Del veltro allegorico di Dante/XIII.
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XIII. Levatosi Uguccione a così alto stato, cominciò a venir meno la prosperitá di Guido da Monte Feltro. Aveva questi sostenuto contro Genova e Lucca e Firenze una guerra di cinque anni; avea campato Pisa dall’esterminio. Stanchi alfine di tante stragi, alcuni dei combattenti anelarono alla pace che fu pattuita in Fucecchio di Val d’Arno il 12 luglio 1293 coi fiorentini e i lucchesi, e per la quale Guido Feltrio fu bandito dalla cittá. Genova stette salda in sugli odii, né Guelfo II e Lotto figli del conte Ugolino perdonarono a Pisa: quindi lo sventurato loro nipote Guelfuccio III di Arrigo videsi dannato a non riavere la libertá. L’arcivescovo Ruggieri, autor del suo danno, esercitava tranquillamente in Pisa il proprio ministero, e in quello sopravvisse tre anni. O dunque Ruggieri avea provato la sua innocenza intorno alla morte del conte; o per fermo non era stato deposto, come altri scrisse, da Niccolò IV né multato di perpetua prigione.
Ormai vecchio Guido di Monte Feltro si sottomise ai voleri di Roma, sedendo Celestino V che impensatamente dopo Niccolò IV fu sollevato al trono romano (1294). Di Celestino V ancor vivo prese il luogo Bonifazio VIII, pontefice di grande animo e di smodati pensieri: tanto implacabile nemico dei ghibellini quanto ebbe voce di averli amati da cardinale. Fu amico di Carlo II cui si credè tenuto del suo innalzamento, e di Filippo IV il bello al quale il padre Filippo III l’ardito avea lasciato il reame di Francia. Regnando Bonifazio, Uguccione della Faggiola si diè tutto in Arezzo a tenere in alto la parte imperiale (1295). Composti gli affari domestici, e col consentimento dei fratelli rivenduta la terra di Mansciano, ei non ebbe altri pensieri che di guerra (febbraio 18): nell’anno seguente (1296) recossi con Ribaldo a Forlì per portarvi aiuto a Scarpetta degli Ordelaffi capitan generale dei ghibellini di Romagna. Intanto i siciliani facevano re Federigo di Aragona (marzo 25); irato Bonifazio VIII pubblicò grandi scomuniche da una parte contro lui, dall’altra contro i due Faggiolani e Scarpetta degli Ordelaffi. Uniti questi tre fecero impeto contro i bolognesi, e li voltarono in fuga: tosto s’impadronirono d’Imola (aprile 1). Ed avendo Guido di Monte Feltro cercato rifugio in un chiostro dei frati minori di Ancona, Uguccione divenne il principe dei ghibellini (luglio 21): Cesena, Forlì, Faenza ed Imola novellamente conquistata lo scelsero capitan generale. Invano Bologna si affidò al coraggio di Ugolino conte di Pánico, e fratello di Capuana vedova di Nino il Brigata della Gherardesca; invano si fece prova di riprendere Imola: Uguccione infondeva il valore nel petto dei suoi e rese vani gli sforzi degli avversari. Avvenne in quel tempo che quella cittá dichiarò suo cittadino Matteo della Gherardesca, nipote del conte di Pánico e figlio di Nino il Brigata (novembre 1). Continuò intanto Uguccione a fortuneggiare in Romagna fino a che Alberto d’Austria, figlio di Rodolfo, non ebbe ucciso Adolfo di Nassovia nella battaglia di Vormazia e preso la corona imperiale (1298, luglio 2): ma Bonifazio VIII non consenti punto ad Alberto. Pur la guerra tacque alquanto in Romagna, e potè Uguccione rivedere la sua feltria contrada (dicembre 8): quivi egli concedè all’arbitrio d’amici comuni alcune controversie con la badia del Trivio per la custodia ch’egli e Fondazza e Ribaldo aveano tenuto del castello di Selvapiana (31): dopo ciò, Uguccione, salutato lor difensore dai solitari alle cure pubbliche avvicendò faccende piú miti.
Ma Guido di Monte Feltro nel suo umile asilo rifuggiva da ogni maniera di ambizione. Pur papa Bonifazio gl’invidiò quei riposi; ed avendo briga coi cardinali Iacopo e Piero dei Colonnesi, fu fama che chiedesse a Guido il consiglio, pel quale Dante punisce costui così acerbamente in inferno (Inf. XXVII). In quel punto non pensava Bonifazio che a riporre sotto Carlo II la perduta Sicilia, ed avea giá tratto Giacomo di Aragona contro Federigo il proprio fratello (1299). Questa era la sola guerra di grido in Italia negli ultimi giorni del secolo terzodecimo. E poiché la brevitá del mio instituto mi vietava di narrare alcune delle cose avvenute infíno a qui dalla morte di Federigo II, in poco io dirò quali nel finire del secolo fossero le condizioni delle contrade principali d’Italia.
La Toscana vivea tranquilla per la pace di Fucecchio. I genovesi, venuti al sommo delle glorie, aveano debellato i veneti. Giovanni marchese di Monferrato temeva innanzi tutto la possanza del ghibellino Matteo Visconti, nipote di Ottone arcivescovo e succedutogli nella signoria di Milano. Poiché Asti, Piacenza e le migliori cittá sì del Piemonte che della Lombardia seguitavano le parti di Matteo Visconti, Giovanni accontossi coi guelfi e col ferrarese Azzone VIII di Este, alla famiglia di cui si erano sottoposte Modena e Reggio. Questa famiglia nell’ottenere la cittá di Reggio vi avea ristabilito i possenti Roberti, ai quali apparteneva Guido di Castello, si noto per gli elogi di Dante (Purg. XVI, 125 e nel Convito). Brescia eleggeva in suo signore il suo vescovo per cinque anni: la casa di Corrado di Palazzo vi grandeggiava, né ultimo luogo vi avea Lantieri conte di Paratico. I signori di Correggio, e fra essi Giberto, lentamente al loro dominio assoggettavano Parma, coll’assistenza dei bolognesi: e sì gli uni che gli altri guardavano gelosi l’andamento e il far degli Estensi. Mantova sotto i Buonaccolsi, e Verona sotto Alberto della Scala vieppiú con Matteo Visconti stringevano i loro ghibellini legami. Fedele amicizia congiungea lo Scaligero al valoroso Guglielmo conte di Castelbarco, castello non lungi da Trento nella valle Lagarina; custodiva Guglielmo sull’Adige le strette delle Alpi: antica tradizione il credè poscia ospite dell’Alighieri. Nel rimanente della Marca trivigiana, Padova intendeva diligentemente a conservare l’acquistata Vicenza: in Trevigi dominava Gherardo da Camino, del quale si leggono magnifiche lodi nella Divina Commedia (Purg. XVI, 124 e nel Convito), la cittá di Feltre del pari che Brescia posava sotto il governo del proprio vescovo. Alla Romagna, turbata da piú violenti moti, davano legge in fra gli altri e gli Ordelaffi e i Polentani ed i Maiatesta, pressoché liberi da ogni soggezzione non meno dell’imperio che della Chiesa. Nulla di manco la stanchezza delle armi richiamò la quiete in Italia. Bologna e le cittá di Romagna pattuirono lega per cinque anni fra loro ed Alberto della Scala ed Azzone VIII di Este: Genova si piegò agli accordi con Venezia e coi pisani; ai quali, lagrimevole avvenimento, permise di ritenere privo di libertá Guelfuccio III della Gherardesca. Matteo Visconti, accorto ed operante signore, con opportuno trattato riusci a disarmare Giovanni di Monferrato ed Azzone VIII di Este cogli altri venuti a campo contro Milano. Così per tutta Italia, tranne il regno di Puglia e la Sicilia, lieta discorreva la pace, allorché apparve nuovo spettacolo e percosse le menti degli uomini.