Della congiura di Catilina/XLVII
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Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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Interrogato Volturcio della strada ch’ei tenea, delle lettere, del come, del perchè si partisse; da prima tutt’altro fingendo, della congiura dissimulava; poscia promessagli la impunità, rivelò tutto il vero: pochi giorni prima essere egli stato da Gabinio e Cepario a loro associato; non saperne egli più che gli Allobrogi; aver bensì udito più volte fra i congiurati annoverar da Gabinio Publio Autronio, Servio Sulla, Lucio Vargontejo, e molti altri. Concordarono con Volturcio gli Allobrogi, ed a convincer Lentulo, che ignaro fingevasi, concorrevano, oltre le lettere sue, i discorsi ch’egli usava tenere: «I libri Sibillini promettere il regno di Roma a tre Cornelj; di cui Cinna era il primo, Silla il secondo; il terzo esser egli, a signoreggiar la città destinato: inoltre esser quello, dall’incendio del Campidoglio l’anno ventesimo, profetizzato dagli Aruspici spesso per gli osservati prodigj, come anno di civil sangue contaminato.» Lette perciò le lettere, e da ogni reo riconosciute le firme, il Senato decreta, che Lentulo rinunzj la Pretura, e ch’egli con gli altri tutti rimangano cortesemente custoditi. Vengono quindi consegnati, Lentulo a Publio Lentulo Spintére, Edile; Cetego a Quinto Cornificio; Statilio a Caio Cesare; Gabinio a Marco Crasso; Cepario, poc’anzi arrestato fuggente, a Gneo Terenzio, Senatore.