A Vittorio Alfieri
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II
A VITTORIO ALFIERI
Macro per ira indarno
de’ cittadin tuoi lassi,
dall’ultim’alpc all’Arno
tu tramutavi i passi,
5novo tribun d’Italia
col suo gran fato in cor.
E d’ogni terra al varco
la musa ti seguia,
dietro recando l’arco,
10donde sonante uscia
fra i macerati popoli
il tuo divin furor.
Ma sulle tarde linfe
di quel tuo secol guasto
15molle beltá di ninfe,
lubriche nenie e fasto
tenean l’imperio, e il vindice
carme follia sembrò.
Miseri! e allor rapita
20fuor dell’Ausonia imbelle
quella indomabil vita,
che in te fremea, le stelle
d’un’altra plaga e inospite
lande di mar cercò.
25E, galoppando in dorso
de’ tuoi destrieri ardenti,
mentre al furor del corso
stridean divisi i venti,
e capovolta in turbine
30parea la terra e il ciel,
tu davi il varco all’ira
dei generosi spirti;
e al bieco voi la dira
musa parea seguirti,
35sparte agitando all’aere
le tetre chiome e il vel.
E qualche volta fiso
in due begli occhi altèri,
lene cadea dal viso
40l’ira de’ tuoi pensieri.
Ma pur, cedendo ai facili
sogni che invia l’amor,
del tuo disfatto nido
la dolorosa pietá
45ti ripungca d’un grido,
ti rivolea poeta.
E tu balzavi indocile
dal tuo guancial di fior;
e, stretto il ferreo stile,
50del secolo perverso
piagavi il sentir vile
coll’invincibil verso,
novo stridor di folgore
ai troppi schiavi e ai re.
55E il lampo e la minaccia
del genio tuo scolpisti
si degli Icili in faccia
che al ceffo degli Egisti;
e la percossa Italia
60guatò, tremando, a sé.
Aimè! le piaghe, ond’era
tutta il bel corpo immonda!
Dio! che fatai bufera,
Italia mia, ti sfronda!
65Ecco, d’estranei militi
fatta covil sei tu.
Ecco di guerra un campo
rese le tue contrade;
tu pur ti mesci al lampo
70delle mal giunte spade;
tu pur combatti, e un premio
chiedi alla tua virtú.
Libertá vuoi? venuta
t’è dal di fuor giammai?
75Ceppo e dolor si muta,
stolta! non altro, il sai;
dacché quell’alpe ai cupidi
il fatai varco apri.
Allora in cor ti scese
80del tuo poeta il canto.
Com’cran pie le offese
sentisti, e il furor santo.
Ma in te venian precipiti
del tuo giudicio i di.
85Ed ei frcmea de’ vani
suoi carmi e di tue fata,
sui continenti estrani
canizie inesorata!
sin clic una pia memoria
90qua lo ritrasse ancor.
Rivide i patrii fiumi,
udí de’suoi la voce;
e dagli stanchi lumi
del pellegrin feroce
95forse un’ardente lacrima
cadde, agonia del cor.
Del cor, che afflitto e lasso
d’ira, d’amor, di carmi,
ad un funereo sasso
100chiese aver pace, e l’armi
piú non udir del despota,
che al trono ormai pensò.
Cosi, superba e sola
piramide in deserto,
105giacque; e l’ausonia aiuola
c’ha il suo tribun coperto,
dell’infedel suo Cesare
sotto al destrier tuonò.
Pace, o sepolto! Frena
110l’odio all’orrenda pesta:
Dio quel destrier scatena;
Dio, quando vuol, lo arresta.
Ecco il cavallo in polvere...
E il cavalier dov’è?
115Pace, o sepolto! In nuove
sorti P Italia spera.
Prima alle prandi prove
surge la tua riviera.
Ella, o fulmineo spirito,
120sa d’esser patria a te.
E a noi, che il bello esempio
torrem dal suo gran fato,
a noi somiglia un tempio
la terra ove sei nato.
125Sappi che Italia al gemino
suo trono ha da tornar;
e, dall’avel tuo sacro
rizzando il capo un giorno,
pallido d’ira e macro
130ti guaterai d’intorno;
e, visti in arme i principi
custodir l’alpe e il mar,
lá tra la gente morta
ritornerai, narrando
135che Italia bella or porta
non fune rea ma brando,
non cencio vii ma porpora,
come da Dio si vuol.
Cosi l’acerba ruga
140spianata alfin ti sia.
Cosi cacciale in fuga
sulla celeste via,
auriga ardente, acceleri
le tue puledre il sol.
145Deh! il sogno eccelso e puro,
che, tra le inique risse
d’una fossa e d’un muro,
in cor di Dante visse,
quasi inconsunta lampada
150in un funèbre ostel,
s’avveri alfin. Poi, lieve,
come un’occidua stella,
passi il mio canto, e il breve
nome e l’etá. Fu bella
155la vita assai, se liberi
ci accoglierá l’avel.