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Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/267


Sonetti del 1835 257

UNA CAPASCITÀTA A CCICCIO.1

     De grazzia, séte voi quer figurino
Che mme vò ffuscilà2 ccór uno sputo?
Bbravo: je lo faremo conzaputo;3
E ss’accòmmidi intanto in cammerino.4

     Co’ mmé nnun rescitamo er brillantino,5
Perch’io, sor merda de villan futtuto,
Me sento in gamma,6 cór divin’ajjuto,
De favve er barbozzetto gridellino.7

     Pe’ vvostra addistruzzione,8 io, da pivetto,9
Ho mmesso lègge a cquanti rispettori10
Teneveno Atticciati e Mmerluzzetto.11

     Figuratev’a vvoi! s’io mo, ppe’ ccristo,
Nun ve manno addrittura dar drughiere
A crompàvve12 un carlìn de muso-pisto.13

29 agosto 1835.

  1. Un convincimento [una lezione] a dovere.
  2. Che mi vuole fucilare.
  3. Glielo faremo sapere: modo ironico.
  4. Intanto favorisca pure, si accomodi al suo piacere.
  5. Con me non recitiamo l’ardito.
  6. Mi sento in gamba.
  7. Di farvi il mento ecc.
  8. Per vostra istruzione.
  9. Da fanciullo.
  10. Ho dato legge a quanti ispettori.
  11. Atticciati e Merluzzi: due commissari di polizia sotto la invasione francese.
  12. A comperarvi.
  13. Di viso pesto.