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Del veltro allegorico di Dante/XLVII.

XLVII.

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XLVI. XLVIII.

[p. 86 modifica]XLVII. I vantaggi dei ghibellini ridestarono la speranza dell’Alighieri, cui la vittoria del Faggiolano permise di venirne a Lucca, e fra dilettevoli riposi di scrivere i rimanenti dieci canti del Purgatorio. Nell’ultimo di essi ei fa motto del regnante Filippo il bello (Purg. XXXII, 151-160), al quale non prima del 29 novembre 1314 impreveduto caso tolse la vita: il Purgatorio adunque innanzi quel giorno era giá per esser compiuto. Potè nondimeno l’autore aggiungervi alcuni versi dove piú gli tornava l’acconcio: in tal numero voglionsi riporre quelli che cantò di Gentucca (Purg. XXIV, 37-48), e che sono di tanta bellezza da non disgradarne i piú belli di tutta la Divina Commedia. Nel sesto balzo del Purgatorio, in aprile 1300 Buonagiunta Urbiciani rimatore lucchese: — Gentucca, — fra sé stesso mormorava — Gentucca! — Richiesto dall’Alighieri: — Vi ha fanciulla — gli disse —, che ti fará piacer la mia patria, comeché questa uomo debba riprenderla. — Dall’aprile del 1300 fino alla cacciata dei bianchi nel 1301 le cure del priorato, e le civili tempeste di Firenze vietarono certamente al pubblico magistrato di sedere in Lucca ed in molle ozio a fianco di straniera fanciulla: dalla cacciata dei bianchi fino alla conquista del Faggiolano chi all’Alighieri fu piú inimica di Lucca? Ei quindi appo i lucchesi non vide Gentucca se non adulta, né prima di quella conquista di Uguccione della Faggiola, e dopo essersi pubblicato VInferno in cui si chiamava barattiere ogni lucchese. Gentucca disacerbò questi [p. 87 modifica] sdegni; ed il poeta, in grazia della donna e per lunga dimora piaciutosi della cittá, bramò di espiarli con quel gentile artificio della predizione di Buonagiunta. Che, se in mezzo alla caligine dell’antichitá può credersi alle congetture, le sopraviventi memorie di Gentucca, giá moglie di Bernardo Moria degli Antelminelli Allucinghi, farebbero sospettare che fu ella colei la quale tanto suil’Alighieri potè, allorché vittorioso Uguccione diè fine alla guerra lucchese.

Consapevole dei pensieri di lui, dovè in quel tempo credere l’Alighieri che il signor di Pisa e di Lucca fosse con pivi lieti auspici per menare ad effetto le giá inutili ambizioni di messer Corso, e per superar la forza dei guelfi rimbaldanziti dalla fortuna del re Roberto e dalla protezione di Filippo il bello. Ed ecco il poeta, come altrove si narrò, simboleggiar tosto Filippo istesso in forma di un gigante che trae serva una donna, cioè la sedia romana, in Avignone: ma un capitano era prossimo che avrebbe ucciso, cioè vinto e superato, cotal gigante in un con la donna (Purg. XXXIII, 40-57). Or questo era l’officio appunto del veltro, il quale parve a Benvenuto ed a tutti gli antichi scrittori essere la persona medesima de! capitano. Qui dunque, non altrimenti che nell’istoria, torna Uguccione a trionfar nel poema: qui al massimo fra i ghibellini, che avea ristorato Pisa e sottratto Lucca dal re Roberto il poeta canta inno di lodi. E male di queste vorrebbe alcuno far dono ad Arrigo VII giá spento quindici mesi prima di Filippo il bello di Francia, ovvero a Can della Scala che, vivo Filippo, non ebbe alcuna guerra col re Roberto: per le quali ragioni ei non potea dirsi poeticamente che avrebbero Cane od Arrigo ucciso un giorno il gigante. Ma giá in colui, che stava neH’atto di combatterlo con opporsi alla sua famiglia in Italia, i rivali affisavano gli sguardi; e giá Castruccio Castracani, veduto il Faggiolano poggiare si alto, levavasi a contemplarne le opere. Perciò guardingo parlando di chi avrebbe prostrato il gigante, l’Alighieri avvolgevasi fra nebbie allegoriche, né dissimilava che a bella posta egli avea voluto intenebrare i suoi detti, proponendo alle genti un enigma forte a [p. 88 modifica] svelarsi (Purg. XXXIII, 50). Anzi, alla foggia dell’Apocalisse, taceva Dante fino la parola di capitano, e non in altro modo profferivala che per numeri (ibid. 43). Ammaestrato dalle sciagure, bene l’Alighieri nascondeva con sottili precauzioni le sue speranze novelle, quando, verso la fine del 1314, terminava il suo Purgatorio. Né si ha notizia che avess’egli cangiato l’antico proponimento di dedicarlo a Moroello Malaspina, figlio di Franceschino; al quale Moroello potè agevolmente inviare nella prossima Lunigiatia una cantica, immortale testimonio del grato animo suo. Con questa seconda cantica cessano affatto le rimembranze istoriche di ogni avvenimento qualunque dopo il 1314, la terza del Paradiso essendo quella cui le affidò l’Alighieri: ciò che innanzi tratto era necessario di avvertire.