Vent'anni dopo
Vent'anni dopo (Vingt Ans après), romanzo di Alexandre Dumas del 1845.
Albertina Palau (1996)
modificaIn una stanza del Palazzo del Cardinale a noi già noto, presso un tavolino ad angoli d'argento dorato e ingombro di fogli e libri, sedeva un uomo con la testa nascosta tra le mani.
Dietro a lui era un vasto caminetto fiammeggiante, i cui tizzoni accesi si sfacevano sopra alari dorati. La luce del fuoco si rifletteva sul dorso del magnifico vestito di quell'uomo pensieroso, che la luce di un candelabro illuminava dinanzi.
Albertina Palau (2001)
modificaIn una delle stanze del Palazzo del Cardinale, che noi già conosciamo, vicini ad una tavola con gli angoli d'argento dorato, piena di carte e di libri, era seduto un uomo con la testa appoggiata sulle mani. Proprio dietro di lui era un vasto camino, rosso dal fuoco ed i cui tizzoni cadevano sopra larghi alari dorati. La luce di quel focolare schiariva di dietro le magnifiche vesti di quel meditabondo, illuminato davanti ad un candelabro carico di lumi.
Citazioni
modifica- Avvicinandosi al posto militare della barriera dei Sergenti, la sentinella gridò: «Chi va là?». D'Artagnan rispose, e domandata al cardinale la parola d'ordine, si inoltrò. La parola d'ordine era Luigi e Rocroy. (cap. II; 1996, pp. 13-14)
- Ieri e oggi tutto era alla moda della Fronda: pani, cappelli, guanti, manicotti, ventagli... E poi, ascoltate...
«Un vento di Fronda
S'è alzato al mattino.
Io credo che soffi
contro il Mazarino.
Un vento di Fronda
S'è alzato al mattino.» (Guitaut: cap. II; 1996, p. 13-14) - E che disgrazia volevate che mi accadesse? Come dice un verso latino, che non mi rammento più o piuttosto che non seppi mai bene, "il fulmine non batte nelle valli", e io sono una valle, Rochefort mio, e delle più basse che ci siano. (d'Artagnan: cap. III; 1996, p. 25)
- «Orbene, eminenza, nella mia prigione si legge un proverbio scritto sul muro con la punta di un chiodo.»
«Che proverbio è?» domandò Mazarino.
«Eccolo, eminenza: "Tal padrone"...»
«Lo conosco: "... tal servo".»
«No, "... tal servitore": è un piccolo cambiamento che la gente devota di cui parlavo poc'anzi vi ha introdotto per sua particolare soddisfazione.»
«E che significa questo proverbio?»
«Significa che il signor di Richelieu seppe trovare servitori zelanti e a dozzine.» (cap. III; 1996, pp. 31-32) - «Oh» borbottò fra i denti, «è vero il proverbio che la fortuna vien dormendo?» (d'Artagnan: cap. V; 1996, p. 48)
- Si crede con facilità ciò che si brama; e nell'esercito, dai generali di divisione, che bramano la morte del generale in capo, sino ai soldati, che bramano quella dei caporali, tutti desiderano la morte di qualcuno. (cap. VI; 1996, p. 56)
- [...] quando si va di passo, a cavallo, in una giornata d'inverno, con un tempo grigio in mezzo a una campagna non variata, non c'è da far nulla di meglio di ciò che fa, come dice La Fontaine, una lepre nella sua tana: pensare. (cap. IX; 1996, p. 79)
- E domandava fra sé perché nel mondo vi sono persone che giungono a tutto quello che bramano, sia nell'ambizione, sia nell'amore, mentre altre, sia caso, o contrarietà della sorte, o impedimento posto in loro dalla natura, rimangono a mezza strada in tutte le loro speranze. (cap. IX; 1996, p. 80)
- E Aramis riprese nel tono più cavalleresco:
«Dimmi, caro Laboissière,
Se vestita come sono,
Non sto bene? Oh, non canzono!
Cavalcate, in fede mia,
Con perfetta leggiadria,
Meglio assai di tutti quanti
Siamo qui. Fra le alabarde
Delle guardie nelle squadre,
Alla guisa d'un cadetto
Ella appare nell'aspetto.» (cap. X; 1996, pp. 89-90) - [...] poi ho preso per cuoco l'ex cuciniere di Lafollone, ve ne ricordate?, l'antico amico del cardinale, quel ghiottone famoso, che dopo pranzo pregava, dicendo: "Dio mio, concedetemi la grazia di ben digerire quel che ho mangiato così bene!" (Aramis: cap. X; 1996, p. 92)
- Venite, se non sempre si può mangiare, si può sempre bere; è una delle massime del povero Athos: ne ho riconosciuto la solidità da quando mi annoio. (Porthos: cap. XIV; 1996, p. 124)
- Da Villers-Cotterêts egli scrisse al cardinale:
Eminenza, ne ho di già uno da offrirvi e quello vale per venti uomini. Io parto per Blois, perché il conte di La Fère abita nel castello di Bragelonne nelle vicinanze di quella città. (cap. XIV; 1996, p. 128) - Nulla c'è che sia contagioso più di una gran convinzione; influisce persino sugli increduli [...] (cap. XVIII; 1996, p. 160)
- [...] non è esistere, il vivere in prigione! (cap. XVIII; 1996, pp. 160-161)
- Infatti il signor di Beaufort non aveva ricevuto dal cielo il dono di buttar giù versi, e anche in prosa si esprimeva difficilmente. Per cui Blot, canzoniere dell'epoca, diceva di lui:
"Se combatte, brilla e tuona,
È un prodigio di valor;
Se per caso egli ragiona,
È un meschino parlator." (cap. XIX; 1996, p. 165) - Il signor di Beaufort fece innalzare una tomba con il seguente epitaffio:
Qui giace Pistache, uno dei cani più intelligenti che mai siano esistiti. (cap. XIX; 1996, p. 171) - [...] un'usanza di dodici o quindici anni diventa una seconda natura. (cap. XIX; 1996, p. 175)
- «Gli ordini?» chiese Grimaud.
«Eccoli. Non lasciar mai solo il prigioniero, levargli qualunque arnese pungente o tagliente, impedirgli di far cenno alla gente di fuori o di parlar troppo con i suoi guardiani.» (cap. XX; 1996, p. 176) - [...] in carcere non ci sono sentimenti intermedi; uomini e cose, tutto vi è amico o nemico: si ama o si odia qualche volta con ragione, ma anche per istinto. (cap. XX; 1996, p. 178)
- [...] il sonno è una divinità assai capricciosa, e proprio quando uno la invoca, si fa aspettare. (cap. XXI; 1996, p. 194)
- Aveva fatto dei sogni stravaganti: gli erano cresciute le ali allora, naturalmente, aveva tentato d'involarsi; sul principio le ali lo sostenevano benone, ma arrivato a una certa altezza, quel singolare appoggio gli era mancato tutto a un tratto; le ali si erano rotte e gli era sembrato di ruzzolare in abissi senza fondo. E si era destato con la fronte bagnata di sudore e tutto dolorante come se avesse fatto realmente una caduta aerea. (cap. XXI; 1996, p. 194)
- Allora si era riaddormentato per andar nuovamente errando in un dedalo di sogni uno più stolto dell'altro. Appena aveva chiuso gli occhi, la sua mente, intenta a una sola meta, ricominciava a tentare quella fuga, e allora era tutt'altro: scopriva un passaggio sotterraneo che doveva condurlo fuori di Vincennes; vi s'inoltrava, e Grimaud camminava innanzi a lui con una lanterna in mano; a poco a poco il passaggio diventava più stretto, e tuttavia il duca continuava ad andare avanti; poi il sotterraneo si faceva così angusto che egli tentava invano d'andare oltre; le muraglie si restringevano, e lo stringevano in mezzo: faceva sforzi inauditi per proseguire, e non poteva. Vedeva da lontano Grimaud con la lanterna che continuava a camminare; voleva chiamarlo perché lo aiutasse a togliersi da quella gola ove si sentiva soffocare, ma non gli riusciva di pronunciare una parola. Allora, dall'estremità opposta a quella da cui era venuto, udiva correre coloro che lo inseguivano: quei passi si avvicinavano, incessantemente, egli era scoperto, non gli rimaneva più speranza di scampo. Pareva che il muro fosse d'accordo con i suoi nemici, e lo incalzasse quanto più aveva bisogno di scappare. Finalmente udiva la voce di La Ramée, lo vedeva. La Ramée stendeva la mano, e gli posava questa mano sulla spalla dando in uno scroscio di risa. Ed egli era ripreso, condotto nella stanza bassa a volta dov'erano morti il maresciallo d'Ornano, Puylaurens e suo zio. Le loro tre tombe erano lì, ricolme, e una quarta fossa aperta aspettava un cadavere. (cap. XXI; 1996, pp. 194-195)
- «E quanti anni ha?» chiese il visconte di Bragelonne.
«Mio caro Raoul» replicò Athos, «sappiate una volta per sempre che questa è una domanda da non farsi mai; quando potete leggere sul viso di una donna la sua età, è inutile domandargliela, quando non potete, è indiscrezione.» (cap. XXII; 1996, p. 200) - [...] io considero l'ingratitudine non come difetto o delitto, ma come vizio, ciò che è ancora peggio. (Athos: cap. XXII; 1996, p. 205)
- C'è un proverbio popolare che dice che solo le montagne non s'incontrano; e i proverbi popolari sono talvolta incredibilmente giusti. (Athos; cap. XXII; 1996, p. 205)
- [...] un re non edifica, se non quando ha con sé o Dio o lo spirito di Dio. (Athos: cap. XXIV; 1996, p. 235)
- Raoul, sappiate sempre distinguere il re dalla regale sovranità; il re non è che un uomo, la sovranità è lo spirito di Dio. (Athos: cap. XXII; 1996, p. 205)
- Ma l'immaginazione ha il volo dell'angelo e del lampo: varca i mari dove noi rischiammo di naufragare, le tenebre in cui si perdettero le nostre illusioni, i pregiudizi in cui fu sommersa la nostra felicità. (cap. XXIV; 1996, p. 230)
- Non c'è faccia tanto espressiva quanto quella di un vero ghiottone che stia davanti a una lauta mensa [...] (cap. XXV; 1996, p. 242)
- Mai, lo giuro dinanzi a Dio che ci vede e ci ascolta nella solennità di questa notte, mai la mia spada toccherà le vostre, mai il mio occhio avrà per voi uno sguardo d'ira, mai il mio cuore un palpito d'odio. Noi vivemmo insieme, insieme odiammo, insieme amammo; spargemmo e confondemmo insieme il nostro sangue, e forse, aggiungerò ancora, fra noi c'è un legame più potente di quello dell'amicizia: cioè il patto del delitto poiché tutti e quattro abbiamo condannato, giudicato, giustiziato una creatura umana che non avevamo probabilmente diritto di togliere da questo mondo, per quanto, piuttosto che a questo mondo, sembrasse appartenere all'inferno. D'Artagnan, io vi ho sempre amato come un figlio; Porthos, per dieci anni dormimmo uno a fianco dell'altro; Aramis è vostro fratello come mio, giacché vi ha amati come io vi amo ancora, come vi amerò sempre. [...] E adesso aborritemi, se potete, ma io vi giuro che, nonostante il vostro odio, non avrò per voi che stima e amicizia… (Athos: cap. XXXI; 1996, p. 296)
- Io giuro [...] giuro che non ho più odio contro coloro che furono miei amici; giuro che provo rammarico, Porthos, di aver toccato la vostra spada; giuro, finalmente, che non solo la mia non sarà più rivolta al vostro petto, ma anche in fondo al mio pensiero più segreto non rimarrà in avvenire nemmeno l'apparenza di sentimenti ostili contro di voi. (Aramis: cap. XXXI; 1996, p. 296)
- Non ve ne andate, perché anch'io ho da fare un giuramento. Giuro che darei fino all'ultima goccia del mio sangue, fino all'ultimo brano della mia carne, per conservare la stima di un uomo come voi, Athos, e l'amicizia di un uomo come voi, Aramis. (d'Artagnan: cap. XXXI; 1996, p. 297)
- E io [...] non giuro niente, ma soffoco, perdio! Se dovessi battermi con voi, credo che mi lascerei infilare da parte a parte, giacché al mondo non ho amato che voi. (Porthos: cap. XXXI; 1996, p. 297)
- «Amici» riprese Athos, «giuriamo su questa croce. Giuriamo di essere uniti sempre e a qualunque costo, e possa questo giuramento vincolare non solo noi, ma anche i nostri discendenti. Approvate questo giuramento?»
«Sì» dissero tutti a una voce. (cap. XXXI; 1996, p. 298) - L'aspetto degli oggetti esteriori è un conduttore misterioso che corrisponde alle fibre della memoria, e talvolta va a risvegliarle nostro malgrado; una volta svegliato, quel filo, come quello di Arianna, ci conduce in un labirinto di pensieri dove uno si smarrisce inseguendo quell'ombra del passato che si chiama ricordo. (cap. XXXII; 1996, pp. 299-300)
- [...] un esercito nemico non è mai così prossimo, e in conseguenza così minaccioso, come quando è del tutto sparito. (cap. XXXVII; 1996, p. 340)
- La vigilia d'una battaglia si pensa a mille cose dimenticate sino a quel momento, e che ritornano in mente; gli indifferenti diventano amici, gli amici diventano fratelli. E non c'è bisogno di dire che, se in fondo al cuore si ha qualche sentimento più tenero, questo sentimento arriva naturalmente al più alto grado di esasperazione. (cap. XXXVII; 1996, p. 349)
- D'Artagnan dormiva ancora, e sognava che il cielo si copriva di grandi nuvole gialle, che dal quelle nuvole cadeva una pioggia d'oro, e che lui sporgeva il cappello sotto una grondaia. Porthos invece sognava che lo sportello della carrozza non fosse abbastanza largo per contenere le armi e gli stemmi che vi faceva dipingere. (cap. LIII; 1996, p. 489)
- [...] va bene, giacché volete così, si lascino le nostre ossa in questo grigio paese, dove fa sempre freddo, dove il bel tempo è nebbia, la nebbia pioggia, la pioggia diluvio; dove il sole somiglia alla luna, e la luna a una forma di cacio. (d'Artagnan sull'Inghilterra: cap. LXIII; 1996, p. 584)
- «Ah» disse ridendo, «la mannaia! Spauracchio ingegnosissimo e degno di coloro che non sanno che sia un gentiluomo! [...]» (Carlo I: cap. LXVIII; 1996, p. 630)
- Così morranno tutti quelli che dimenticano che un uomo in ceppi è sacro, che un re prigioniero è due volte rappresentante del Signore. (d'Artagnan: cap. LXVIII; 1996, p. 632)
- I giudizi politici sono quasi sempre vane formalità, poiché le stesse passioni che spingono all'accusa, fanno pur condannare. Tale è la terribile logica delle rivoluzioni. (cap. LXIX; 1996, p. 633)
- «Ecco il momento di abbandonare il mondo» disse il re a coloro che gli stavano intorno. «Signori, io vi lascio in mezzo alla tempesta, e vi precedo in quella patria che non conosce procelle: addio!» (cap. LXXI; 1996, p. 656)
- In politica non c'è altra idea stupenda che quella che porta i suoi frutti; ogni idea che fallisce è sbagliata e inefficace. (Cromwell: cap. LXXIII, 671)
- E la guida li precedeva cantarellando:
«Dalla gotta è tormentato
quel brav'uomo di Bouillon...» (cap. LXXXI; 1996, p. 748) - Athos prese la lettera inarcando le ciglia, ma l'idea che in essa si trattasse di d'Artagnan lo aiutò a superare il disgusto che provava a leggerla.
Ecco quel che c'era scritto:
Monsignore, io manderò stasera a vostra eminenza, per rinforzare la schiera del signor di Comminges, i dieci uomini che mi richiede. Sono buoni soldati, atti a tenere a dovere i due fieri avversari di cui vostra eminenza teme l'abilità e la risolutezza. (cap. LXXXII; 1996, p. 771) - Il signor di Richelieu era un gentiluomo eguale a noi per nascita e a noi superiore per condizione; poteva, come un re, toccare i più grandi di noi sulla testa, e, toccandoli, far vacillare quella testa sulle spalle. (Aramis: cap. LXXXIII; 1996, p. 779)
- [...] si ottiene tutto dalle donne e dalle porte prendendole con le buone! (d'Artagnan: cap. LXXXIX; 1996, p. 818)
- Vi sono momenti, perché in questo mondo non tutto è cattivo e non tutto è buono, vi sono momenti in cui nei cuori più aridi e freddi germoglia, irrigato dalle lacrime di una estrema commozione, un sentimento generoso, che il calcolo e l'orgoglio soffocano se un altro cuore non lo afferra sul nascere. (cap. XCII; 1996, p. 850)
- «E al suo ritorno lo farete passare da me; gli darò uno scudo contro l'amore.»
«Ohimè, oggi l'amore è come la guerra, e lo scudo è divenuto inutile.» (Madame de Chevreuse e Athos: cap. XCIII; 1996, pp. 855-856) - Si udivano correre quei sordi rumori, che, quando vanno rasentando le onde, danno indizio di tempesta, e quando partono dalla folla, presagiscono sommossa. (cap. XCIII; 1996, p. 858)
- Non si giunge alla meta di tutte le nostre brame senza che la meta, una volta toccata, non abbia un influsso deleterio sul sonno, almeno la prima notte. (cap. Conclusione; 1996, p. 864)
D'Artagnan stette un istante immobile e pensoso, poi, voltandosi, vide la bella Madeleine, che, inquieta per le nuove grandezze di lui, rimaneva sulla soglia senza muoversi.
«Madeleine» le disse il guascone, «datemi l'appartamento dei primo piano; sono costretto a fare un po' di figura, ora che sono capitano dei moschettieri; ma tenete sempre a mia disposizione la camera del quinto piano, perché non si sa mai quel che può accadere.»
Bibliografia
modifica- Alexandre Dumas, Vent'anni dopo, traduzione di Albertina Palau, Mondadori, 1996. ISBN 88-04-48801-8
- Alexandre Dumas, Vent'anni dopo, traduzione di Albertina Palau, Mondadori, 2001.
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