quadrano i termini di una equazione quadratica pura, che ha due radici immaginarie, che altro si fa, che introdurvene altre due? Ma dico io queste radici così introdotte (che sempre per altro saranno di quelle, che si chiamano reali) se la natura del calcolo, che si tratta, una tale introduzione non addimanda, come appunto nel caso presente, dove mai potranno aver il lor sondamento, e la loro realità, salvo che nella mente dell’Analista?
Io quanto a me son di parere (nè in ciò certamente m’inganno) che se la indeterminata di una equazione di secondo grado ritrovata nella risoluzion d’un Problema ha valor immaginario, cioè ripugnante e impossibile, ripugnante e impossibile altresì lo debba avere, se quella equazione si eleverà al quarto, all’ottavo grado, al decimosesto; essendo certo, che una equazione ?? possibile ciò, che un altra dimostrò invol??.
??, che la risoluzione delle equazioni cubiche ?? hanno tre radici reali, è un Problema disperato.
Prova: Imperciocchè risolvendosi qualunque equazione cubica di questo genere colle formule Cardaniche, s’incontrano sempre radicali immaginarie; ma le radicali immaginarie dimostrano l’impossibilità de’ Problemi: Dunque la risoluzione delle equazioni suddette è impossibile, adoperandosi le formule Cardaniche; e perciò ancora assolutamente impossibile e disperata, altrimenti sarebbe l’Analisi all'Analisi contraria, il che ripugna.
Di questo sentimento sono ancora Isaco Nevvton (Arith. Univer. pag. m. 209), Francesco da Schooten (Ap. ad Coment. in Geom. Cartesii), il P. Reyneau (Anal. Demont. tom. I lib. 5 pag. 216 e 220. ed. Venet.), e principalmente Niccolò di Martino (Element. Algeb. tom. 2. §. 890. pag. m. 357.), il quale così scrive: Quem in sinem concludere licebit, casum, quum omnes æquationis cubicæ radices sunt reales, esse omnino deploratum, nec intra cancellos calculi Algebraici posse contineri.
Nè osta a ciò, come altri ha pensato, il metodo, che comunemente s’adopra per cavar le radici da’ binomj cubici anche immaginarj, quì sopra riportato nel luogo terzo. Imperciocchè a parlar in rigor Matematico quel metodo altro non è che la risoluzione da questo Problema: Essendo dato un binomio cubico, trovar la equazione, dalla risoluzione della quale egli è derivato; nè senza prima ristabilir quella equazione, il che sempre potrà farsi, e risolverla, il che potrà farsi solamente quando la sua radice sarà razionale, il valor della radice del dato binomio si determinerà giammai; di modo che invece che la radice del binomio manifesti la radice della equazione, onde il binomio stesso deriva, la radice della equazione manifestar deve la radice del binomio da essa derivato; il che da ciò che si cerca è lontano infinitamente.
Quì Signor Marchese, dovrei lasciar di stancare d’avvantaggio la sua pazienza; contuttociò la prego di attendere ancora a questo poco, che aggiungo circa le dimostrazioni del Signor Abbate. La seconda che egli adduce (Aliam ejusdem ponderis, et multo breviorem) fa vedere, che il calcolo è stato ben condotto fino alla equazione , ma ?? di proseguire la formula del Signor Abbate sia quale ?? accordo, che sostituendo la formula sua ?? il Signor Abbate la ??; e ciò perchè non mutò giammai i segni delle quantità coatenute sotto il segno radicale biquadratico; ciò che per altro non si fa in tutti i casi delle equazioni numeriche: perche v. gr. avendo nella risoluzione di qualche equazione ottenuto , volendo poi esprimer la radice, che risulta dal prodotto di in (quantunque vi mutassi il segno, che aveva per innanzi) altro numero non posso prendere, che il il quale per altro lo adoprerò positivamente, o negativamente, secondo comporterà il segno +, o - , che il segno radicale precederà.
Nè vale quello, che forse mi si risponderà, cioè, che la radice dei quadrati, e biquadrati può prendersi a piacere positiva, o negativa; imperciocchè quantunque ciò sia forse alcuna volta vero, non lo è però sempre, siccome per cagion d’esempio non lo è sempre nella estrazione delle radici dalle equazioni biquadratiche derivatevi del secondo grado; perchè v. gr. se sarà , non potrò fare , perchè la quantità diverebbe immaginaria. Ed in fatti se la quantità che stà sotto il segno radicale quadratico, o biquadratico, può prendersi come negativa, qual differenza vi sarà fra le quantità reali, e le immaginarie? Moltiplicando per fò ; moltiplicando per farei istessamente ; e perciò 3 sarebbono una medesima cosa, cioè il reale, e l’immaginario; cosa che non sò se dalla retta ragione possa accordarsi. E di poi per finir di tediarla, se questo espediente di pigliar la radice di qualunque quadrato o biquadrato a piacere positiva, o negativa è bastante per salvar la formula del Signor Abbate, io dico, che prendendo sempre positivamente il numero nelle formule Cardaniche al segno sottoposto, sarebbe senza il biquadrato Suzziano alla difficoltà rimediato, perchè avendo v.gr. ottenuta la radice d’una equazione in questi termini prendendo negativamente la radice del quadrato ?? si potrebbe dimostare, che la radice così espressa può far svanir la equazione, a cui appartiene; Il che certamente non penso cader ad alcuno in pensiero. Mi raffermo.
- 21 Dicembre 1747.
Poscritta.
Tuuto ciò, che io ho scritto in questa lettera, risguarda la formula cubica Suzziana precisamente; e niente ha intorno alla costruzione, che il Signor Abbate nel fine del libro, quasi facendovi un’Appendice, ci dà delle equazioni del terzo grado mancanti del secondo termine. Sopra ciò aggiungo quì il mio sentimento.
La costruzione, che ivi il Signor Abbate ci porge, è bellissima ed ingegnosa. La parabole, che abbisogna, potrebbe mecanicamente descriversi adoperando il compasso di proporzione, o cosa equivalente; imperciocchè designato essendo il parametro della curva, è facile di ritrovare la semiordinata, che corrisponde all’abscissa uguale ala parametro stesso, ed insieme a tutte le abscisse di questa multiplici e summultiplici, con che si viene ad avere una serie di punti, che manifestano il corso della curva. La descrizione del Signor Abbate per altro sarà da questa probabilmente diversa, e fatta con qualche particolar istrumento da lui ingegnosamente escogitato.
Una cosa sola non posso in questa parte approvare, ed è, che il parametro della curva, che egli adopera nel costruire la equazione, di cui tratta nel suo libro, cioe , sia 3, vale a dire triplo del raggio del cerchio (cujus parameter tripla est ipsius radii, quem unitate dessignavimus). Io dico, che ciò non può stare, dovendo egli essere , talmente che se in luogo della unità si restituisca nella equazione suddetta la quantità , sia il numero 3 lo stesso che , ed esprima non già il parametro della curva, ma il quadrato del parametro stesso. Questo è manifesto, perchè per altro esprimendo nella figura del Signor Abbate l’abscissa della curva, ed essendo , sarebbe il prodotto di questa abscissa nel parametro uguale al cubo della semiordinata ; il che certamente in buona geometria non può essere vero; avvegnachè nelle equazioni Algebriche, quando si tratta di cose geometriche, tutti i termini debbano necessariamente salire alla medesima dimensione, il che dal Leibnitz si chiama Legge degli Omogenei; e non può un termine avere ver. gr. due dimensioni, e l’altro tre, come succederebbe nel calcolo del Signor Abbate Suzzi, se il numero esprimesse il parametro della sua curva.
Il numero adunque nel calcolo del Signor Abbate deve essere lo stesso che , e deve però esprimere non già il parametro della curva, ma il quadrato del parametro medesimo; atteso che in questo modo, e non altrimenti la legge suddetta degli Omogeni si salvi.
L’autore della presente Lettera
A’ MATEMATICI.
Scientiarum Academicis Parisiensibus, Londinensibus.
S.D. JOSEPHUS SUZZI.
- Patavii XIII. Kal. Jannuarii 1747.
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