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Ecce Homo/c) Umano, troppo umano

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c) Umano, troppo umano

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Friedrich Nietzsche - Ecce Homo (1888)
Traduzione dal tedesco di Aldo Oberdorfer (1922)
c) Umano, troppo umano
b) Le inopportune d) Aurora. Pensieri sulla morale come pregiudizio
[p. 81 modifica]

c) Umano, troppo umano.



1.


Con le sue due continuazioni «Umano, troppo umano» è il monumento commemorativo d’una crisi. S’intitola: libro per gli spiriti liberi; quasi ogni sua proposizione esprime una vittoria; con esso, io mi liberai da ciò che m’era estraneo nella mia natura. Estraneo m’è l’idealismo; il titolo dice: «dove voi vedete delle cose ideali, io vedo cose umane, ah! troppo umane...». Io conosco meglio di voi l’uomo.... L’espressione «spirito libero» non significa qui altro che «spirito divenuto libero, spirito che ha ripreso il dominio di sè». L’intonazione è completamente mutata, si troverà il libro prudente, freddo, talvolta duro e ironico. Una certa spiritualità di buon gusto aristocratico pare dominare continuamente una più violenta passionalità che s’agita al di sotto. In questo riguardo non è senza significato che sia precisamente il centenario della morte di Voltaire a servire, in certo modo, di pretesto alla pubblicazione del libro già nel 1878. Poichè Voltaire è, in antitesi a tutto ciò che fu scritto di lui, un gran signore dello spirito: proprio come me. Il nome di Voltaire in un mio scritto; era veramente un progresso.... verso di me......

Riguardando più attentamente, si scopre uno spirito spietato, che conosce tutti i nascondigli dove si cela l’ideale, dove ha le sue [p. 82 modifica]carceri e, insieme, il suo ultimo rifugio sicuro. Con una fiaccola, che non dà però una luce sfiaccolata, s’illumina d’una luce abbagliante questo mondo sotterraneo dell’ideale. È la guerra, ma una guerra senza polvere e senza fumo, senza pose guerresche, senza enfasi e contorsioni: tutto ciò sarebbe ancora «idealismo». Un errore dopo l’altro vien messo tranquillamente sul ghiaccio; l’Ideale non viene confutato, gela..... Qui, per esempio, gela «il genio»; svoltato l’angolo, gela «il santo»; sotto un grosso ghiacciuolo gela «l’eroe»; infine gela «la fede», la cosidetta «convinzione»; e anche la «pietà» si raffredda considerevolmente; quasi da per tutto gela la «cosa in sè».

2.


L’origine di questo libro risale alle prime rappresentazioni solenni di Bayreuth; il sentimento ch’ero profondamente estraneo a quanto mi circondava, nè una delle premesse. Chi ha un’idea delle visioni che già allora m’erano balenate innanzi può indovinare che cosa abbia provato nello svegliarmi una mattina a Bayreuth. Proprio, mi pareva di sognare..... Ma dov’ero, dunque? Non riconoscevo più nulla; appena potevo riconoscere Wagner. Rovistavo invano nelle mie memorie. Tribschen, una lontana isola dei felici: neppur l’ombra d’una rassomiglianza. I giorni incomparabili in cui fu posta la prima pietra, il piccolo gruppo d’iniziati che la festeggiò e che non avevano bisogno di dita fini per trattare le cose delicate: neppur l’ombra d’una rassomiglianza. Che cos’era accaduto? S’era tradotto Wagner in tedesco! Il wagneriano era diventato padrone di Wagner!

L’arte tedesca! il Maestro tedesco! la birra tedesca!...... Noi altri che sappiamo fin troppo bene a quali artisti raffinati, a quale cosmopolitismo del gusto si rivolga l’arte di Wagner, eravamo fuori di noi al ritrovare Wagner ornato di «virtù» tedesche. Io penso [p. 83 modifica]di conoscere bene i wagneriani; sono «vissuto» con tre generazioni di essi, dal defunto Brendel che scambiava Wagner con Hegel fino agli «idealisti» dei «Bayreuther Blätter» che scambiano Wagner con sè stessi; ho sentito ogni sorta di confessioni di belle anime su Wagner. Un regno per una parola sensata! In verità, una compagnia da far rizzare i capelli. Nohl, Pohl, Kohl e teste di cavolo all’infinito! Non vi mancavano aborti di nessun genere, neppure gli antisemiti. Povero Wagner! Dov’era capitato! Fosse andato almeno fra i porci! Ma fra i tedeschi!

Infine, per l’educazione dei posteri si dovrebbe impagliare un autentico abitante di Bayreth — meglio ancòra, metterlo in ispirito, perchè lo spirito manca — con sotto scritto: «Così era fatto lo «spirito» pel cui impulso fu fondato «l’Impero»..... Basta; in mezzo a queste feste io partii, improvvisamente, per un paio di settimane, sebbene una graziosa parigina facesse il possibile per consolarmi; a Wagner feci le mie scuse soltanto con un telegramma fatalista. In un sito della Selva Boema perduto fra i boschi, a Klingenbrunn, portavo a spasso la mia malinconia e il mio disprezzo dei tedeschi, come una malattia; e, di tratto in tratto, sotto il titolo complessivo «Il vomere» scrivevo in un mio libriccino qualche pensiero — soltanto pensieri aspri — di psicologia, che, forse, si ritrova ancora in «Umano, troppo umano».


3.


Ciò che allora avvenne in me di decisivo, non fu la mia rottura con Wagner: io mi resi conto di un’aberrazione generale del mio istinto, di cui il singolo errore — si chiamasse esso Wagner o professura di Basilea — non era che un indice. Mi prese un’impazienza contro me stesso; capii ch’era tempo, ormai, di pensare a ritornare me stesso. Vidi ad un tratto con una chiarezza spaventosa quanto tempo avevo già sciupato, come appariva inutile, arbitraria [p. 84 modifica]— rispetto al compito che m’era prefisso — tutta la mia esistenza di filosofo. Mi vergognai di quella falsa modestia.... Dieci anni di vita, dietro a me, in cui la nutrizione del mio spirito s’era completamente arrestata, in cui non avevo imparato nulla di buono, in cui avevo dimenticato un immenso numero di cose per una gran confusione di dottrina polverosa. A strisciar carponi a traverso gli antichi metrici, con miope pedanteria: a questo punto m’ero ridotto. Mi vidi con pietà molto magro, mezzo morto di fame: le realtà mancavano a dirittura nelle mie cognizioni e le «idealità» valevano così poco! Mi prese una sete ardente: da allora non mi sono in realtà occupato d’altro che di fisiologia, di medicina e di scienze naturali; anche a veri e propri studi storici sono tornato soltanto quando il mio còmpito m’ha imposto di farlo. Allora indovinai per la prima volta il nesso che possa fra un’attività scelta contro il proprio istinto — una cosidetta «vocazione», per la quale non si è minimamente disposti — e il bisogno d’un assopimento del senso di vuoto e d’inanità per mezzo d’un’arte che serva da narcotico; per esempio, dell’arte di Wagner. Dopo essermi riguardato attorno con maggior attenzione scopersi che un grande numero di giovani soffre dello stesso male: una violenza fatta alla natura ne produce necessariamente un’altra. In Germania, nell’«impero», per essere espliciti, sono molti, troppi i condannati a prendere una decisione prematura e a languire poi sotto il peso d’una soma da cui non riescono a liberarsi..... Costoro reclamano Wagner, come domanderebbero dell’oppio; si dimenticano, si liberano da sè stessi per un istante..... Che dico! per cinque o sei ore!


4.


Allora, il mio istinto prese la decisione inflessibile, di non più cedere, non più seguire, non più ingannarmi sul conto di me stesso. Qualunque genere di vita, anche le condizioni peggiori, le malattie, [p. 85 modifica]la miseria, tutto mi pareva preferibile a quell’indegna «trascuranza di me stesso» in cui, prima, m’ero impigliato per ignoranza, per gioventù, poi, ero rimasto preso per indolenza, per «sentimento del dovere». Qui, in un modo ch’io non saprò mai ammirare abbastanza e proprio al tempo opportuno mi venne in aiuto quella cattiva eredità paterna, che, in fondo, non è altro che una predestinazione a morire giovani. La malattia mi liberò lentamente: mi risparmiò ogni rottura, qualunque passo violento e urtante. Non perdetti, allora, la benevolenza di nessuno; me ne guadagnai molte di nuove.

La malattia mi diede inoltre il diritto di mutare completamente tutte le mie abitudini; mi permise, m’impose di dimenticare; essa mi fece il dono della costrizione a starmene queto in ozio, ad aspettare e a pazientare..... Ma ciò vuol dire appunto pensare!..... I miei occhi soli poterono finirla con tutta la massa brulicante dei libri: in tedesco, con la filologia: ero liberato dal «libro», e per anni non lessi più nulla; e questo è il più grande beneficio che mi sia mai stato reso. Quell’intimo io, quasi sepolto, quasi ridotto al silenzio sotto il peso d’un continuo dover badare all’«io» degli altri (e ciò vuol dire appunto leggere!), si ridestava lentamente, timido, dubbioso, ma finalmente parlò di nuovo. Mai ho avuto tanta fortuna, quanta ebbi nel tempo della mia vita in cui fui più malato e sofferente: basta dare un’occhiata al «Crepuscolo» o al «Viaggiatore e la sua ombra» per capire che cos’era questo «ritorno a me»: una forma superiore di guarigione!..... L’altra guarigione non ne fu che una conseguenza.


5.


Umano, troppo umano, questo monumento d’una rigorosa disciplina di sè stessi, col quale mettevo fine bruscamente a ogni sorta di «alto delirio», d’«idealismo», di «nobili sentimenti» e d’altre [p. 86 modifica]debolezze femminili che s’erano infiltrate in me fu scritto, nelle sue parti essenziali, a Sorrento; ebbe la sua chiusa, la sua forma definitiva a Basilea, durante un inverno, in condizioni assai più sfavorevoli che quelle di Sorrento. In fondo, è il signor Pietro Gast, allora studente all’università di Basilea e molto affezionato a me, che ha sulla coscienza questo libro. Io dettavo, col capo legato e addolorante, egli scriveva, correggeva, era insomma il vero scrittore mentre io non ero che l’autore. Quando finalmente, ebbi tra mano il libro compiuto — con grande meraviglia d’un malato grave com’ero io — ne mandai, fra altro, due esemplari anche a Bayreuth. Per un miracolo d’intelligenza del caso, nello stesso tempo ricevetti un bell’esemplare del «libretto» del Parsifal con questa dedica di Wagner: «Al suo caro amico Federico Nietzsche, Riccardo Wagner, consigliere ecclesiastico». In quest’incrocio dei due libri, mi parve di sentire qualcosa di fatidico. Non era, quasi, il rumore di due spade che si incrociassero? Ad ogni modo n’ebbimo tutti e due l’impressione: poichè tutti e due tacemmo. In quest’epoca apparvero i primi numeri dei «Bayreuther Blätter» compresi per che cosa era stato ormai tempo. Incredibile! Wagner era diventato, pio.......


6.


Del modo come la pensavo allora (1876) sul conto mio, della prodigiosa sicurezza con cui mi rendevo conto del mio còmpito e dell’importanza storica di esso, è testimonio il libro intero, ma sopra tutto un passo molto significativo: soltanto, per un’astuzia istintiva in me, evitai anche qui la parola «io» e questa volta, invece di Schopenhauer o Wagner irradiai d’una gloria che diverrà storica un amico mio, l’ottimo dottor Paolo Rée; fortunatamente era una bestia troppo fine, per... Altri furono meno fini d’intelligenza: o fra i miei lettori dei casi disperati — per esempio il tipico [p. 87 modifica]professore tedesco — riconoscibili sempre dal fatto che, basandosi su quel passo, credono di dover giudicare tutto il libro come un’alta espressione di realismo..... In verità esso contraddiceva a cinque o sei affermazioni del mio amico: su questo punto si rilegga la prefazione alla «Genealogia della morale».

Ecco il passo di cui parlavo: «Qual è, dunque il risultato principale cui è arrivato uno dei più audaci e freddi pensatori, l’autore del libro «Sull’origine delle sensazioni morali» (si legga: Nietzsche, il primo immoralista) in grazia della sua analisi incisiva, penetrante, delle azioni umane? L’uomo morale non sta più vicino al mondo intelligibile, che l’uomo fisico; poichè non c’è un mondo intelligibile». Quest’affermazione, divenuta dura e tagliente sotto i colpi di martello della conoscenza storica (si legga: Inversione dei valori) potrà forse una volta, nell’avvenire — 1890! — diventare l’ascia con cui si attaccherà alla radice il «bisogno metafisico» dell’umanità, se per il bene o per il male di essa, nessuno potrebbe dire. Ma, ad ogni modo, essa è una affermazione tale da produrre gravissime conseguenze, feconda insieme e tremenda, e dotata di quella doppia vista per le cose del mondo, ch’è propria di tutte le grandi scienze....