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Del veltro allegorico di Dante/XXXIII.

XXXIII.

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XXXII. XXXIV.

[p. 59 modifica]XXXIII. Tornate al niente le tre pubbliche guerre contro Firenze, sedati per due riprese i tumulti di messer Corso e spenta ormai l’audacia di lui, trionfarono i neri: né altri che la cittá di Pisa in Toscana e la famiglia degli Ubaldini facevano piú schermo all’invilita fortuna dei ghibellini e dei bianchi. A quel tempo giá la cantica dell ’Inferno toccava il suo termine: per!a qual cosa ei sembra difficile che Dante avesse fino ad allora differito a compiangere la sorte del guelfo conte Ugolino della Gherardesca, cessato da si lunghi anni. E poiché Ruggieri arcivescovo era stato della famiglia di coloro che soli rimanevano a combattere i neri, egli è non piccola cagione di maraviglia lo scorgere l’Alighieri, quasi mancassero altrove maggiori esempi di piú atroci crudeltá, infierire per antico fatto contro la memoria di uno degli Ubaldini: ed invocare, se non dagli uomini almeno dagli elementi, resterminio di Pisa, unico rifugio in Toscana degli esuli fiorentini. Cresce la maraviglia nell’udire il poeta dolersi dei vicini di Pisa come di lenti a [p. 60 modifica] punirla (Inf. XXXIII, 81): essi che appunto per vendicare il conte Ugolino l’aveano guerreggiata per cinque anni; e Dante avea combattuto. I vicini di Pisa erano Lucca e Firenze: or che Dante, dopo la sentenza del fuoco, invocasse Lucca e Firenze per distruggere Pisa, il crederá solo colui che non visse in giorni di fazioni civili. Né Ruggieri, si come può credersi del tuttora vivente Alessandro di Romena, offese o i ghibellini o i bianchi o il poeta. Nondimeno egli è agevole il supporre che l’Alighieri dettò l’Ugolino, essendo giovine guelfo, e non appena quegli mori: che il canto fu di guerra per ispronare alla vendetta i lucchesi ed i fiorentini: che in prima favoleggiò l’Alighieri di aver visto in inferno, quantunque ancor vivo, Ruggieri: e che, divolgato il canto nelle bocche degli uomini e non potendosi abolire così bei versi, gl’inseri ei nella Commedia quindici anni dopo che i vicini aveano col trattato di Fucecchio compiuto la loro guerra lustrale. Ma di ciò sia che può: nuovi sdegni, non altrimenti che contro Alessandro di Romena e l’arcivescovo Ruggieri, accesero tosto il poeta contro Branca Doria di Genova inimico dei Fieschi (Inf. XXXIII, 137), e contro i genovesi tutti (Inf. XXXIII, 151-153). Cosi egli esercitava quella che credeva la giustizia poetica: fossero pure in seggio e possenti gli uomini che flagellava coi versi. Né guari andò che soggiogati ultimi gli Ubaldini, furono costretti di giurar fede a Firenze (novembre 1): in tal guisa mancò affatto in Toscana per alcun tempo il nome dei ghibellini e dei bianchi.