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Del veltro allegorico di Dante/LIII.

LIII.

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LII. LIV.

[p. 101 modifica]LIII. Ma giá orrida guerra era scoppiata in quell’anno, ed avea rotto gli ordinamenti dell’ultima pace di Napoli. Signoreggiavano in Genova i Fieschi, ai quali, avvicendato l’esilio, aveano ceduto il luogo i Doria e gli Spinola. Matteo Visconti offerissi propizio ai fuorusciti, e congiunte le sue con le loro forze inviò Marco suo figlio con esercito possente ad assaltar la cittá. Implorato dai Fieschi Roberto navigò verso quella da Napoli, e vi giunse il 20 luglio 1318; Firenze non solo provide a largamente aiutarlo, ma di nuovo il gridò signore per [p. 102 modifica] altri cinque anni. Pisa, insolita cosa, restò tranquilla in principio per volere di Gaddo della Gherardesca, nell’etá del quale non fuvvi alcuno che piú di lui amasse la pace, o che ne custodisse i patti con maggior gelosia. Ben diversi erano in Lucca gli spiriti del guerriero Castruccio, che giá nelle perturbazioni di Genova scorgeva come un presagio della sua futura grandezza. Celebre fu la guerra genovese, paragonata dai contemporanei ai piú illustri fatti dell’antichitá, e combattuta per piú di un lustro con alto coraggio così dagli assediati che dagli oppugnatori. Ma giá nel primo autunno avevano le loro rabbie consumato il nerbo della lor possa. Bologna e i guelfi di Toscana e di Romagna non indugiarono di spedire al re in Genova gagliardi soccorsi: ed egli, temendo non dovessero Can della Scala ed Uguccione della Faggiola poter discendere per la Lunigiana in Liguria, ordinò che Francesco della Torre o Torriano gisse a Verona con promesse magnifiche per travolgere Io Scaligero dall’alleanza coi ghibellini. Francesco era di coloro, ai quali avevano i Visconti rapito la signoria di Milano; e però feroce inimico di Matteo, profferí a Can Grande in nome del re il dominio di tutto il paese fra Verona ed il Po, e l’autoritá di disporre del patriarcato di Aquileia. Intanto il nuovo pontefice Giovanni XXII, stando in Avignone, scagliava i suoi fulmini contro lo Scaligero e il Faggiolano, che in quel tempo erano andati a stringer di assedio la guelfa cittá di Trevigi. Sopravenuto Francesco Torriano, grave gelosia turbò l’animo del Visconti; e sembra che Uguccione medesimo avesse dubitato non poco. Imperciocché, intimatosi da Matteo un generale parlamento a Soncino, ed essendosi recati colá i principali fra i ghibellini, si alzò Uguccione a dimostrare con acconcio discorso che per essi non vi era salvezza, se tosto non avessero convenuto in un capo; tale, narra Ferreto da Vicenza, fu per opera del Faggiolano eletto Cane Scaligero. I piú lodarono l’astuto accorgimento di Matteo Visconti, che ricco di piú ampia signoria, e moderatore supremo dei ghibellini contro Genova e il re Roberto, per ritenere nella fede Can Grande, lasciava cadere sovr’esso lui gli onori di capitano. Ma non [p. 103 modifica] furono che semplici onori; né Cane compiacciossi gran fatto di Genova, né soprastette di tornare a Verona, donde nell’anno seguente passò a rincalzare Trevigi.

Continuavano intanto il Visconti e gli usciti a percuotere Genova orribilmente (1319): ma, sopragiunti da Napoli nuovi rinforzi, gli assedianti levarono il campo. Di che Roberto fece grandissima festa; e tosto con la sua famiglia sciolse le vele per andarne alla corte di Avignone appo il pontefice. Piú diligenti, e meglio forniti ritornarono i ghibellini; e beffandosi di Roberto ripresero con maggior furore l’assedio. Giovanni XXII avea lietamente ricevuto il re, cui fermo in pensiero stava il dominio di tutta Italia, e per piacere al quale fu spedito legato in Lombardia Bertrando Cardinal del Poggetto con ordine di guerreggiare innanzi ogni altro i Visconti.