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Isabella Vincentini

poetessa, saggista e critica letteraria italiana

Isabella Vincentini (1954 – vivente), poetessa, saggista e critico letterario italiana.

Atene. Tra i muscoli dei Ciclopi

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Perché Atene tra i muscoli dei Ciclopi? I Ciclopi appartengono a un tempo situato prima della storia, quel tempo assoluto del mito che era il regno della forza. Quando l'arte non esisteva e non poteva perciò essere applicata alla forza affinché nascessero gli atleti. Prim'ancora dell'unione di forza e coraggio da cui sorsero gli eroi omerici. Prima del passaggio dalla forza alla virtù (l'areté) e per questo prima dei miti di Sparta e di Atene. Quando forza ed intelligenza non si erano ancora incontrate e pertanto prima degli dèi e della nascita di Atena, la dea della ragione. Quando c'erano soltanto la Terra e il Cielo uniti in un eterno amplesso: la realtà fisica da cui spuntarono le montagne incantate dell'Attica. Ancora oggi Atene è circondata dalle stesse scacchiere di montagne, gole profonde e pendii, piccole pianure e vallate, greppi, uliveti selvatici e limoni, il luccichio del mare, le rupi e le scogliere. (p. 13)

Citazioni

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  • C'è qualcosa di mostruoso all'origine della forza, ma senza quest'idea grandiosa di forza non ci sarebbe la nascita della bellezza e del valore, l'areté, né la storia di Atene. (p. 15)
  • Questo legame con la terra, con la forza, con la natura, la physis, è più antico della nascita di Atena. I Ciclopi sono la controparte di Atena: il lato vigoroso della civiltà muscolo-cerebrale dei Greci. (p. 16)
  • Tutto ciò che nella nostra letteratura è reminiscenza mitologica, in Grecia è modalità familiare del sentire. L'antico agone, la capacità di lottare dentro il mondo con l'anima e con il corpo, risponde a una concezione dell'esistenza che arriva fino a noi senza mutare paradigma. (p. 17)
  • L'Olimpo non è una città come la immaginavano i Romani. Non si ascende all'Olimpo lungo la Via Lattea, come ci racconta Ovidio. In Grecia la città degli dèi non ha, come a Roma, le porte aperte e gli atri a destra e a sinistra abitati dalla nobiltà celeste. Non vi sono luoghi in disparte per la plebe e sulla facciata ai lati i potenti Penati. L'Olimpo non è il Palatino del cielo, non è una replica del mondo urbano con i bei quartieri delle classi ricche e la sede di Iuppiter, dove si esercita il potere e la politica. L'Olimpo è un PAESAGGIO. (p. 22)
  • La lotta tra il cielo e la terra non è solo il mito olimpico della creazione. È una lotta che va oltre la supremazia del patriarcato sul matriarcato verificatasi in seguito alle invasioni elleniche. È l'eterna lotta tra il simbolo della luce spirituale e la forza tellurica di tutte le cose esistenti: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra con i suoi monti, il mare, i fiumi, gli alberi e le erbe. (p. 41)
  • Quando bere del vino sarà come bere il dio stesso allora sì, avremo scoperto cosa vuol dire essere greci. Ma abbiamo ancora la curiosità del turista che cerca la retsina nei ristoranti della Plaka. (p. 67)
  • Atene ci assomiglia, è l'archetipo di tutte le malattie del moderno: la piazza, il mercato, l'opinione pubblica, la persecuzione, l'ostracismo. (p. 75)
  • È una strana tristezza quella che si diffonde la sera sulle rovine di Atene. Una tristezza così lontana dalla disperazione esistenziale delle nostre città, che guarisce chiunque l'avvicini. Per scoprirlo dobbiamo lasciarci condurre per mano unicamente dai poeti. (p. 78)

Diario di bordo

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  • Un tempo fui fanciullo e fanciulla | e il demone che incrocia i destini | l'anima mi mutò in terra | e non pose nel cielo o la luna | sede all'ampiezza dei sogni | ma li condannò alla fuga | a cui non tien dietro il piacere | percosso da voglie repentine. (Al dio vagante, p. 13)
  • Fu l'inganno dei marinai a insinuare fessure | tra le nebbie degli occhi | rombanti onde vagabonde | brusio senza plaga | i pensieri non trovano letti | per risalire le foci | della sorgente suicida. (I mari, p. 16)
  • Empia d'incredulità | fuoricampo rinnegata | sgranai ogni misura del tuo rosario. (Riottoso esilio, p. 41)
  • Inverno d'arsura e di vento | vedi, salpano anime gemelle | a largo battaglie di navi | – no, non era il nostro farci coraggio – | risveglierà la terra il muschio di gennaio | la tua sete che è acqua | giunge come gelo nelle ossa | (la sorte del soldato è ai dadi) | spezzare il pane fu abitudine d'un gesto | il ponte che univa si scioglie nel fossato | pietre scavate da mani nodose | vedi, pari, oggi siamo pari. (Ottativo, p. 52)
  • Quello | che non mi hai detto | è che la guarigione è solo | olocausto al dolore | lasciami l'ultima malattia | dolce compagnia di sventura | lasciami l'insania che mitiga | lo spasmo di chi non volle aiuto | e ora cerca salvezza | non più a qualunque prezzo | ma | finché non arrivi qualcosa | a tenermi viva. (Quale prezzo, p. 62)

Lettere a un guaritore non ferito

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  • Il Guaritore: "è lei che è in anticipo, oppure si è ingannato sul luogo e l'ora dell'appuntamento. È inutile attendere in un posto dove l'altro non può arrivare". Il Sognatore: "e allora perché continua a confermarmi l'incontro? Perché esige che io resti fermo ad aspettare?" Il Guaritore: "Perché non sa, non sa, se potrà mai arrivare". (p. 13)
  • Il Guaritore: "Non sono gli altri a infliggerle il suo male. Si è creato da solo la sua sofferenza. Non spetta agli altri appagare le sue aspettative, esaudire i suoi desideri. Non è colpa degli altri se non assomigliano all'idea irreale che ha costruita. Non si ottiene sempre ciò che si vuole o intensamente si desidera. Alterare la realtà e combattere per modificarla è un'insensatezza lesivamente grandiosa e ribelle, è una farneticazione senza profitto, una temerarietà destinata a essere frustrata. La dipendenza emotiva ci mette alla mercé di forze esterne che non possiamo controllare. Appoggi i desideri sulle sue gambe e li faccia camminare da soli". (p. 18)
  • Il Sognatore: "La prego, mi indichi la cura. Fosse anche la più costosa, la più dolorosa... La morte è nera e allampanata e ha una maschera bianca sul volto. Il mio sogno ha un corpo caldo che può essere frizionato e scaldato. E io ho mani forti, rese più forti dal dolore. Sanguinano ma non allenterò la presa". (p. 23)
  • L'angelo ha il Suo volo raso terra e serenamente, con agio, si posa. I miei piedi affondano in sabbie mobili e il mio disperato frullare viene risucchiato dal demone della palude. Mi salvo solo se fingo d'essere un airone, ... ma per un poco, ...solo per un poco. (p. 43)
  • Nella vita niente è pronto ad andarsene, neppure i sogni, e quando se ne va, la fine diventa simile alla morte. No, non è vero ciò che dicono i maestri Zen. Non è vero che viene gettato via perché non esiste più il rimpianto. Ciò che viene gettato via è perso per sempre. Ma resta vero che non si può più fermare la freccia quando è partita e non si ha neanche il tempo di spostare il bersaglio. Questo non lo sanno solo i maestri Zen, ma anche i nostri antichi demoni o maestri occulti. (p. 84)

Varianti da un naufragio

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  • La matrice che ha generato il naufragio, attraverso giri viziosi ed infinite varianti, approda all'archetipo dell'acqua: al mare e all'infinito; alla fecondità e all'abbondanza; alla vita che rinnova e distrugge, placa la sete e il desiderio, minaccia, vince e dona; inghiotte e salva. (p. 34)
  • Sia come locuzione che in senso figurato, il naufragio apre il campo alla rottura e alla perdita, all'insuccesso e alla dispersione, alla distruzione e al fallimento. Fare un naufragio equivale ad affondare, a trovarsi vittima di un disastro avvenuto per aver urtato contro ghiacci e scogli o a causa di una secca nascosta, di una collisione, di una tempesta o di qualsiasi altro fattore estraneo alla volontà dell'uomo. (p. 36)
  • La poesia moderna ha mutato il timore del naufragio, la ricerca di una via di scampo, il ravvedersi che genera il ritorno, in una necessità positiva. Dolce diviene il naufragare perché il poeta sa che quando tutto è perduto si avrà un mutamento di destino: la sua trasformazione da nave in mare, da marinaio a poeta oppure da sofferenza ad assopimento, da ricerca inappagata ad oblio, da presente ad Infinito. Così la perdita della vecchia condizione diventa acquisto di un nuovo stato; il poeta aspetta e ricerca il nuovo ed in ogni caso lo preferisce a tutto ciò a cui egli ha già rinunciato. (p. 41)
  • Il viaggio è l'invariante da cui si diramano e dove confluiscono tutte le varianti e il naufragio ne "l'acqua metis", è il luogo dove sprofonda lo scriba, l'alfa e l'omega di una "corrente immaginosa". (p. 152)

Le ore e i giorni

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  • Per giorni e giorni ho vissuto sottoterra | finché il giudizio mi riempisse le spalle | prima di avere tutte le altre vite | è una sola che brilla in ogni sera | a che serve continuare | se non per l'eterna ragione della vita | camminare in avanti un po' e | un po' spavaldamente | pregando di sfuggire alla pazzia. (Ancora, p. 37)
  • Non venivano gli dèi | non parlavano i miti | e io ascoltavo | ascoltavo e aspettavo | trattenendo il soffrire. | Poi vennero, ma come | mulinelli di sabbia, che | fanno male negli occhi e | bruciano più del pianto. | E venne anche il vento | anemos, forte e pietoso che | congiunse la mia anima | oltre il mare, ai nostri dèi di allora. (Itanos, p. 75)

Bibliografia

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  • Isabella Vincentini, Atene. Tra i muscoli dei Ciclopi, Unicopli Edizioni, Milano, 2002.
  • Isabella Vincentini, Diario di bordo, I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme, 1998.
  • Isabella Vincentini, Le ore e i giorni, La Vita Felice, Milano, 2008.
  • Isabella Vincentini, Lettere a un guaritore non ferito, La Vita Felice, Milano, 2009.
  • Isabella Vincentini, Varianti da un naufragio. Il viaggio marino dai simbolisti ai post-ermetici, Mursia, Milano, 1994.

Altri progetti

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