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Giuseppe Pecchio

politico e storico italiano

Giuseppe Pecchio (1785 – 1835), politico e storico italiano.

Giuseppe Pecchio

Citazioni di Giuseppe Pecchio

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  • Si è per molti secoli creduto che gli uomini dovevano essere frenati colle sevizie e colla crudeltà. I pazzi erano caricati di catene; i collegi risuonavano di sferzate; il soldato perdeva il sentimento dell'onore o la vita sotto il bastone; i processati avevano ossa dislocate, infrante; i condannati erano confinati a marcire nelle bastiglie, ne' camerotti di S.Marco, o in consimili bolge di disperazione. Si trattava la nostra specie come un serraglio di fiere. Il paziente intanto o soccombeva, o s'inferociva. Gli spettatori abituandosi al pianto e agli urli de' loro simili si inferocivano a vicenda. Si conobbe alla fine che s'oltraggiava indarno la natura, e che la pena non doveva essere una vendetta, né il castigo un supplizio. Si conobbe che gli uomini si ammansavano colla dolcezza, si correggevano sotto un moderato rigore. Da questo ravvedimento nacque il sistema umano e provido con cui sono in oggi regolate le prigioni. La società si è prefissa non tanto di punire, come di emendare i colpevoli. Perciò non v'è titolo più adattato a questo fine come quello di Casa di correzione che porta la vasta prigione di Milano. (da Il Conciliatore, Tipografia di Vincenzo Ferrario, Milano, N.32, 20 dicembre 1818)

Osservazioni semiserie di un esule sull'Inghilterra

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  • Perché gl'Inglesi non sono esperti ballerini? Perché non si esercitano: le case sono tanto piccole e deboli che se uno spiccasse una capriola al terzo piano, arrischierebbe di sprofondare come una bomba sino in cucina che è posta sotto terra[1]. Perché gl'Inglesi gestiscono[2] così poco e hanno quasi sempre le braccia incollate al corpo? Per la stessa ragione, io credo: le cameruccie sono tanto piccole che non vi si può quasi gestire senza rompere qualche oggetto, od incomodare qualche persona. (p. 25)
  • Così l'uomo va in tutti i secoli e in tutti i tempi cercando antidoti contro il dispiacere della morte. L'Epicureo non ammetteva risponsabilità d'azioni oltre la tomba. Lo stoico diceva che lo scopo della vita è la morte, e che si deve vivere per imparare a morire. Il Pittagorico si consolava coll'idea di rinascere; e i metodisti non contenti di questi sistemi filosofici hanno trovato una via più facile per salire in paradiso. (p. 280)
  • L'arcivescovo di Cantorbury in un parosismo di tolleranza disse che anche un unitario[3] poteva essere un onest'uomo!! Per lo contrario gli Unitarii tranquilli, indifferenti, ben educati, tolleranti con tutti i credo inglesi, che oramai sono tanti che non si possono più contare, professano l'opinione, che tutte le sette si salveranno non solo, ma che dopo una certa espiazione, tutti gli uomini, senza eccezione alcuna, gioiranno un giorno delle sedi beate. Appoggiano questa opinione alle parole stesse di Gesù Cristo[4]. Questa credenza (quand'anche mal fondata) così giovevole a rendere gli uomini tolleranti, e socievoli gli uni verso degli altri contribuisce in fatti a rendere gli Unitarii benefici, e d'un'indole mite. (pp. 285-286)
  • L'astio della chiesa anglicana (ch'è la chiesa trionfante in Inghilterra) ed anche di molte altre sette dissenzienti da questa chiesa contro gli Unitarii è poco caritatevole, è irragionevole, ma è naturale. È vero che gli Unitarii non attaccano mai i loro avversarii, e si limitano alla difesa (moderazione, e ancor più spesso tattica dei deboli), ma nella pretesa loro dimostrazione che Gesù Cristo fosse bensì l'agente rivestito di una missione divina, ma non di una divina natura, è implicita l'accusa d'idolatri verso quelli che adorano un uomo che secondo loro non è Dio. (p. 287)
  • Il clero anglicano è alleato della corona e va predicando di tempo in tempo la dottrina dell'obbedienza passiva, quella del diritto divino (che il re stesso d'Inghilterra non pretende), come il clero fece nel regno degli Stuardi, e la sua adulazione verso il re e il ministero va talvolta all'estremo. Laddove i ministri unitarii sono fautori di un governo liberale misto di re, lordi[5] e comuni, e senz'aspirare alla repubblica, vogliono tutta la massima libertà ch'è compatibile coll'ordine e colla dignità del governo. Tutti i membri unitarii che sono nel parlamento parlano ed agiscono in questo senso. (p. 297)
  • I quaccheri chiamano la loro setta – La Società degli amici – Non avrei fatto uso del nome di quacchero, ch'è in Inghilterra un termine di poco rispetto, se non fosse il nome sotto cui questi settarj sono conosciuti in Italia. (p. 319, nota 1)

Citazioni su Giuseppe Pecchio

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  • Nelle Osservazioni semiserie di un esule in Inghilterra (1827), dove spira un'aura tra barettiana e liberaleggiante (per interderci, alla Constant del Commentaire al Filangeri), mi sono imbattuto in una frasetta incantevole. Il buon Pecchio descrive un suo innocente tête-à-tête con una bella fanciulla, e nota: «Passammo vicino a un antico campo romano. Si vedono ancora i rialzi di terra dentro cui que' conquistatori del mondo chiudevano le loro legioni. Ella mi fece da Cicerone, e per vero eccesso di cortesia mi parlava de' romani quasi fossero gli antenati degli italiani». Poffardelmondo! Uno dei buoni precursori del nostro Risorgimento, uno di coloro che lavoravano a una Italia ordinata, rispettata e civile, pigliava così sottogamba i romani! O per meglio dire, non gli passava pel capo di rivendicarli come genitori, per svillaneggiare il paese che l'ospitava; né credeva corresse pei suoi lombi sangue quirite, come tanti coglioni ammaestrati ognidì si sentono. Ho già raccolto qualche altro centro dell'antiromanità del Risorgimento, ma questo mi pare curioso. (Arrigo Cajumi)
  1. Non è un iperbole mia. Ben sovente fra le condizioni d'affitto delle case in Londra v'è quella di non ballare. [N.d.A.]
  2. Gesticolano.
  3. Nel testo "unitrario".
  4. Essi non credono neppure nel peccato originale. Non credono quindi che Gesù Cristo sia morto per la redenzione del genere umano, ma solo pel bene del genere umano, non ammettendo la trasmissione del peccato originale nei discendenti di Adamo. [N.d.A.]
  5. Lords, pari d'Inghilterra.

Bibliografia

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