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Karl Vossler

filologo tedesco

Karl Vossler (1872 – 1949), filologo tedesco.

Karl Vossler nel 1926

Citazioni di Karl Vossler

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  • [Sul Canto notturno di un pastore errante dell'Asia] Si ricordi come Leopardi per un certo tempo abbia amato le falsificazioni filologiche e l'abbia scherzosamente praticate come dilettantismo artistico. Ma ora lo stadio dell'Inno a Nettuno è superato. La mistificazione è divenuta manifestazione del proprio io. Non pel desiderio di travestirsi, ma per conoscere e rappresentare se stesso e s'immedesima in quel pastore dell'Asia. Il sentimento e la coscienza che il più proprio del suo pensiero, la sua filosofia e la sua religione, sia divenuto del tutto estraneo all'Europa occidentale, che egli sia un anacronista o un dépaysé[1], un arcade emigrato, non viene invero espresso immediatamente, ma costituisce il fondamento della poesia. Perciò fa un effetto di così straniato ed intimo, così artistico e originario, così esotico e leopardiano, così privo di costume e primigenio, moderno e senza tempo.[2]

Letteratura italiana contemporanea

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  • Questa concezione formalistica della poesia come un mestiere artistico infinitamente difficile, e come tale da prendere molto sul serio, ha per il Carducci una grande seduzione anche perché a lui di rado è concesso di mettere in armonici versi un puro avvenimento personale, i propri dolori e le proprie gioje. Non che egli mancasse di calore e di sincerità di sentimento. La morte della madre, e specialmente la perdita dell'unico figlietto, gli toccarono profondamente il cuore. Ma egli era troppo virile ed anche troppo schivo per abbandonarsi a lamenti poetici, all'incirca come il piagnucoloso Pascoli. La poesiola Pianto antico, sulla morte del figlio, ci tocca così profondamente appunto perché è quasi l'unica lacrima nell'occhio di un uomo forte, che non è solito piangere [...]. (cap. II, p. 37)
  • Quale propugnatore di una società pagana, liberale, nemica della chiesa, lo Stecchetti si mise a lato del Carducci. Ma presto fu chiaro che la sua spada era una spatola d'arlecchino e che tutta la sua lotta letteraria-culturale derivava più dal gusto che aveva di far dispetto ai borghesi, prendere in giro i credenti e gli sciocchi, scandalizzare le persone religiose e potere infine prodursi in modo rumoroso, stuzzicante ed interessante. (cap. III, p. 51)
  • Mentre il romanticismo è agli ultimi aneliti, la concezione scientifico-naturalistica del mondo ha creato un'arte nuova, che in Italia suole designarsi col nome di verismo. Come i maggiori pensatori di questa scuola, i filosofi del positivismo, non erano italiani, ma tedeschi inglesi e francesi, così anche l'arte corrispondente si manifesta come imitazione più che altro, dei francesi, ed in ispecie di Zola. (cap. IV, p. 81)
  • [...] il programma del verismo, che richiedeva un'arte impersonale, fredda, scientifica, giovò più agli italiani meridionali, siciliani, abruzzesi, napoletani e romani, che non ai lombardi e ai piemontesi, agendo da salutare contravveleno sui temperamenti sensuali e fantastici pei quali il romanticismo era un pericolo. (cap. IV, p. 82)
  • Il primo moderno maestro della poesia dialettale romana fu un uomo morbosamente sensibile, quasi ipocondriaco, Giuseppe Gioachino Belli, che poetò le sue migliori cose tra il 1830 e il '40. In innumerevoli, magistralmente aguzzi e mordenti sonetti egli espresse il suo odio contro il dominio papale, il suo scetticismo e l'aspro disprezzo per gli uomini. E ciò fece non prendendo egli stesso la parola ma mettendo in bocca al popolino, che prediligeva, la sua tetra anima tormentata, il suo odio contro i grandi. Attraverso mille bocche del proletariato trasteverino ei ci ghigna e ci grida la sua opinione: ora parodisticamente contorta o comicamente sfigurata, ora vivificata e drammatizzata dal dialetto. (cap. IV, p. 91)
  • Questi sonetti [del Belli] hanno un aspetto ora obiettivo, di studio popolare, ora zampillante, sguajato, malizioso, cinico e mordente, effetto di uno stato d'animo puramente personale. Mentre le canzoni del Di Giacomo – per quanto esso abbia subito l'influsso del Belli – provengono da un cordiale consentimento con l'anima popolare e s'inalzano man mano a sempre più elevata fantasia e alla lirica soggettiva, la poesia del Belli si può dire che tenga la via contraria. I suoi motivi derivano da uno stato d'animo ostinatamente chiuso, ma quanto più si sviluppano nel linguaggio del popolo ignorante tanto più si allontanano dalla musicalità e si avvicinano ad una apparentemente banale ma in realtà spiritosissima prosa parlata, artisticamente elaborata in sonetti. Mentre la finezza di ciascun sonetto si materializza nel rozzo linguaggio del popolo, questo s'individualizza in figure plastiche. Dall'informe plebe emergono teste pulsanti e ragionanti, si sprigionano minacciosi, grandiose gesta, crudeli motteggi, pietosi lamenti. (cap. IV, pp. 92-93)
  • [Cesare Pascarella] Egli è un uomo meditabondo, chiuso, tormentato, rattristato da una crescente sordità, pieno di delicata sensività, disposto verso il mondo piuttosto con commiserazione che con ostilità. Ciò che in Belli era sarcasmo, in lui diventa pura comicità di situazione, oppure, secondo il caso, tragedia di situazione. Meno ricco di figure plastiche del Belli, meno svelto e meno vario nelle sue creazioni, egli è più profondo, più intimamente e spiritualmente commosso. (cap. IV, p. 93)
  • [Cesare Pascarella] Il dialetto ch'ei tratta con inaudita maestria gli permette, senza la minima contrarietà stilistica, di porre accanto ad ombre profonde, luci spiritose, ed attraverso la faceta comicità fare intravvedere i terrori della disperazione. (cap. IV, p. 93)
  • L'arte per il Croce è un'attività contemplativa senza alcun interesse pratico, una visione creativa della realtà quale individualità. Come in un sogno, per lo spirito artistico il mondo si trasforma in parole, in suoni, in colori, in linee e via dicendo. (cap. VI, pp. 146-147)
  • In nessun altro paese si pensa e si lavora tanto come in Italia sotto il libero cielo della pubblicità, in alcun luogo si pubblica così rapidamente, si discute così appassionatamente e si cambiano così presto i propri pensieri sotto l'influenza degli altri quando non si è indipendenti e si impone se si ha carattere. E il Croce è uno dei pensatori più pieni di carattere dell'odierna Italia. (cap. VI, p. 150)
  • Altra conquista dell'estetica del Croce è il superamento della concezione naturalistica dell'opera d'arte come di una cosa già bell'e fatta, compiuta secondo determinati principii o regole tecniche, come un prodotto o un manufatto pratico. Perciò i cosiddetti generi letterarii (epica, drammatica, romanzo ecc.) hanno per lui un valore soltanto quali semplici espedienti di classificazione, come costruzioni che servono per orientarsi; le quali peraltro ostacolano, piuttosto che favorire, la comprensione del valore estetico d'un'opera d'arte. La critica della tecnica artistica d'un poeta rimane relegata nella descrizione dell'esteriore, fintantoché essa non viene approfondita a critica dell'ispirazione del poeta e in essa risolta. (cap. VI, p. 152)
  • [...] l'estetica determina nei suoi tratti fondamentali tutto il sistema filosofico del Croce. Il Croce ha superato tanto rapidamente quanto energicamente il panestetismo degli esteti e dei futuristi, vale a dire la teoria che ogni conoscenza è intuitiva e poetica e che la vita sia un giuoco o un'opera d'arte, e con ogni mezzo continua a combattere questi pervertimenti. Egli è ben lontano dal voler sostituire il pensiero logico o l'azione morale con l'estetica. Al contrario, la conoscenza logica rappresenta per lui un grado superiore all'intuitiva, e l'agire un grado superiore al conoscere, che ne è il presupposto. (cap. VI, p. 153)
  1. Spaesato. Cfr. Protagonisti della civiltà letteraria nella critica, p. 613.
  2. Da Leopardi, traduzione di T. Gnoli, Ricciardi, Napoli, 1925, pp. 232-236. Citato in De Marchi e Palanza, Protagonisti della civiltà letteraria nella critica, Antologia della critica Letteraria dalle Origini ai nostri giorni, Casa Editrice Federico & Ardia, Napoli, 1974, p. 613.

Bibliografia

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