Della natura delle cose/Libro primo
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Traduzione dal latino di Alessandro Marchetti (1717)
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DI TITO
LUCREZIO CARO
DELLA NATURA DELLE COSE.
LIBRO PRIMO.
ALma figlia di Giove, inclita Madre
Del gran Germe d’Enea, Venere bella;
Degli uomini piacere, e degli Dei:
Tu, che sotto i volubili e lucenti
5Segni del cielo, il mar profondo, e tutta
D’animai d’ogni specie orni la terra,
Che per se fora un vasto error solingo:
Te Dea fuggono i venti: al primo arrivo
Tuo svaniscon le nubi: a te germoglia
10Erbe, e fiori odorosi il suolo industre:
Tu rassereni i giorni foschi, e rendi
Co’l dolce sguardo il mar chiaro e tranquillo
E splender fai di maggior lume il cielo.
Qualor deposto il freddo ispido manto
15L’anno ringiovenisce, e la soave
Aura feconda di Favonio spira,
Testo tra fronde e fronde i vaghi augelli,
Feriti il cor da’ tuoi pungenti strali,
Cantan festosi il tuo ritorno, o Diva;
20Liete scorron saltando i grassi paschi
Le fere, e gonfj di nuov’acque i fiumi
Varcano, a nuoto e i rapidi torrenti:
Tal da’ teneri tuoi vezzi lascivi
Dolcemente allettato ogni animale
25Desioso ti segue ovunque il guidi.
In somma tu per mari, monti, e fiumi,
Per boschi ombrosi, e per gli aperti campi
Di piacevole Amore i petti accendi,
E cosi fai, che si conservi ’l Mondo.
30Or se tu sol della Natura il freno
Reggi a tua voglia, e senza te non riede
Del dì la luce desiata e bella,
Nè lieta e amabil fassi cosa alcuna;
Te, Dea, te bramo per compagna all’opra,
35In cui di scriver tanto in novi carmi
Di Natura, e del Ciel gli alti segreti
Al gran Memmio Gemello a te sì caro
In ogni tempo, e d’ogni laude ornato.
Tu dunque, o Diva, ogni mio detto aspergi
40D’eterna grazia, e fa cessare in tanto
E per mare, e per terra il fiero Marte,
Tu, che sola puoi farlo. Egli sovente
D’amorosa, ferita il cor trafitto
Umil si posa nel divin tuo grembo.
45Or mentr’ei pasce il desioso sguardo
Di tua beltà, ch’ogni beltade avvanza,
E che l’anima sua da te sol prende,
Deh! porgi a lui, vezzosa Dea, deh! porgi
A lui soavi preghi, e fa, ch’ei renda
50Al popol suo la desiata pace.
Che se la Patria nostra è da nemiche
Armi agitata, io più seguir non posso
Con animo quieto il preso stile,
Nè può di Memmio il generoso petto
55Negar se stesso alla comun salute.
Tu, gran Prole de’ Memmj, ora mi porgi
Vacue ed attente orecchie, e ti prepara
Lungi da te cacciando ogni altra cura
Alle vere ragioni; e non volere
60I miei doni sprezzar pria che gl’intenda.
Io spiegherotti, in che maniera il cielo
Con moto eterno ognor si volga, e quali
Sian degli Dei l’essenze, e delle cose
Gli alti principj, e come nasca il Tutto;
65Come poi si nutrisca, e come cresca,
Ed in che finalmente ei si risolva:
E ciò da noi nell’avvenir dirassi
Primi corpi, o materia, o primi semi,
O corpi genitali, essendo quelli,
70Onde prima si forma ogni altro corpo:
Che d’uopo è pur, che in somma eterna pace
Vivan gli Dei per lor natura, e lungi
Stian dal governo delle cose umane,
Scevri d’ogni dolor, d’ogni periglio,
75Ricchi sol di se stessi, e di lor fuori
Di nulla bisognosi, e che nè merto
Nostre gli alletti, o colpa accenda ad ira,
Giacea l’umana vita oppressa e stanca
Sotto Religion grave e severa,
80Che mostrando dal ciel l’altero capo,
Spaventevole in vista e minacciante
Ne sovrastava. Un Uom d’Atene il primo
Fu, che d’ergerle incontro ebbe ardimento
Gli occhi mortali, e le s’oppose il primo:
85Questi non paventò nè ciel tonante,
Ne tremuoto, che ’l mondo empia d’orrore,
Nè fama degli Dei, nè fulmin torto;
Ma qual acciar su dura Alpina cote
Quanto s’agita più, tanto più splende;
90Tal dell’animo suo mai sempre invitto
Nelle difficoltà crebbe il desio
Di spezzar pria d’ogni altro i chiusi e saldi
Chiostri, e le porte di Natura aprire:
Così vins’egli, e con l’eccelsa mente
95Varcando oltre a confin del nostro mondo,
Fu bastante a capir spazio infinito,
Quindi sicuramente: egli n’insegna
Quel, che nasca, e non nasca, ed in qual guisa
Ciò che racchiude l’Universo in seno
100Ha poter limitato, e termin certo:
E la Religion co’ piè calcata,
L’alta vittoria sua n’erge alle stelle.
Nè creder già, che scellerate, ed empie
Sian le cose, ch’io parlo, anzi sovente
105L’altrui Religion ne’ tempi antichi
Cose produsse scellerate, ed empie.
Questa il fior degli Eroi, scelti per Duci
Dell’oste Argiva, in Aulide già indusse
L’Ara a macchiar della gran Dea triforme
110Co’l sangue d’Ifigenia, allor che cinta
Di sacra fascia il bel virgineo crine
Vid’ella a se davante in mesto volto
Il Padre, e a lui vicini i sacerdoti
Celar l’aspra bipenne, e ’l popol tutto
115Stillar per gli occhj in larga vena il pianto,
Sol per pietà di lei, che muta e mesta
Teneva a terra le ginocchia inchine.
Nè giovò punto all’innocente e casta,
Povera verginella in tempo tale,
120Che prima al Re titol di Padre desse;
Che tolta dalla man de’ suoi più cari
Fu condotta all’altar tutta tremante:
Non perchè terminato il sacrificio
Legata fosse co ’l soave nodo
125D’un illustre Imeneo; ma per cadere,
Nel tempo istesso di sposarsi, offerta
Dal Padre in sacrificio ostia dolente,
Per dar felice e fortunato evento
All’armata navale: Error sì grave
130Persuader la Religion poteo.
Tu stesso dall’orribili minacce
De’ Poeti atterrito a i detti nostri
Di negar tenterai la fe dovuta.
Ed oh! quanti potrei fingerti anch’io
135Sogni, e chimere a sovvertir bastanti
Del viver tuo la pace, e co ’l timore
Il sereno turbar della tua mente.
Ed a ragion che se prescritto il fine
Vedesse l’uomo alle miserie sue,
140Ben resister potrebbe alle minacce
Delle Religioni, e de’ Poeti.
Ma come mai resister può? s’ei teme
Dopo la Morte aspri tormenti eterni,
Perchè dell’alma è a lui l’essenza ignota:
145S’ella sia nata, od a chi nasce infusa,
E se morendo il corpo, anch’ella muoja;
Se le tenebre dense, e se le vaste
Paludi vegga del profondo Inferno,
O s’entri ad informare altri animali
150Per divino voler, siccome il nostro
Ennio cantò, che pria d’ogni altro colse
In riva d’Elicona eterni allori,
Onde intrecciossi una ghirlanda al crine
Fra l’Italiche genti illustre e chiara:
155Bench’ei ne’ dotti versi affermi ancora,
Che sulle sponde d’Acheronte s’erge
Un tempio sacro a gl’infernali Dei,
Ove non l’alme, o i corpi nostri stanno;
Ma certi simulacri in ammirande
160Guise pallid’in volto; e, quivi narra
Dell’immortale Omero essergli apparsa
L’immagine piangendo, e di Natura
A lui svelando i più riposti arcani.
Dunque non sol de’ più sublimi effetti
165Cercar le cause, e dichiarar conviensi
Della Luna, e del Sole i movimenti;
Ma come possan generarsi in terra
Tutte le cose, e con ragion sagace
Principalmente investigar dell’alma,
170E dell’animo uman l’occulta essenza;
E ciò che sia quel, che vegliando infermi,
E sepolti nel sonno in guisa n’empie
D’alto terror, che di veder presente
Parne, ed udir chi già per morte in nude
175Ossa è converso, e poca terra asconde.
E so ben io, qual malagevol’opra
Sia l’illustrar de’ Greci entro i Latini
Versi l’oscure invenzioni; essendo
Massime di mestier, che di parole,
180Spesso nuove io mi serva: a ciò costretto
Sì dalla Lingua mia, che della Greca
Viepiù scarsa è di voci, e sì da quelle
Cose, ch’io spiegar tento che null’altro
Spiegò giammai nell’idioma nostro.
185Pur nondimen la tua virtude è tale,
E lo sperato mio dolce conforto
Della nostr’amistà, ch’ognor mi sprona
A soffrir volentieri ogni fatica,
E m’induce o vegliar le nott’intere
190Sol per veder, con quai parole io possa
Aprire innanzi alla tua mente un lume,
Talchè le cose occulte a pien ti mostri.
Or si vano terror, sì cieche tenebre
Scuoter bisogna, e via scacciar dall’animo
195Non co’ bei rai del Sol, non già co’ lucidi
Dardi del giorno a saettar poc’abili,
Fuorchè l’ombre notturne, e i sogni pallidi;
Ma co ’l mirar della Natura, e intendere
Le ignote cause, e la velata immagine.
200Tu, se di conseguir ciò brami, ascoltami.
Sappi, che nulla per divin volere
Può dal nulla crearsi, onde il timore,
Che quind’il cor d’ogni mortale, ingombra,
Vano è del tutto; e se tu vedi ognora
205Formarsi molte cose e in cielo, e in terra,
Nè d’esse intendi le cagioni, e pensi,
Che le faccian gli Dei, vaneggi ed erri.
Sia dunque mio principio il dimostrarti
Che nulla mai si può crear dal nulla:
210Quindi assai meglio intenderemo il resto,
E come possa generarsi ’l Tutto
Senza opra degli Dei. Or se dal nulla
Si creasser le cose, esse di seme
Non avrian di mestier: da tutte ognuna
215Nascer potrebbe, e sorgere vedremmo
Uomini, ed animai dal sen dell’acque;
Dal grembo vano della terra augelli, e pesci;
E dal vano dell’aria armenti, e greggi
Con parto incerto: abiterian le belve
220Tutte indistintamente e per l’amene
Campagne, e per l’inculte erme foreste;
Nè sempre ne darian gl’istessi frutti
Gli alberi, ma diversi, anzi ciascuno
D’ogni specie a produrgli atto sarebbe.
225Poichè come potrian da certa Madre
Nascer le cose, ove assegnati i proprj
Semi non fosser da Natura a tutte?
Ma or perchè ciascuna è da principj
Certi creata, indi ha il natale, ed esce
230Lieta a godere i dolci rai del giorno,
Ov’è la sua Materia, e i Corpi primi.
E quindi nascer d’ogni cosa il Tutto
Non puote; conciossiachè alcune certe
Cose han l’interna facoltà distinta.
235In oltre ond’è, che Primavera adorna
Sempre è d’erbe, e di fior? che di mature
Biade all’estiv’arsuta ondeggia il campo?
Perchè sol quando Febo accupa i segni
O di Libra, o di Scorpio, allor la vite
240Suda il dolce liquor, che inebria i sensi?
Se non perchè a’ lor tempi i varj e certi
Semi in un concorrendo, atti a produrre
Son ciò, che nasce allor che le stagioni
Opportune il richieggono, e la terra
245Di vigor genital piena, e di suco
Puote all’aure inalzar sicuramente:
Le molli erbette, e l’altre cose tenere.
Che se pur generate esser dal nulla
Potessero, apparir dovrian repente
250In contrarie stagioni, e spazio incerto,
Non v’essendo alcun seme, che impedito
Dall’union feconda esser potesse
O per ghiaccio, o per Sol ne’ tempi avversi.
Nè per crescer le cose avrebber d’uopo
255Di tempo alcuno, in cui s’unisca il seme,
S’elle fosser del nulla atte a nutrirsi;
Ma nati appena i pargolett’Infanti
Diverrebber’adulti, e in un momento
Si vedrebber le piante inverso il cielo
260Erger da terra le robuste braccia,
Il che mai non succede; anzi ogni cosa
Cresce, come conviensi, a poco a poco
Da certo seme, e la sua specie intanto
Propagando conserva, onde ben puossi
265Chiaramente dedur, che dalla propria
Materia ha cibo, e divien grande il Tutto.
S’arroge a ciò, che non daria la terra
Il dovuto alimento a’ lieti parti;
Se ne’ debiti tempi a fecondarla
270Non cadesse la pioggia; e gli animali
Propagar non potrian privi di cibo
La propria specie, e conservar la vita?
Ond’è ben verisimile, che molte
Cose molti tra lor corpi comuni
275Abbian, come le voci han gli elementi;
Anzi che sian senza principio alcuno.
In somma ond’è, che non formò Natura
Uomini tanto grandi, e sì robusti,
Che potesser co’ piè del mar profondo
280Varcar l’acque sonanti, e con le mani
Sveller dall’imo lor l’alte montagne,
E viver molt’etadi, e molti secoli?
Se non perchè prescritta è la materia,
Ond’ogni cosa ha da prodursi, ed onde
285Cert’è ciò, che può nascere. Ecco dunque
Che nulla mai si può crear dal nulla,
Mentre di seme ha di mestieri il Tutto
Per uscire a goder l’aure vitali.
Al fin, perchè veggiamo i culti luoghi
290Degl’inculti più fertili, e per l’opra
Di rozze mani industriose i loro
Frutti produr molto più vaghi all’occhio,
Più soavi al palato, e di più sano
Nudrimento allo stomaco, n’è pure
295Chiaro, che d’ogni cosa in grembo i semi
Stanno alla Terra, e che da noi promossi
Sono a nuovo natal, mentre rompendo
Co ’l curvo aratro, e con la vanga il suolo,
Volgiam sossopra le feconde zolle,
300Domandole or co ’l rastro, or con la marra.
Che se questo non fosse, ogni fatica
Sarebbe indarno sparsa, e per se stesso
Produrrebbe il terren cose migliori.
Sappi oltr’a ciò, che si risolve il Tutto
305Ne’ suoi principj, e che non può Natura
Alcuna cosa annichilar giammai.
Che se affatto mortali, e di caduchi
Semi fosser conteste, all’improvviso
Tutte a gli occhi involarsene, e perire
310Dovrian le cose, onde mestier di forza
Non fora in partorir discordia e lite
Tra le lor parti, e l’union disciorne.
Ma perchè seme eterno il Tutto forma,
Quind’è, che nulla mai perir si vede
315Pria che forza il percota, e negl’interni
Vuoti spazj penetri, e lo dissolva.
In oltre, ciò che lunga età corrompe
Se s’annichila in tutto, ond’è, che Venere
Rimena della vita al dolce lume
320Generalmente ogni animale? ed onde
Cibo gli porge ingegnosa terra,
Di cui si nutra, si conservi, e cresca?
Onde le fonti onde i torrenti, e i fiumi
Portan l’ampio tributo al vasto, Mare?
325Onde alle fisse, onde all’erranti stelle
Somministra alimento il Ciel profondo?
Poichè già l’infinita età trascorsa
Ogni corpo mortale a pien dovrebbe
Co ’l vorace suo dente aver consunto.
330Ma se pur fu nella trascorsa etade
Seme, che basti a riprodurre al Mondo
Tutto ciò, che perisce, eterno e certo,
Nulla può dunque mai ridursi al nulla.
In somma a dissipar saria bastante
335Tutte le cose una medesma forza,
Se materia immortal non le tenesse
Più, e men collegate: un tocco solo
Bastevole cagion della lor morte
Certo saria; ch’ove d’eterno corpo
340Nulla, non fosse, ogni più leve impulso
Scior ne dovrebbe la testura in tutto
Ma perchè varj de’ principj sono
I nodi, ed è la lor materia eterna,
Salve restan le cose infino a tanto
345Che forza le percota atta a disciorle.
Nulla può dunque mai ridursi al nulla,
Ma ne’ primi suoi corpi il Tutto riede
Tosto che finalmente il padre Giove
Alla gran madre Terra in grembo versa
350L’umida pioggia, ella perisce al certo;
Ma sorgon quindi le lucenti biade,
Ne verdeggiano gli alberi, e crescendo
Gravano i rami lor di dolci frutti;
Quindi si pasce poi l’umano Germe;
355Quindi ogni altro animale, e lieta quindi
Di vezzosi fanciulli ogni cittade
Fiorir si mira, e le fronzute selve
Piene di nuovi innamorati augelli
Cantan soavi armoniose note;
360Quindi per lieti paschi i grassi armenti
Posan le membra affaticate, e stanche,
E dalle piene mamme in bianche stille
Gronda sovente il nutritivo umore,
Onde i novi lor parti ebri e lascivi
365Con non ben fermo piè scherzan per l’erbe.
Dunque affatto non muor ciò che ne sembra
Morir quaggiù; se la Natura industre
Sempre dell’un l’altro ristora, e mai
Nascer non puote alcuna cosa, al mondo,
370Se non se prima ne perisce un’altra.
Or via, giacchè fin’ora io t’ho dimostro,
Che nulla mai si può crear dal nulla,
Nè mai cosa creata annichilarsi;
Acciò tu nondimen dei detti miei
375Non abbi a diffidar, perchè non puoi
Dille cose veder gli alti principj,
Ascolta in oltre; ed a quei corpi attendi,
Che tu medesmo a confessar costretto
Sei, che pur son benchè non puoi vedergli.
380Pria se vento gagliardo il mare sferza
Con incredibil violenza ignota,
Le smisurate navi urta e fracassa:
Or ne porta sull’ali atre, tempeste,
Or via le scaccia, e ne fa chiaro il giorno;
385Talor pe’ campi infurìato scorre
Con turbo orrendo, e le gran piante atterra;
Talor le selve annose in su gli eccelsi
Monti con soffio impetuoso svelle;
Tal con fiero e crudel mormore insorto
390Geme, freme; s’infuria, e il Ciel minaccia.
Son dunque i venti un invisibil corpo,
Che la terra, che il mare, ch’il ciel profondo
Trae seco a forza, e ne fa strage e scempio;
Nè in altra guisa il suo furor distende,
395Che suol repente in ampio letto accolta
L’acqua d’alto cader gonfia e spumante,
Che non pur delle selve i tronchi busti;
Ma ne porta su ’l dorso i bosch’interi,
Nè pon soffrire i ben fondati ponti
400La smisurata forza: il fiume abbatte
Ogni eccelso edifizio, e sotto l’acque
Gran sassi avvolge, onde rovina a terra
Ciò ch’al rapido corso ardisce opporsi.
Così dunque del vento il soffio irato,
405Se qual torrente impetuoso scorre
Verso qualsisia parte, innanzi caccia
Cicch’egl’incontra, e lo divelle e schianta:
Or con vortice torto alto il rapisce,
E con rapido turbo il ruota e porta.
410È dunque il vento un invisibil corpo,
Se nell’opre, ne’ moti i fiumi imita,
Che son composti di visibil corpo.
Giungono anch’alle nari odor diversi
Che tra via nondimen l’occhio non vede,
415Nè i fervidi bollor, nè i freddi pigri
Mirar si pon, nè le sonore voci;
E pur forz’è, che di tai cose ognuna
Corporea sia, poichè commove il senso,
Che null’altro, che il corpo è tocco, e tocca.
420Le vesti ai fin nel marin lido appese
Umide fansi, e le medesme ancora
Spiegate a’ rai del Sol tornano asciutte;
Ma nè come l’umore ivi si fermi,
Nè come fugga dal calor cacciato
425Mai scorse alcuno: egli si sparge adunque
In tante particelle, e sì minute,
Ch’a poterle vedere occhio non basta.
Anzi portate per molt’anni in dito
S’assottiglian l’anella. A goccia a goccia
430L’acqua d’alto cadendo i sassi incava.
L’adunco ferro del ritorto aratro
Rompendo i campi, occultamente scema.
Consuman per le strade i piè del volgo
Le durissime lastre, e per lo spesso
435Toccar di chi saluta, e di chi passa,
Le figure di bronzo, in sulle porte
De’ Templi sculte, la lor forma perdono.
E ben tai cose sminuir veggiamo
Consumate che son; ma di potere
440Scorger quai d’ora in or minime parti
Se ne vadan staccando, invidiosa
La Natura ne toglie. Al fin pupilla
Non v’ha, che scorga, ancorchè fissa, i corpi,
Che il tempo, e la Natura appoco appoco
445Danno alle cose, che da lor costrette
A crescer son con certo modo e legge:
Nè quei, che d’or’in or perde chiunque
Langue per macie, o per età vien meno:
Nè quei che rode con l’edace sale
450Di giorno in giorno il mar da’ duri scogli.
N’è chiaro dunque pur, che la Natura
Con invisibil corpi opera il tutto.
Ma non creder però, che l’Universo
Sia pieno affatto: in ogni cosa il Vuoto
455Misto è co’i corpi, e questo in molte cose
D’util ti fia, perchè tu meglio intenda
Ciò ch’io ragiono, e senza dubbj, e senza
Sempre errando cercar quai le cagioni
Sian delle cose, interamente creda
460Alle parole mie fide, e veraci.
È dunque il Vuoto un intangibil spazio,
In cui corpo non è, perchè se tale
Non fosse, non potriansi in alcun modo
Mover le cose, giacchè a tutte in pronto
465Saria sempre l’officio, che de’ corpi
E’ proprio: e questo è il contrastare al moto
De’ corpi, e l’impedirlo. Ir dunque innanzi
Nulla al certo potria, mentre di cedere
Non darebbe il principio alcuna cosa;
470Ma noi veggiam co’gli occhi proprj ognora
Nella terra, nel mar, nel ciel sublime
Moversi molte cose in molti modi,
Per, molte cause; che se vuoto alcuno
Spazio non fosse, d’ogni moto prive
475Sarian non sol, ma nè pur nate al mondo,
Poichè stivati i primi semi affatto
Goduto avriano una perpetua quiete.
In oltre ancor che molte cose a gli occhi
Pajan solide in tutto, elle pur sono
480Di porosa sostanza: indi dell’acque
Scorre il liquido umor per le spelonche;
Piangon le selci in copiose stille;
Per tutto il corpo si diffonde il cibo
Degli animai: crescon la piante, e fanno
485Nella propria stagione il fiore, e il frutto,
Sol perchè preso il nutrimento loro
Fin dall’infime barbe; egli si sparge
Tutto per tutto il tronco, e tutti i rami.
Passan le voci entro le chiuse mura,
490E scorre spesso il duro gel per l’ossa;
Il che non avverrebbe in modo alcuno,
Se non fosser nel mondo i vuoti spazj,
Ove ogni corpo penetrar potesse.
Al fine, ond’è, che di due cose eguali
495Di mole, una sovente ha maggior pondo?
Che s’un fiocco di lana in se chiudesse
Tanto di corpo, quanto il piombo e l’oro;
Egli altrettanto anco pesar dovrebbe,
Che proprio è sol di tutt’i corpi il premere
500In giù le cose; ed al contrario il Vuoto
Di sua natura è senza peso alcuno.
Dunque se di due cose eguali in mole
L’una più lieve fia, chiaro n’insegna
D’aver manco di corpo, e più di Vuoto.
505Ma se più grave pe ’l contrario mostra
D’aver manco di Vuoto, e più di corpo,
Che sia dunque tra i corpi il Vuoto sparso,
Benchè mal noto a’ nostri sensi infermi,
Per l’addotte ragioni è chiaro e certo.
510Nè qui vogl’io che deviar dal vero
Ti possa mai quel, che sognaro alcuni;
E perciò quanto io parlo ascolta, e nota.
Dicon, che ’l mare allo squamoso armento
Apre l’umide vie, perch’egli a tergo
515Spazio si lascia, ove concorron l’onde,
E che in guisa simile ogn’altra cosa
Mover si puote, e cangiar sito e luogo;
Ma falso è ciò, ch’ove’ potranno al fine
I pesci andar, se non dà luogo il mare?
520E dove al fin, se non dan luogo i pesci,
Il mar n’andrà, benchè cedente e molle?
Forz’è dunque o privar di moto i corpi,
O fra le cose mescolare il Vuoto,
Che sia cagion de’ movimenti loro.
525S’al fin due piastre di lucente acciaro
Si combattano insieme, ind’in un tratto
L’una dall’altra si solleva, è d’uopo,
Che vuoto resti l’interposto spazio;
Poichè quantunque d’ogn’intorno accorra
530L’aere per occuparlo, in un sol punto
Ciò far non può, ma che riempia è forza
Il luogo più vicino, e poscia gli altri.
E se per avventura alcun pensasse,
Che si disgiungan l’un dall’altro i corpi,
535Perchè l’aere frapposto si condensi,
Erra, che il Vuoto, il qual non era innanzi,
Fassi per certo, e si riempie dopo,
Benchè velocemente, in qualche tempo:
Nè l’aere in guisa tal può condensarsi;
540Nè quando anche potesse, ei non potrebbe
Se stesso in se raccorre, e in un ridurre
Senz’alcun Vuoto le disperse parti.
Dunque indugia, se vuoi; forz’è, ch’al fine
Esser confessi fra le cose il Vuoto,
545Che sia cagion de’ movimenti loro.
Posso oltre a ciò molte ragioni addurti
Nulla men concludenti, onde tu presti
Alle parole mie fede maggiore;
Ma tanto basti al tuo sottile ingegno
550Per ben capir sicuramente il resto.
Che se scopron sovente i bracchi al fiuto
Le lepri, i cervi, e l’altre fiere in caccia
Pe’ covili appiattate, e pe’ cespugli,
Tosto ch’han di lor via vestigio certo,
555Potrai ben tu da te medesmo intendere
L’una cosa dall’altra, e penetrare
Per tutt’i ripostigli, e trarne il vero.
Ma se tu pigro fossi, e ti scostassi
Dal vero alquanto, io ti prometto, e giuro,
560Che può la lingua in così larga vena
Dal ricco petto mio spargerti, o Memmio,
Più che mel dolce d’eloquenza un fiume;
Ch’io temo assai non la vecchiezza inferma
Per le membra serpendo il chiostro n’apra
565Di nostra vita, e ne disciolga i lacci,
Pria che tu possa d’ogni cosa a pieno
Da’ versi nostri ogn’argomento udire.
Ma tempo è già di proseguir l’impresa.
Tutte le cose per se stesse adunque
570Consiston solamente in due nature;
Cioè nel corpo, e nello spazio vuoto,
Ov’elle han varj i movimenti; e i siti;
Ch’esser corpi nel Mondo il comun senso
Per se ne mostra, a cui se fede nieghi,
575Non fia giammai, che delle cose occulte
Poss’io nulla provar con la ragione.
E se non fosse alcuno spazio, o luogo,
Che sovente da noi Vuoto si chiama,
Non avrian sito mai, nè moto i corpi,
580Come già poco innanzi io t’ho dimostro.
Nulla oltre a ciò può ritrovarsi mai,
Che tu dir possa esser diviso affatto
E dal Corpo, e dal Vuoto, onde si dia
Una quasi tra lor terza natura,
585Ch’è pur qualcosa ciò ch’al mondo trovasi,
Sia di piccola mole, o sia di grande;
Poichè s’egli esser tocco, e toccar puote,
Benchè lieve e minuto, è corpo al certo;
Se no, Vuoto si chiama, o Spazio, o Luogo.
590In oltre, ciò che per se stesso fia,
O sarà qualche cosa, o sarà fatto;
O fia ciò, dove i corpi han luogo, e nascono.
Ma non può far, nè farsi altro, che il Corpo,
Nè dar luogo alle cose altro, che il Vuoto.
595Dunque oltre al Vuoto; e al Corpo in van si cerca
Una quasi tra lor terza natura,
Che per se accresca delle cose il numero;
Essendo il tutto ad ambedue congiunto,
O loro evento, che accidente io chiamo.
600Tu stima poi, che sia congiunto quello,
Che non può senza morte esser disgiunto;
Come il peso alle pietre, il caldo al fuoco,
A’ corpi il tatto, il non toccarsi al Vuoto.
Servitude all’incontro e libertade,
605Ricchezza e povertà, concordia e guerra,
E tutto ciò che venga, o resti, o porta
Lascia salve le cose, io questo soglio
Accidente chiamar, come conviensi.
Il tempo ancor non è per se in natura;
610Ma dalle sole cose il senso cava
Il passato, il presente, ed il futuro;
Nè può capirsi separato il tempo
Dal moto delle cose, e dalla quiete.
Nè dic’alcun che la Tindarea prole
615Da Paride rubata al Duce Argivo,
E ’l superbo Ilione arso e consunto
Forse parrà; ch’a confessar ne sforzi,
Che tai cose per se fossero al Mondo,
Mentre l’età trascorsa irrevocabile
620I secoli di quelli ormai n’ha tolto,
Che ad eventi sì rei furon soggetti;
Poichè di ciò che fassi, altro può dirsi
De’ paesi accidente, altro de’ corpi.
Che se stato non fosse il seme e il luogo,
625Onde si forma, e dove ha vita il tutto,
Non avrebbe giammai d’amore il foco
Per la rara beltà d’Elena acceso
Nel Frigio petto suscitar potuto
Il chiaro incendio di sì cruda guerra;
630Nè il gran destrier del traditor Sinone
Co ’l notturno suo parto avria distrutto
Della Nobil Città le mura eccelse.
Onde conoscer puoi, che l’opre altrui
Non son per sè conforme il Corpo, e ’l Vuoto;
635Ma più tosto a ragion debbon chiamarsi
O de’ corpi accidenti o de’ paesi.
Sappi poi che de’ Corpi altri son primi,
Altri si fan per l’union di questi;
Ma quei, che primi son, da forza alcuna
640Dissipar non si ponno: ogni grand’urto
Frena la lor sodezza, ancorchè paja
Duro a creder, che nulla al Mondo possa
Trovarsi mai d’impenetrabil corpo.
Passa il Fulmin celeste, allor che Giove
645Ver noi l’avventa, entro le chiuse mura,
Come i gridi e le voci. Il ferro stesso
S’arroventa nel foco: entro il crudele
Bollor fervido al fin spezzansi i sassi:
Un soverchio calor l’oro dissolve:
650Del bronzo il ghiaccio una gran fiamma strugge:
Penetra per l’argento il caldo, e ’l freddo,
Poichè avvinchiando con la mano il nappo,
E versandovi dentro il dolce vino,
L’un, e l’altro da noi tosto si sente:
655Sì par, che tra le cose ancor che sode,
Nulla sia mai d’impenetrabil corpo.
Ma, perchè la ragion della natura
Non pertanto ne sforza, or tu m’ascolta;
Mentre che in pochi versi esser ti mostro
660Materia impenetrabil’, ed eterna.
Pria: se varia del corpo è la natura
Dall’essenza del luogo, e fassi ’l tutto,
Com’i nostri argomenti han già convinto,
Forz’è, ch’ambe per se sian, ed immiste:
665Poichè dove lo spazio intatto resta,
Ivi corpo non è; ma dov’è corpo,
Ivi Vuoto non è, Son dunque i primi
Corpi senz’alcun Vuoto impenetrabili.
In oltre, essendo mescolato il Vuoto
670Fra le cose create, è d’uopo al certo,
Ch’impenetrabil corpo intorno il cinga:
Nè mai posso provar, che sia celato
Per entro alcuna cosa il vuoto spazio,
Se per già noto io non suppongo ancora,
675Che impenetrabil sia quel, che ’l circonda:
Il che poi certamente, esser non puote
Se non de’ semi l’union concorde,
Che stringer possa, entr’a se stessa il Vuoto.
Può dunque la materia esser eterna,
680Benchè sia frale ogn’altra cosa al mondo,
Mentr’ella è pur d’impenetrabil corpo.
Aggiungi ancor, che se non fosse il Vuoto,
Pieno sarebbe il Tutto: e se non fossero
Gl’invisibili corpi, il mondo affatto
685Vuoto sarebbe. Egli è composto adunque
Di due cose tra lor molto diverse;
Cioè de’ corpi, e dello spazio vuoto:
Non essendo nè vuoto in ogni parte,
Nè pe ’l contrario in ogni parte pieno.
690Gl’invisibili corpi adunque sono,
Che distinguon dal pieno il vuoto spazio.
Questi mai non offende esterna forza:
Ogni percossa è vana a dissipate
La loro indissipabile sostanza:
695Poichè nulla, che sia di Vuoto privo,
Non par, che possa, esser urtato in modo,
Che si spezzi ’n due parti, e si divida,
Nè dar luogo all’umore, al freddo, al caldo,
Onde ogni cosa vien ridotta al fine:
700Ma quanto più di Vuoto in se racchiude,
Tanto più penetrato agevolmente
Dagli, esterni nemici è poi distrutto.
Dunque se i primi corpi impenetrabili
Sono, e senz’alcun Vuoto, è forza al certo,
705Come già t’insegnai, che siano, eterni.
S‘eterna in oltre la materia prima
Stata non fosse, al nulla omai ridotto
E dal nulla rinato il tutto fora.
Ma perchè chiaro io t’ho mostrato avanti,
710Che nulla mai si può crear dal nulla,
Nè mai cosa creata annichilarsi;
Forz’è pur confessar, che i primi semi
Sian di corpo immortale, in cui si possa
Dissolver finalmente ogni altro corpo;
715Acciò che sempre la materia in pronto
Sia per rifar le già disfatte cose.
Per lor simplicità dunque i principj
Son pieni, impenetrabili, ed, eterni;
Nè ponno in altra guisa, esser rifatte
720Le cose mai per infinito tempo.
Al fin se la Natura alcun prescritto
Termine non avesse allo spezzarsi,
Sariano a tal della materia i corpi
Ridotti omai nella trascorsa etade,
725Che non avrebbe mai nessun Composto
Da molto tempo in qua passar potuto
Della sua verd’età l’ultimo fiore.
Poichè, per quanto è manifesto al senso,
Muor più prest’ogni cosa, e si dissolve,
730Che dopo si rinasca, e si ristauri:
Ond’ancor tuttavia spezzando il tempo
Ciò che già mille volte avesse infranto
La lunga, anz’infinita età trascorsa,
Non potrebbe giammai rifarsi appieno.
735Or perchè ristorar vedesi ’l Tutto,
E da Natura aver prescritto il tempo,
Onde possa toccar l’ultima meta
Dell’età sua, dunque prefisso è pure
Al romper delle cose un certo fine.
740S’arroge a ciò, ch’essendo i corpi primi
Di dura, anz’infrangibile sostanza,
Può non per tanto agevolmente farsi
Tenero, e molle il ciel, la luce, il foco,
L’aria, il vento, il vapor, l’acqua, e la terra,
745Sol co ’l mischiare infra le cose il Vuoto.
Ma se per lo contrario i primi semi
Fosser teneri, e molli, onde potrebbe
Farsi ’l ferro, il diaspro, e l’adamante;
Mentre mancasse alla Natura affatto
750D’ogni durezza il fondamento primo?
Per lor simplicità dunque i principj
Son pieni, impenetrabili, ed, eterni;
E per lor union posson le cose
Più e più considerarsi, e mostrar forza.
755Perchè in somma è prescritto un termin certo
A ciò che cresce, e si conserva in vita;
E ciò che possa, e che non possa oprare;
Per naturale e inviolabil legge
Incommutabilmente è stabilito
760In guisa tal, ch’ogni dipinto augello
Mostra nel corpo suo l’istesse macchie;
Che ciascun’altro di sua specie mostra.
Fie pur d’invariabile sostanza
Il primo seme suo: perchè se i corpi
765Della prima materia in alcun modo
Si potesser mutare; incerto ancora
Quel, che nasca, o non nasca, omai sarebbe;
Ed in qual guisa sia prescritta al tutto,
Terminata potenza, e certo fine:
770Nè men potrian generalmente i secoli
Ricondur mai de’ Genitori al mondo
La natura, i costumi, i moti, e ’l vitto.
In oltre ancor, perchè l’estremo termine
Di qualsivoglia corpo è pur qualcosa,
775Benchè più non soggiaccia a’ sensi nostri,
Forz’è, che senza parti, e indivisibile
Sia per Natura, e che non fosse mai
Separato per se, nè sia per essere,
Mentr’egli stesso è prima parte, ed ultima:
780Onde l’altre, e poi l’altre, a lui simili,
Per ordine disposte al corpo danno
La dovuta grandezza. Or perchè queste
Star non posson da se, d’uopo han d’appoggio;
Nè diveller si ponno in alcun modo.
785Per lor simplicità dunque i principj
Son pieni, impenetrabili, ed eterni;
Ed han l’indivisibili lor parti
Con forti lacci collegate, e strette.
Nè già per l’union d’altri principj
790Creati furo, anzi piuttosto è d’uopo,
Ch’eterna sia la lor simplicitade:
Talchè mai la Natura non consente,
Che nulla sia da lor staccato, ond’essi
Scemin di mole; conciossiachè i primi
795Semi alle cose dee serbare intatti.
In oltre se da noi non si concede
Il minimo fra corpi, egli è mestiero
Dir poi, che tutti d’infinite parti
Composti sian, mentrechè sempre il mezzo
800Il mezzo avrà, nè alcuna cosa mai
Porrà loro alcun termine. Qual dunque
Differenza addurrem fra l’Universo
Intero, e qualsisia più picciol corpo?
Niuna al mio parer: Poichè quantunque
805Sia l’Universo d’ogn’intorno immenso;
Pur quei corpi eziandio, che per natura
Picciolissimi son, di lui non meno
Sarian composti d’infinite parti:
Il che poi reclamando ogni verace
810Ragion, come incredibile rifiuta.
Sicchè d’uopo fia pur, che vinto al fine
Tu confessi, che al mondo alcuni corpi
Trovansi, che di parti affatto privi,
E per natura lor minimi sono:
815Ond’essendo pur tali, è forza al certo,
Che sian pieni, infrangibili, ed eterni.
Se la Natura al fin, che il tutto crea,
Non solesse sforzare a dissiparsi
In parti indivisibili le cose,
820Già non potria restaurar con esse
Nulla di ciò, che si dissolve, e muore:
Poichè quel, che di parti, onde s’accresce,
Non è composto, aver giammai non puote
Ciò ch’aver denno i genitali corpi;
825Cioè varj tra lor legami, e pesi,
E percosse, e concorsi, e movimenti,
Onde nasce ogni cosa, e divien grande.
Se fine in somma allo spezzar de’ corpi
Stabilito non fosse, or come alcuni
830Superando ogn’intoppo avrian potuto
Per infinito tempo omai trascorso
Fino alla nostra età serbars’intatti?
Perch’essendo di fragile natura,
Discord’ egli è, che sian rimasti illesi
835Dopo un eterno tempo di percosse.
Quindi chi sì pensò, che delle cose
Fosse prima materia il foco solo,
Fu dal vero discorso assai lontano.
Primo Duce di questi armato in campo
840Eraclito si mostra, ed è piuttosto
Per l’oscuro parlar fra i vani illustre,
Che fra chi cerca il vero uom saggio e grave:
Che amare, ed ammirar soglion li sciocchi
Più quelle cose, che nascoste trovano
845Fra‘ più dubbie parole, e più stravolte,
E sol prestan credenza a quei concetti,
Che titillan l’orecchie, e con sonora
E soave armonia lasciati sono.
Ma se di vero è puro foco il tutto
850Creato fosse, onde potriano al mondo
Nascer cose giammai tanto diverse?
Poichè nulla giovar dovria, che ’l foco
Divenisse or più denso, ed or più raro,
Se le parti del foco avesser tutte
855Di tutto il foco la natura stessa:
Giacch’egli unito avria l’ardor più intenso,
E più languido poi disperso, e sparso.
Tu nulla in oltre immaginar ti puoi,
Che da causa simil possa formarsi,
860Non che si crein da foco denso, e raro
Cose al mondo fra lor sì varie e tante.
Oltre che se costoro il vuoto spazio
Mescolasser fra il pieno, il foco al certo
Potrebbe rarefarsi, e condensarsi.
865Ma per non gire a molti dubbj incontro,
Stanno sospesi, e non s’arrischian punto
A conceder tra ’l pieno il Vuoto puro:
E mentre temon le contrarie cose,
Perdon la via d’investigare il vero;
870Nè san, che tolto dalle cose il Vuoto,
D’uopo è, che tutte si condensin tosto,
E si formi di tutte un corpo solo;
Che nulla poi rapidamente possa
Scacciar da se, come le fiamme accese
875Lo splendor, e l’ardor da se discacciano:
Onde ognun dee pur confessar, che il foco
Non è composto di stivate parti.
Che se credon, ch’ei possa in qualche modo
Unito dissiparsi, e cangiar forma,
880Non veggon poi, che concedendo questo,
Forz’è, che il foco si corrompa in nulla
Tutto, e del nulla anco rinasca il tutto;
Poichè qualunque corpo il termin passa
Da Natura prescritto all’esser suo,
885Quest’è sua morte, e non è più quel desso;
Ond’è mestier, che qualche parte intatta
Ne resti, acciocchè il tutto omai non torni
Al nulla, e poi del nulla anco rinasca.
Or dunque perchè sotto alcuni corpi,
890Che servan sempre una medesma essenza,
Per l’entrata de’ quai, per la partita,
E per l’ordin cangiato il tutto cangia
Natura, e si trasforma in nuove forme,
Sappi, ch’essi non ponno esser di foco;
895Perchè indarno partirsi, ire, e tornare
Potrian alcuni, altri venirne, ed altri
Variare il primiero ordine, e sito:
Giacchè se tutti per natura ardessero,
Tutto ciò che si crea, foco sarebbe.
900Ma così va, s’io non m’inganno: alcuni
Corpi sono nel mondo, i cui concorsi,
Gli ordini, i moti, le figure, i siti
Far ponno il foco, e ch’ordin poi mutando,
Mutan anco natura, e più non sono
905O foco, o fiamma, od altro corpo ardente,
Che vibri al senso le sue parti, e possa
Toccar con l’accostarsi il nostro tatto.
Il dir poi, ch’ogni cosa è foco puro,
E che nulla è di vero altro, che ’l foco,
910Com’Eraclito volle, a me rassembra
Sogno d’infermi, o fola di romanzi;
Poich’il senso repugna al senso istesso,
E quello snerva, ond’ogni creder pende,
Ed onde egli medesimo conobbe
915Quel corpo, che da lui foco si chiama;
Giacch’ei crede, che ’l senso il foco solo
Veramente conosca, e poi null’altro
Di ciò, che punto è non men chiaro al senso:
Il che falso non pur, ma parmi ancora
920Sogno d’infermi o fola di romanzi.
Ch’ove ricorrerem? Qual cosa a noi
Fia più certa giammai de’ sensi nostri,
Onde il vero dal falso si discerna?
In oltre ond’è che tu piuttosto ogni altra
925Cosa tolga dal Mondo, e lasci solo
La natura del caldo, il che poi nieghi
Esser il foco, e non per tanto ammetta
La somma delle cose? A me par certo
Tanto l’un, quanto l’altro egual pazzia.
930Quindi chi si pensò, che il foco fosse
Delle cose materia, e che di foco
Potesse al mondo generarsi il tutto;
E chi fe’ primo seme o l’aria, o l’acqua,
O pur la terra per se stessa e volle,
935Ch’una sol cosa si trasformi in tutte,
Par, che lungi dal vero errando gisse.
Aggiungi ancor chi delle cose addoppia
Gli alti principj, e l’aria aggiunge al foco,
O la terra all’umore, e chi si pensa
940Che di quattro sostanze il tutto possa
Generarsi di foco, aria, acqua e terra,
De’ quali il primo Empedocle chiamossi,
Uom Greco, e che per Patria ebbe Agrigento
Città, ch’è posta entro il paese aprico
945Dell’Isola triforme, intorno cinta
Con ampj anfratti dall’Jonio mare,
Ch’ondeggiando continuo il lido asperge
D’acque cerulee, e per angusta foce
Scorrendo rapidissimo divide
950Dall’italiche spiagge i suoi confini:
È qui Scilla, e Cariddi, e qui minaccia
Con orrendo fragor l’Etneo Gigante
Di risvegliar gli antichi sdegni e l’onte,
E di nuovo eruttar dall’ampie fauci
955Contro il nimico ciel folgori ardenti.
Oltre a tai meraviglie il suol benigno
Di cortesia, di gentilezza ornata
Qui produce la gente, e qui cotanto
D’uomini illustri, e d’ogni bene abbonda,
960Che per cosa mirabile s’addita.
Ma non sembra però, che qui nascesse
Cosa mai più mirabil di costui,
Nè più bella e gentil, più cara e santa,
Se non se forse in Siracusa nacque
965Il divino Archimede; e nuovamente
Nella nobil Messina il gran Borelli
Pien di filosofia la lingua, e ’l petto,
Pregio del mondo, e mio sommo e sovrano,
Mio maestro; anzi Padre, ah! più che padre.
970Dell’eccelsa sua mente i sacri versi
Cantansi d’ogni intorno, e vi s’impara
Sì dotte invenzioni, e sì preclare,
Che credibil non par, ch’egli d’umana
Progenie fosse. Ei non per tanto, e gli altri,
975Che di sopra io contai di lui minori
Molto in molte lor parti, ancorchè molti
Ottim’insegnamenti, anzi divini
Dal profondo del cor, quasi responsi
Dessero altrui, molto più santi e certi
980Di quei, ch’è fama, che dal sagro lauro
Di Febo e delle Pitie ampie cortine
Uscisser già: pur, com’io dissi, erraro
Intorno a’ primi semi; e gravemente
Fecer quivi inciampando alta caduta.
985Pria perchè tolto dalle cose il Vuoto,
Mover le fanno, e lascian molli, e rari
Il cielo, il foco, il Sol, l’acqua, e la terra,
Gli uomini, gli animai, le piante, e l’erbe,
Senza mischiar entro a i lor corpi il Vuoto;
990Poi perchè fan, ch’allo spezzar de’ corpi
Non sia prescritto da Natura un fine,
Nè parte alcuna indivisibil danno.
E pur veggiam, che d’ogni cosa il termine
È quel, ch’al senso indivisibil sembra,
995Onde tu passa argumentar da questo
Anco quel, che mirar non puoi cogli occhi:
Cioè ch’essendo circoscritte, è forza,
Ch’abbian lo indivisibile le cose.
S’arroge a ciò, che la materia prima
1000Voglion, che molle sia; ma quel, ch’è molle,
Spesso stato cangiando, or nasce, or muore;
Per la qual cosa omai disfatto il tutto
Sariasi in nulla mille volte e mille,
E mille e mille volte anco rifatto;
1005Il che ben sai quanto dal ver sia lungi
Per le ragioni mie di sopra addotte.
Senza che son nemiche in molti modi
Fra lor le cose molli, e rio veleno
Sono a se stesse, onde o perir dovriano
1010Dopo fiera battaglia, o fuggir tosto;
Qual allor che tempesta in Ciel si genera
Fuggonsi i venti, e le bufere, i fulmini.
Al fin se può di quattro corpi soli
Ogni cosa crearsi, e poi di novo
1015In quegli stessi dissiparsi il tutto,
Dimmi, per qual cagione essi piuttosto
Debbonsi nominar principj primi
D’ogni altra cosa, ch’all’incontro ogn’altra
Cosa chiamarsi lor principio primo?
1020Giacch’essi alternamente in ogni tempo
Pon generarsi, e variar colore,
E tutt’anco fra lor l’interna essenza.
Ma se forse dirai, che possa il corpo
Della terra, e del foco unirsi in modo
1025Con l’aure aeree, e con l’umor dell’acqua;
Che di quattro principj alcun non cangi
Per cotal union forma, e natura,
Nulla di lor potria crearsi mai:
Non l’alme, e ciò che senza mente ha vita
1030Come i bruti, e le piante, e l’erbe, e i fiori;
Conciossiachè ciascuno in tal concorso
Dalla propria sostanza apertamente
Mostrerà la natura: Ivi vedrassi
Starsi l’aria, la terra, il foco, e l’acqua
1035Mescolati fra lor. Ma i primi semi,
Onde si debbon generar le cose,
Mestiero è pur, che di Natura occulta,
E cieca siano, acciò nessun prevaglia,
E lite a gli altri, e cruda guerra mova;
1040Onde si vieti poi, che nulla possa
Mai propriamente generarsi al Mondo;
Anzichè questi fin dal cielo immenso,
E dalle fiamme sue chiamano il foco,
E voglion pria che si trasformi in aria,
1045Quindi in acqua si cangi, e poscia in terra;
E poi di novo ritornando indietro
Fan produr dalla terra ogni Elemento:
L’acqua pria, dopo l’aria, e poscia il foco;
Nè che cessin giammai di trasmutarsi
1050Tai cose insieme alcun di lor concede;
Ma che sempre dal ciel scendano in terra,
Ed ognor dalla terra al ciel sormontino:
Il che far non si debbe in guisa alcuna
Dalla prima materia; anzi è pur d’uopo,
1055Che qualche cosa invariabil resti,
Acciocchè affatto non s’annulli il tutto;
Poichè qualunque corpo il termin passa
Da Natura prescritto all’esser suo,
Quest’è sua morte, e non è più quel desso.
1060Or se l’aria, la terra, il foco, e l’acqua
Si trasforman tra lor, dunque non ponno
Primi semi chiamarsi; anzi conviene,
Che sian d’altri principj incommutabili
Composti anch’essi, acciocchè il tutto al nulla
1065Non torni in un momento. Onde più tosto
Pensa, che sieno i genitali corpi
Di tal natura, che se forse il foco
Prodotto avran, toltine alcuni, ed altri
Aggiunti, e variando ordine, e moto,
1070Possan l’aria crear, l’acqua, e la terra;
E che nel modo stesso ogni altra cosa
Perda la propria essenza, e si trasformi.
Ma forse mi dirai: Chiaro è, che il tutto
Cresce da terra in aria, e vi si nutre;
1075E se a’ debiti tempi anco non scende
Pioggia, che irrighi alla gran madre il seno,
E se vita, e calor non gli comparte
Co’ suoi lucidi raggi ’l Sol cortese,
Muojon le piante, gli animai, le biade:
1080Anzi gli uomini stessi affatto privi
D’arido pane, e d’umid’acqua, e vino
Perdono il corpo, e con il corpo ancora
Tutta da tutti i nervi, e tutte l’ossa
Lor si scioglie la vita, e fugge l’alma.
1085Essi dunque han ristoro, e nutrimento
Da certo cibo; e pur da certo cibo
Altri, ed altri animali, e d’altri corpi
Similmente han ristoro e nutrimento:
Ch’essendo molti primi semi e molti
1090Comuni in molti modi a molti corpi
Mescolati fra lor, forz’è, che il vitto
Da varie cose varie cose prendano.
E spesso anc’oltre a ciò non poco importa
Con quai sian misti, come posti, e quali
1095Movimenti fra lor diano, e ricevano;
Poichè forman gli stessi il cielo, il mare:
Gl’istessi ancor la terra, i fiumi, il Sole,
Gli uomini, gli animai, l’erbe, le piante,
Mentre mischiati in varie guise insieme
1100Si movon variamente; anzi tu stesso
Puoi sovente veder ne i nostri versi
Esser comuni a molte voci, e molte
Molti elementi; e non per tanto è d’uopo
Dir, ch’abbia ogni parola, ed ogni verso
1105Vario significato, e vario suono;
Che tanto di possanza han gli elementi
Con la mutazion dell’ordin solo.
Ma credibil è ben, che i primi semi
Abbian più cause, onde crear si possa
1110Tutte le cose, di che il mondo è adorno.
Ma tempo è di pesar, con giusta lance
D’Anassagora ancor l’Omeomeria
Mentovata da’ Greci, e che non puossi
Da noi ridir nella paterna lingua
1115Con un solo vocabolo; ma pure
Facil sarà, ch’ella si spieghi in molti.
Pensa egli adunque, che ’l principio primo
Che da lui vien chiamato Omeomeria,
Altro non fosse, che una confusione,
1120Una massa, un miscuglio d’ogni corpo
In guisa tal, che il generar le cose
Solamente consista in separarle
Dal comun Caos, ed accozzarle insieme;
E così l’ossa di minute, e piccole
1125Ossa si creino, e di minute e picciole
Viscere anco le viscere si formino:
Da più bricioli d’or l’oro si generi:
Cresca la terra di minute terre:
Di fochi il foco, d’acque l’acqua, e finge,
1130Ch’ogni altra cosa in guisa tal si faccia;
Nè concede tra ’l pieno il vuoto spazio,
Nè termin pone allo spezzar de’ corpi;
Onde a me par, quand’io vi penso, ch’egli
E nell’uno, e nell’altro erri ugualmente,
1135Come color, che poco avanti io dissi.
Aggiungi, ch’egli delle cose i semi
Troppo deboli fa, se pure i semi
Per natura fra lor sono uniformi;
Anzi son pur l’istesse cose, ed hanno
1140Egual travaglio, egual periglio, e nulla
Può frenargli giammai, nè proibirgli
Che non corrano a morte, e quale è d’essi,
Che mille, e mille colpi, urti, e percosse
A soffrir basti, e finalmente anch’egli
1145Non muoja, e si dissolva? Il foco, o l’acqua,
O l’aere? Qual di questi? II sangue, o l’ossa?
Nessun cred’io, mentre egualmente tutti
Sarian mortali, in quella guisa appunto,
Che l’altre cose manifeste al senso
1150Son mortali esse ancor; poichè perire
Con gli occhi stessi pur si veggon tutte
Da gualche violenza oppresse, e vinte.
Ma tu già sai, ch’annichilar, non puossi
Nulla, nè nulla mai crear dal nulla.
1155In oltre perchè il cibo accresce, e nutre
Il nostro corpo, è da saper, ch’abbiamo
E le vene, ed i nervi, il sangue, e l’ossa
Miste, e composte di straniere parti.
E se diranno esser mischiati i cibi
1160Di più sostanze, e corpicciuoli avere
D’ossa, di nervi, di vene, e di sangue,
D’uopo sarà, che il secco cibo, e il molle
Composto sia di forestiere cose;
Anzi null’altro sia, che un guazzabuglio
1165D’ossa, di sangue, di vene, e di nervi.
In oltre tutto ciò che in terra nasce,
S’egli quivi si trova, egli è pur d’uopo
Che sia la terra di stranieri corpi
Anch’ella un seminario: e con le stesse
1170Parole appunto, argomentar ne lice
D’ogni altra cosa; onde se il legno occulta
La cenere, il carbon la fiamma, e il fumo,
Di forestiere parti il legno è fatto.
Or qui parmi, che resti un solo scudo
1175Debole e mal sicuro, onde schermirsi
Anassagora tenta. Ei crede adunque,
Che sia mischiato in ogni cosa il tutto,
E dentro vi si celi; ma che quello
Un tal corpo apparisca, e non un altro,
1180In cui più misti sono, ed al di fuori
Più collocati, e nella prima fronte;
Il che pur nondimen lungi è dal vero:
Che converria, che le minute biade
Sovente ancor da duri sassi infrante
1185Desser segno di sangue, o d’altra cosa,
Che dentro al corpo ne si nutra; e l’erbe
Per la stessa ragione, e l’acque insipide
Stillar dovrian di bianco latte e dolce
Soavissime gocce, appunto come
1190Le mamme fan delle lanose pecore:
E della terra le spezzate zolle
Mostrarne erbe diverse, e frode, biade
Minutamente per la terra sparse,
Prima occulte a nostr’occhi, e poi palesi.
1195Sminuzzando le legna anco vedremmo
piccole particelle ivi celarsi,
E di fumo, e di cenere, e di foco;
Le quali cose tutte il senso istesso
Esser false n’accerta: onde a me lice
1200Dedur, che misto in ogni cosa il tutto
Esser non può; ma ben convien, che i semi
Comuni a molti corpi, in molti corpi
Sian mischiati, ed occulti in mille modi.
Ma sento un, che mi dice: In su gli alpestri
1205Monti spesso addivien, che l’alte piante
Fregan sì le vicine ultime cime
L’una con l’altra, a ciò sforzate, e spinte
Dal gagliardo soffiar d’Austro, e di Coro,
Che foco n’esce, onde s’alluma il bosco.
1210Or questo è ver; ma non per tanto innato
Non è l’ardor negli alberi; ma molti
Semi vi son di foco, i quai per quello
Violento fregar s’uniscon tosto,
Ed accendon le selve. Che se tanta
1215Fiamma nascosta entro alle piante fosse,
Non potrebbe giammai celarsi il foco,
Ma serpendo per tutto in un momento
Ogni selva arderebbe, ed ogni bosco.
Vedi tu dunque per te stesso omai
1220Quel, che poc’anzi io dissi. Importa molto
Come sian misti i primi corpi, e posti;
E quai moti fra lor diano, e ricevano;
E pon gli stessi variati alquanto
Far le legne, e le fiamme, appunto come
1225Pon gli Elementi variati alquanto
Formare ed arme, ed orme, e rame, e rome.
Al fin se ciò, ch’è manifesto a gli occhi,
Credi, che non si possa in altra guisa
Crear, che di materia a lui simile,
1230Perdi ’n tal modo i primi semi affatto;
Poich’è mestier, che tremoli e lascivi
Si sganascin di risa, e che di lagrime
Bagnino amaramente ambe le guancie.
Su dunque or odi, e viepiù chiaro intendi
1235Ciò che da dir mi resta, e ben conosco
Quanto sia malagevole ed oscuro;
Ma gran speme di gloria il cor percosso
M’ha già con sì pungente, e saldo sprone,
Ed insieme ha svegliato entro il mio petto
1240Un così dolce delle Muse amore,
Ch’io stimolato da furor divino
Più di nulla non temo; anzi sicuro
Passeggio delle nove alme Sorelle
I luoghi senza strade, e da nessuno
1245Ma più calcati: a me diletta, e giova
Coglier novelli fiori, onde ghirlanda
Pellegrina, ed illustre alcun m’intrecci,
Di cui fin qui non adornar le Muse
Le tempie mai d’alcun Poeta Tosco;
1250Pria perchè grandi, e gravi cose insegno,
E sieguo a liberar gli animi altrui
Dagli aspri ceppi, e da’ tenaci lacci
Della Religion; poi perchè canto
Di cose oscure in così chiari versi,
1255E di nettar Febeo tutte le spargo.
Nè quest’è come par, fuor di ragione;
Poichè qual, se fanciullo infermo langue,
Fisico esperto alla sua cura intento
Suol porgergl’in bevanda assenzio tetro,
1260Ma pria di biondo, e dolce mele asperge
L’orlo del nappo, acciò gustando poi
La semplicetta età resti delusa
Dalle mal caute labbia, e beva intanto
Dell’erba a lei salubre il succo amaro;
1265Nè si trovi ingannata, anzi più tosto
Sol per suo mezzo abbia ristoro, e vita;
Tal appunto or facc’io, perchè mi sembra,
Che le cose, ch’io parlo, a molti indotti
Potrian forse parere aspre, e malvage;
1270E so, che il cieco, e sciocco volgo aborre
Da mie ragioni. Io perciò volli, o Memmio,
Con soave eloquenza il tutto esporti,
E quasi asperso d’Apollineo mele
Te ’l porgo innanzi per veder, s’io posso
1275In tal guisa allertar l’animo tuo,
Mentre tu vedi in questi versi nostri
Quanto dipinta sia l’alma natura
Vaga, adorna, e gentil, leggiadra, e bella.
Ma perch’io già mostrai, che i primi corpi
1280Infrangibili sono, e sempre invitti
Volano eternamente; or su veggiamo,
Se la somma di tutti abbia prescritto
Termine, o no. E perchè il Vuoto ancora
O luogo, o spazio, ove si forma il tutto,
1285Parimente provammo; esaminiamo,
S’egli sia circoscritto, o pur si stenda
Profondissimamente in tratto immenso.
In tutto adunque in infinito è sparso
Per ogni banda; poich’aver dovrebbe
1290Qualche termine estremo, il qual non puote
Aver nulla giammai, se un’altra cosa
Non è fuora di lui, che lo circondi.
Ma perchè fuor del tutto esser non puote
Niente al certo, ei non ha dunque alcuno
1295Termine, o fine, o meta; e nulla importa
In qual parte tu sia: qualunque luogo,
Che tu possegga, d’ogni intorno lascia
Egualmente altro spazio in infinito.
In oltre, dato che finito ei fosse
1300Tutto quanto è lo spazio, io ti domando:
S’alcun giungesse all’ultimo confine,
E fuor vibrasse una saetta alata,
Che vuoi più tosto? ch’ella spinta innanzi
Dalla robusta man volando gisse
1305Là dove fosse indirizzata? o pensi,
Che qualche cosa le impedisse il moto?
Qui d’uopo è pur, che l’un, o l’altro accetti,
E lo creda per ver; ma l’un, e l’altro
Ti racchiude ogni scampo, anzi ti sforza
1310A confessar l’immensità del mondo;
Poichè o venga impedita, o le sia tolte
Il girne, ove fu spinta, o fuor sen voli,
Esser non può nell’ultimo confine
Dell’Universo; e nell’istessa guisa
1315Seguirò l’argomento incominciato;
E dovunque tu ponga il fine estremo;
Domanderotti ciò che finalmente
Alla freccia avverrà. Confessa dunque,
Che incircoscritto è il mondo, e che non hai
1320Da sì forti ragioni, onde schermirti.
In oltre ancor, se terminato fosse
D’ogn’intorno lo spazio, ove la somma
Si genera del tutto, i primi semi
Spinti dal proprio peso all’imo fondo
1325Già sarebber concorsi, e sotto il cielo
Nulla potria formarsi; anzi non fora
Più nè cielo, nè Sole, ove giacesse
Confusa in una massa ogni materia
Fin da tempo infinito in giù caduta.
1330Ma or non è concesso alcun riposo
A’ corpi de’ principj, perchè l’imo
Centro dell’Universo invan si cerca,
Ove concorrer tutti, ove la sede
Possan fermare; e con perpetuo moto
1335Si genera ogni cosa in ogni parte:
E per tempo infinito omai commossi
Della prima Materia i corpi eterni
Son tempre in pronto in questo spazio immenso.
Finalmente abbiam posto avanti a gli occhi,
1340Che l’un corpo dall’altro è circoscritto:
L’aer termina i colli, e l’aura i monti,
La terra il mare, il mar la terra, e nulla
Non è, che fuor dell’Universo estenda
I suoi proprj confini. È la natura
1345Del luogo adunque, e del profondo spazio
Tal, che i fiumi più rapidi, e più torbidi
Non potrebbon correndo eternamente
Giunger al fin giammai, nè far, che loro
Men da correr restasse. Or così grande
1350Copia di luogo han d’ogn’intorno i corpi,
Senza fin, senza meta, e senza termine.
Che poi la somma delle cose un fine
A se medesma apparecchiar non possa,
Ben provede Natura. Essa circonda
1355Sempre co ’l Vuoto il corpo, ed all’incontro
Co ’l corpo il Vuoto; e così rende immenso
L’un, e l’altro di lor: che se un di due
Fosse termin dell’altro, egli fuor d’esso
Troppo si stenderebbe, e non potria
1360Durar nell’Universo un sol momento
Nè la terra, nè il mar, nè i tempj lucidi
Delle stelle, del Sol, nè l’uman genere,
Nè degli Dei superni i santi corpi,
Conciossiacchè scacciati i primi semi
1365Dalla propria union, liberi, e sciolti
Correr dovrian per lo gran Vano a volo;
O piuttosto non mai sariansi uniti,
Nè generata alcuna cosa al mondo
Avrian; poichè scagliati in mille parti
1370Non avrebber potuto esser congiunti.
Che certo è ben, che i genitali corpi
Con sagace consiglio, e scaltramente
Non s’allogar per ordine; nè certo
Seppe ciascun di lor, che moti ei desse;
1375Ma perchè molti in molti modi e molti
Variati per tutto, e già percossi
Da colpi senza numero, ogni sorte
Di moto, e d’union provando, al fine
Giunsero ad accozzarsi in quella forma,
1380Che già la somma delle cose mostra,
E ch’ella ancor per molti lunghi secoli
Ha già serbato, e serba. Poichè tosto
Ch’ell’ebbe una sol volta i movimenti
Confacevoli a lei, potette oprare
1385Sì, che l’avido mar ritorni intero
Per l’onde, che da’ fiumi in copia grande
Vi concorrono ognora, e che la terra
Ristorata dal Sol rinovi i parti,
Fertile il suol d’ogni animal fiorisca,
1390E dell’etere in somma, ancor che labili,
Vivan l’auree fiammelle; il che per certo
Far non potrian, se la materia prima
Non sorgesse per tutto, e ristorasse
Ciò che nel mondo ad or ad or vien meno.
1395Poichè, qual senza pasto ogni animale
Disperde in varie parti il proprio corpo,
Tal appunto dovrian tutte le cose,
Se lor mancasse il consueto cibo
Della materia, dissiparsi anch’elle:
1400Nè colpo esterno vi sarebbe alcuno
Bastante a conservarle. I corpi in vero,
Che l’urtan d’ogn’intorno assai sovente,
Ponno in parte impedirle, infin che giunga
Materia, che supplisca a ciò, che manca;
1405Ma pur tal volta ripercossi indietro
Saltano, e insieme a’ primi semi danno
Luogo, e tempo alla fuga, ond’ognun d’essi
Sciolto da’ lacci suoi ratto sen vola.
Dunqu’è mestier, che d’ogn’intorno germini
1410Molta prima materia, anz’infinita,
Acciò restauri il tutto, e l’urti, e ’l cinga.
Or sopr’ogni altra cosa avverti, o Memmio,
Di non dar fede a quel, che dice alcuno;
Cioè che al centro della somma il tutto
1415D’andar si sforza, e che in tal guisa il mondo
Privo è di colpi esterni, e mai non ponno
Dissiparsi, e fuggirsi in altro luogo
I sommi corpi, e gl’imi, avendo tutti
Nativa propension di girne al centro;
1420Se credi pur, che qualche cosa possa
In se stessa fermarsi, e che quei pesi,
Ch’or son sotterra, di poggiare in alto
Tentino, e in ricader di novo in terra
Abbian posa, e quiete, appunto come
1425Veggiam far delle cose a i simolacri
Per entro alle chiar’onde, e negli specchi.
E nella stessa guisa anco di sotto
Si sforzan di provar, che gli animali
Vaghino, e che da terra in ver le parti
1430Del ciel più basse a ricader bastanti
Altrimente non sian, che i corpi nostri
Possan leggieri, e snelli a lor talento
Volarne all’etra, ed abitar le stelle.
Mentre alcuni di noi miriamo il Sole,
1435Altri miriam della trapunta Notte
I lucidi carbonchj, e le stagioni
Varie dell’anno, e i giorni lunghi, e brevi
Con moto alterno esser fra noi divisi
Dal gran Pianeta, che distingue l’ore.
1440Ma tutto questo abbia pur finto ad essi
Un varo error, poichè balordi, e ciechi
Per non dritto sentier s’incamminaro;
Che centro alcuno esser non puotę al certo,
Ove immenso è lo spazio; e se pur centro
1445Vi fosse, per tal causa non potrebbe
Ivi piuttosto alcuna cosa starsi,
Che in qualsivoglia region lontana.
Poichè ogni luogo, ed ogni vuoto spazio,
E per lo centro, e fuor del centro deve
1450Egualmente lasciar libero il passo
A peso eguale, ovunque il moto ei drizzi,
Nè l’intero Universo ha luogo alcuno,
Ove giungendo finalmente i corpi
Perdano il peso, e si ristian nel Vuoto;
1455Nè ciò, ch’è Vuoto, resistenza fare
Può lor giammai, nè raffrenare il corso
Ovunque la Natura gli trasporti.
Dunque le cose in guisa tale unite
Star non potranno a ciò sforzate, e spinte
1460Dal nativo desio di girne al centro.
In oltre ancora essi non fan, che tutte
Corrano al centro; ma la terra, e l’onde
Del mar, de’ fiumi, e delle fonti, e solo
Ciò ch’è composto di terreno corpo.
1465Ma pe ’l contrario poi voglion, che l’aria
Lungi sen voli, e similmente il foco;
E che per questo d’ogn’intorno in cielo
Scintillino le stelle, e il Sol fiammeggi,
Perchè fuggendo della terra il caldo
1470Al ciel sen poggi, e vi raccolga il foco;
Poichè pur della terra anco si pasce
Ogni cosa mortal, nè mai potrebbero
Gli alberi produr frutti, o fiori, o fronde,
Se appoco appoco la gran Madre il cibo
1475Lor non porgesse. Ma di sopra poi
Credon, che un ampio ciel circondi, e copre
Tutte le cose, acciò d’augelli in guisa
I recinti di fiamme in un baleno
Non fuggan via per lo gran vano a volo:
1480E che nel modo stesso ogni altra cosa
Si dissolva in un tratto, e del tonante
Cielo il tempio superno in giù ruini;
E che di sotto a’ piè ratto s’involi
Il nostro Globo ascosamente, e tutti
1485Fra precipizj in un confusi e misti
Della terra, e del cielo i proprj corpi
Dissolvansi in più parti, e corran tosto
Pe ’l vuoto immenso; onde in un sol momento
Di tante meraviglie altro non resti,
1490Che lo spazio deserto, e i ciechi semi.
Poichè in qualunque luogo i corpi restino
Privi di freno, in questo luogo appunto
Spalancata una porta avran le cose
Per gire a morte, ed ogni turba quindi
1495Della prima materia in fuga andranne.
Or se tu leggerai questa Operetta
Attentissimamente, e tutto quello
Ben capirai, ch’io vi ragiono dentro,
Una causa dall’altra a te fia nota
Nè cieca notte omai potrà impedirti
L’incominciata vìa, che ti conduce
Di natura a mirar gl’intimi arcani:
Sì le cose alle cose accenderanno
Lume, che mostri alla tua mente il vero.