Tanto gentile e tanto onesta pare
Tanto gentile e tanto onesta pare è un sonetto di Dante Alighieri contenuto nel XXVI capitolo della Vita Nova, uno dei più chiari esempi dello stile della loda e della scuola stilnovista[1].
Tanto gentile e tanto onesta pare | |
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Autore | Dante Alighieri |
1ª ed. originale | XIII secolo |
Genere | sonetto |
Lingua originale | italiano |
Testo e parafrasi
modifica«Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: <<Sospira!>>.»
«Tanto nobile d'animo e tanto piena di decoro è[2]
la donna mia, quando rivolge ad altri il saluto,
che ogni lingua diviene, tremando, muta,
e gli occhi non hanno il coraggio di guardarla.
Ella così va, sentendosi lodare,
benevola e umile nell'atteggiarsi,
e sembra che sia una creatura discesa
dal cielo sulla terra per mostrare un miracolo.
Si dimostra così affascinante a chi la guarda
che trasmette, tramite gli occhi, una dolcezza al cuore,
tale che non la può capire chi non la prova;
e sembra che dal suo volto esca
uno spirito dolce ricolmo d'amore
che va dicendo all'anima: Sospira.»
Analisi
modificaContenutistica
modificaLo "Stilo della loda"
modificaIl sonetto è densissimo di artifatti e pensieri propri dello stilnovismo, in 14 versi. Infatti, l'intero componimento è latore, in primo luogo, dell'elogio di Beatrice (non a caso il sonetto, posto nel cuore della Vita Nuova, costituisce il culmine dello stilo della loda, assieme al sonetto Vede perfettamente onne salute), grazie poi alla quale «erano onorate e laudate molte [altre donne]»[3]. Costei, grazie al saluto, dispensa la grazia salvifica, operando la redenzione e donando beatitudine agli uomini[1][4].
Non vi è alcuna fisicità nel sonetto, nessuna descrizione di Beatrice, vista e percepita da Dante sotto una luce puramente angelica: si allude, al massimo, a labbia, latinismo[5] che Gianfranco Contini preferisce tradurre con "fisionomia"[6] anziché con "volto"[5], in quanto la considera una «traduzione meno imprecisa»[6]. Beatrice rappresenta quasi una emanazione di Dio[7] (figura Christi), attraverso uno spirito soave che induce chiunque a sospirare al passaggio della gentilissima Beatrice.
La terminologia
modificaLo stilo della loda si avvale di una terminologia specifica, su cui si fonda l'intero impianto contenutistico del prosimetro dantesco:
- Gentile e onesta (v. 1). I due attributi legati alla figura femminile hanno un significato diverso rispetto a quello attuale. La gentilezza, dagli echi provenzaleggianti[8], è il simbolo più elevato della nobiltà d'animo, status dei "fedeli d'amore" che si concretizza nell'ascesi spirituale e qualità imprescindibile per la poetica stilnovistica. Onesta, termine tratto dall'etimologia latina, bisogna intenderla come «piena di decoro, di dignitosa bellezza», denotando pertanto una compostezza di modi ed atteggiamenti che allude esplicitamente alla virtù salvita femminile.[1] Sostanzialmente, i due termini sono sinonimi[9], andando a comporre una dittologia sinonimica.
- Pare (v. 1). È «quasi la chiave dell'intero componimento»[5], in quanto è l'espressione dell'emozione soggettiva di chi la osserva[1]: il pare dantesco, pertanto, non denota un'impressione fugace, bensì indica che Beatrice manifesta espressamente le proprie virtù a chiunque la miri.[1]
- Donna mia (v. 2), rimando terminologico della lirica cortese[10], ove "donna" deriva dal latino domina[1], determinando un soggiogamento del corteggiatore nei confronti dell'amata, in un vincolo che rimanda ai legami feudali[10].
- Saluta (v. 2), guarda sopra.
- vv. 3-4: il tremore della lingua e gli occhi intimoriti dalla sua presenza sovrannaturale sono topoi cavalcantiani (il sonetto Chi è questa che ven che fa tremare, per l'esattezza[1]), ripresi poi nella prima terzina. Gli occhi, in quest'ultima, sono il canale attraverso cui l'azione celeste della donna angelo suscita la dolcezza al core[1].
- laudare (v. 5): spia linguistica dello stilo della loda.
- vestuta (v. 6): esempio di sicilianismo, incluso nella poesia in ragione del prestigio del cenacolo di poeti riunito attorno alla corte di Federico II di Svevia.
- vv. 7-8: il distico indica la missione della donna angelo.
- Piacente (v. 9), termine anche questo scevro del suo possibile significato (l'occitanico plazer), in quanto il termine assume il valore di bellezza, «attributo oggettivo in quanto [la donna] si palesa, 'fornita di bellezza'...»[11].
- Spirito...va dicendo: Sospira (vv. 13-14). Dante rievoca la teoria cavalcantiana degli «spiriti vitali», secondo la quale gli organi del corpo sono animati da determinati principi vitali che, nell'economia della Vita Nova, svolgono principalmente la funzione di "preavvertire" il poeta dell'arrivo di Beatrice[12].
Stilistica e linguistica
modificaLa dimensione contemplativa è costruita dal poeta attraverso le pause e gli accenti ritmici ben calibrati, che scandiscono il tempo di questa scena rarefatta. L'andamento è dolce, chiaro e perciò non difficile da comprendere[13], ricca di infiniti, participi e gerundi. Il tutto è facilitato anche dalla posizione delle rime, ottenute attraverso l'allineamento delle desinenze dei termini[14]. Come già prima accennato, v'è la presenza della dittologia sinonimica tanto gentile e tanto onesta, la quale a sua volta racchiude l'anafora tanto, volta a sublimare le qualità di Beatrice. Le parole chiave (pare al verso 1; saluta al verso 2; laudare al verso 5) sono tutte poste in "posizione forte", cioè poste alla fine del verso per dar maggior rilievo. A livello lessicale, troviamo latinismi (onesta, labbia) e sicilianismi (vestuta). Dal punto di vista linguistico, infine, abbiamo un esempio della legge «Tobler-Mussafia»: il Mostrasi (v. 9) presenta il riflessivo si in posizione clitica, cioè dopo il verbo[8][15].
Note
modifica- ^ a b c d e f g h R.Jesurum.
- ^ Il verbo pare si può tradurre anche con sembrare in quanto esprime lo sforzo metaforico di Dante di paragonare, appunto, l'eccellenza di Beatrice secondo la sua visione personale. Pertanto, il verbo qui utilizzato non ha valore dubitativo, quanto comparativo e contemplativo. Ferroni, p. 105:
«Già nel primo verso, inoltre, si affaccia il verbo parere, quasi la chiave dell'intero componimento, segnalando come il punto di vista sia quello del soggetto della contemplazione, e non vi sia dunque nessuna descrizione "oggettiva" di Beatrice.»
- ^ Vita Nova XXVI, 8
- ^ Non a caso, Beatrice deriva dal nomen agens latino «Beatrix», cioè colei che dispensa la beatitudine (il suffisso -trix è la spia della funzione verbale sottostante il nome).
- ^ a b c Ferroni, p. 105.
- ^ a b Contini, p. 22.
- ^ Contini, pp. 28-29
«Il problema espressivo di Dante non è affatto quello di rappresentare uno spettacolo, bensì di enunciare, quasi teoricamente, un'incarnazione di cose celesti e di descriver l'aspetto necessario sullo spettatore.»
- ^ a b Contini, p. 23.
- ^ Contini, p. 23
«Gentile è 'nobile', termine insomma tecnico del linguaggio cortese; onesta, naturalmente latinismo, è un suo sinonimo, nel senso però del decoro esterno....»
- ^ a b Contini, p. 24
«Ma è opportuno segnare che donna ha esclusivamente il suo significato primitivo di 'signora (del cuore)'»
- ^ Contini, p. 25.
- ^ Dante e gli studi.
- ^ Dante stesso, nel commento al sonetto, ne sottolinea l'andamento chiaro e la facile comprensione: «Questo sonetto è sì piano ad intendere, per quello che narrato è dinanzi, che non abbisogna d'alcuna divisione» (Vita Nova XXVI, 8).
- ^ Ferroni, p. 104.
- ^ Brucale.
Bibliografia
modifica- Dante Alighieri, Vita Nova, a cura di Guglielmo Gorni, Torino, Einaudi, 1996, ISBN 88-06-13225-3.
- Luisa Brucale, legge Tobler-Mussafia, in Enciclopedia dell'Italiano, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 2010, ISBN 978-88-12-00048-7. URL consultato il 30 maggio 2015.
- Gianfranco Contini, Un'idea di Dante, collana Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, Einaudi editore, 2002 [1970], ISBN 88-06-44636-3.
- Giulio Ferroni, Dante e il nuovo mondo comunale (1300-1380), in Storia della letteratura italiana, vol. 2, Milano, Mondadori, 2006, SBN IT\ICCU\IEI\0250845.
Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikisource contiene il testo completo di o su Tanto gentile e tanto onesta pare
Collegamenti esterni
modifica- Dante e gli studi, su letteraturaitaliana.net, Biblioteca della letteratura italiana. URL consultato il 30 maggio 2015.