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Pin Ups

album di David Bowie del 1973

Pin Ups è il settimo album in studio dell'artista inglese David Bowie, pubblicato nel 1973 dalla RCA Records e ristampato su compact disc per la prima volta nel 1984.

Pin Ups
album di cover
ArtistaDavid Bowie
Pubblicazione19 ottobre 1973
Durata33:42
Dischi1
Tracce12
GenereGlam rock
Pop rock
EtichettaRCA Records
ProduttoreKen Scott, David Bowie
RegistrazioneChâteau d'Hérouville, Francia, luglio-agosto 1973
FormatiLP, MC, CD
Certificazioni
Dischi d'oroRegno Unito (bandiera) Regno Unito[1]
(vendite: 100 000+)
David Bowie - cronologia
Album precedente
(1973)
Album successivo
(1974)
Singoli
  1. Sorrow
    Pubblicato: 28 settembre 1973
Recensioni professionali
RecensioneGiudizio
Ondarock[2]
AllMusic[3]
Piero Scaruffi[4]
Rolling Stone[5]
Sputnikmusic[6]
Robert Christgau[7]B-

Composto interamente da cover del periodo 1964-1967, l'album rappresentò uno dei maggiori successi commerciali di Bowie. Nel 1973 gli assicurò peraltro lo status di artista con le migliori vendite nel Regno Unito. Inoltre nel mese di novembre, l'artista stabili' il primato di 6 album nella Top 40 britannica: ricevette il disco d'oro infatti per Ziggy Stardust, Aladdin Sane, le riedizioni di Space Oddity, The Man Who Sold the World e Hunky Dory, e appunto per Pin Ups.[8]

«Sono tutti i brani che hanno significato davvero molto per me... Sono tutte le band che andavo a sentire al Marquee tra il 1964 e il 1967... Era la mia Londra di quel tempo.»

Poche settimane prima che cominciassero le registrazioni anche Bryan Ferry aveva iniziato a lavorare a un album di cover, intitolato These Foolish Things, che sarebbe uscito il 5 ottobre. Secondo quanto riportato in Bowie: Loving the Alien di Christopher Sandford, quando scoprì che Bowie stava facendo altrettanto chiese alla Island Records di presentare un'ingiunzione contro la RCA per impedire che Pin Ups venisse pubblicato per primo.[10] Nella biografia Stardust: The David Bowie Story, Henry Edwards sostiene che Bowie disse a un amico che voleva "avere un vantaggio su Ferry", dopo aver appreso del suo album,[10] mentre in Strange Fascination: David Bowie, the Definitive Story di David Buckley, la reazione dell'ex cantante dei Roxy Music viene descritta solo leggermente "apprensiva" e a quanto pare Bowie per primo gli telefonò per risolvere eventuali problemi.[10]

In origine l'idea di Bowie sarebbe stata quella di disseminare tra le tracce un verso alla volta di una nuova versione di The London Boys, uscita come lato B nel 1966 che, come dichiarò alla rivista Rock, «parla di un ragazzo che arriva a Londra, si impasticca e va fuori di testa, roba del genere».[11] Il progetto fu però abbandonato.

L'album venne concepito quasi come una pausa che permettesse a David di ricaricare le proprie batterie creative e forse, secondo quanto disse il presidente di MainMan Tony Zanetta, anche come manovra di stallo mentre la compagnia di management risolveva una disputa sui diritti d'autore con la Chrysalis Records.[11]

In ogni caso si trattò di uno sguardo sul passato, che chiuse un capitolo artistico e decretò definitivamente la morte di Ziggy Stardust, come ha dichiarato lo stesso Bowie: «Pin Ups è stato davvero il mio modo di scrollarmi di dosso Ziggy completamente, pur mantenendo un po' di eccitazione nella musica. Era davvero un modo di rimanere a galla, ma ha finito per essere uno dei miei album preferiti».[9]

Registrazione

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Lo Chateau d'Hérouville in una vecchia cartolina.

Le sessioni cominciarono il 10 luglio 1973 nello studio George Sand ricavato nelle scuderie dello Château d'Hérouville, vicino a Parigi, «un bel posto per registrare un album» come lo definì Bowie, «caldo, sole estivo, un castello incantevole e un fantastico studio di registrazione a sedici tracce».[9] Inaugurato di recente, lo Chateau era stato raccomandato a David da Marc Bolan, che con i T. Rex vi aveva appena registrato The Slider, e le registrazioni andarono avanti fino ai primi di agosto, intervallate da una breve vacanza di David a Roma insieme alla famiglia ed alcuni amici.[9]

Anche se dopo Ziggy Stardust e Aladdin Sane l'intenzione di Bowie era quella di mantenere uniti gli Spiders from Mars in vista del nuovo disco, il fatto di non aver avvisato in anticipo Trevor Bolder e Mick Woodmansey del "pensionamento" di Ziggy Stardust portò rapidamente ad una frattura.[11] Il pianista Mike Garson ricevette una telefonata dagli uffici di MainMan il mattino del matrimonio di Woodmansey, al quale presiedeva come membro della Chiesa di Scientology, con la quale gli venne chiesto di informare lo sposo che per il nuovo disco i suoi servizi non erano più richiesti.[11] «Woody era devastato», ricordò Garson nel 1986, «questa era la sua vita e pensava di raggiungere il top con David».[12]

A Garson e Mick Ronson venne assicurato il posto insieme ai veterani di Aladdin Sane, Ken Fordham e Geoffrey MacCormack, ma Trevor Bolder inizialmente sembrò destinato a fare la stessa fine di Woodmansey. Vennero contattati Jack Bruce e il batterista Aynsley Dunbar, che in precedenza aveva lavorato con John Mayall & the Bluesbreakers e Frank Zappa. Dunbar accettò a differenza di Jack Bruce e alla fine Trevor Bolder fu richiamato. «Anche Trevor sentiva che poteva perdere il suo ingaggio e così accettò», disse Garson al giornalista e scrittore Jerry Hopkins, «Mick era in un'analoga situazione di incertezza, perciò vi era tensione fra loro e David».[11]

Le registrazioni si intrecciarono con un servizio fotografico di David e la moglie Angela per il Daily Mirror e da quello per la copertina del disco, oltre che con numerose interviste tra cui quella di Kid Jenson che il 14 luglio venne trasmessa da Radio Luxembourg.[9]

Oltre al materiale di Pin Ups le sessioni produssero diverse tracce destinate ad una prevista "versione americana" dell'album rimasta inedita, tra cui God Only Knows dei Beach Boys (reincisa nel 1984 per l'album Tonight), White Light/White Heat dei Velvet Underground (la cui base sarebbe stata usata nel 1975 da Mick Ronson nel suo disco solista Play Don't Worry), No Fun degli Stooges, Summer in the City dei Lovin' Spoonful e Ladytron dei Roxy Music.[11] Altre due cover, Pablo Picasso dei Modern Lovers e Try Some, Buy Some di George Harrison, avrebbero trovato posto in Reality nel 2003.[13]

 
Pete Townshend e gli Who sono stati fonte di ispirazione per Bowie sin dall'inizio della sua carriera.

Le canzoni sono rifacimenti radicali con il marchio glam della coppia Bowie/Ronson e gli interventi del pianoforte di Mike Garson e del sassofono di Ken Fordham. «Prendevamo la struttura base degli accordi e cominciavamo a lavorare su quella», spiegò in seguito il cantante, «alcune non richiesero alcun lavoro, come Rosalyn per esempio. La maggior parte degli arrangiamenti li abbiamo fatti io e Mick, e anche Aynsley».[11]

In effetti la prima delle due tracce incise in origine da The Pretty Things, primo successo del gruppo londinese nel 1964, è allo stesso tempo energica e fedele. «David strillava persino negli stessi punti in cui lo facevo io», ha detto il cantante del gruppo Phil May al biografo Christopher Sandford.[14] In Nuova Zelanda ne fu distribuito un 45 giri promozionale limitato ai membri del New Zealand RCA Victor Record Club.[15] La seconda cover dei Pretty Things, Don't Bring Me Down, vede un ritorno al sound R&B delle radici prediletto da Bowie all'epoca delle sue prime incisioni, con una pulsante linea di basso e l'armonica blues.[16]

I Wish You Would e Shapes of Things, entrambe degli Yardbirds, sono altre vetrine per le chitarre di Bowie e Mick Ronson. Nella prima, che a sua volta era la cover di una canzone di Billy Boy Arnold del 1955, il riff di chitarra di Ronson, che sostituisce anche le parti in origine riservate all'armonica, fa da contrappunto ad una parte vocale in stile R&B.[17]

Altra band rappresentata con due brani sono gli Who: con Anyway, Anyhow, Anywhere e I Can't Explain. Quest'ultima era gia' stata eseguita occasionalmente dal vivo da Bowie e gli Spiders from Mars nel 1972 e rielaborata con un arrangiamento basato su pianoforte e sassofono. Nell'ottobre del 1973 ne fu inserita une versione live in The 1980 Floor Show e riapparve poi nelle prime date del Serious Moonlight Tour del 1983, anno in cui fu inclusa nella raccolta Golden Years. La cover di Anyway, Anyhow, Anywhere può essere invece vista come una prova del "manierismo soul" che il cantante adotterà in Diamond Dogs e Young Americans.[18] In occasione del Bridge School Benefit del 19 ottobre 1996 inserì la strofa iniziale della canzone come omaggio a Pete Townshend, che nel corso della serata aveva eseguito alcuni brani degli Who.

Il garage rock di Friday on My Mind degli Easybeats, a proposito della quale il coautore Harry Vanda ha dichiarato in un'intervista che la versione di Bowie è la sua preferita (aggiungendo «il che non è strano perché Bowie è una delle migliori menti pop del mondo in assoluto»)[20] e le sfumature psichedeliche di See Emily Play mostrano l'orecchio di Bowie per la melodia e l'occhio per gli atteggiamenti della cultura pop. La cover del successo del 1967 dei Pink Floyd è stato definito dal biografo Nicholas Pegg come uno dei momenti salienti di Pin Ups, dal tic-toc iniziale della chitarra alla dissolvenza finale degli archi, con una produzione in stile Sgt. Pepper,fatta di linee di pianoforte e sintetizzatore e l'accompagnamento vocale un'ottava sotto alla voce solista, che ricorda alcune atmosfere di Hunky Dory.[19]

La cover di Here Comes the Night dei Them, secondo quanto sostiene James Perone in The Words and Music of David Bowie, «anticipa in alcuni punti il suono del British post-punk e della new wave di fine anni settanta e inizio anni ottanta».[21] Il successo del gruppo di Van Morrison del 1965 subisce una trasformazione nella versione di Bowie, con la voce teatrale punteggiata dalle esplosioni del sax baritono di Ken Fordham. «Ci è piaciuto particolarmente», raccontava all'epoca Bowie, «siamo riusciti ad ottenere un vero sound da sezione fiati dei mitici dischi Atlantic».[22]

Le rimanenti tracce includono Everything's Alright, con cui il gruppo beat The Mojos aveva ottenuto il nono posto in classifica nel 1964 e che Bowie registrò dal vivo per il 1980 Floor Show, Where Have All the Good Times Gone dei Kinks, dominata dalla chitarra di Mick Ronson e dalla batteria di Aynsley Dunbar, e Sorrow, pubblicata nel 1965 dalla garage band americana The McCoys e portata al successo l'anno successivo dal duo inglese The Merseys. Quest'ultima rappresentò l'unico singolo estratto da Pin Ups: raggiunse la 3ª posizione in classifica nel Regno Unito.[23]

Pubblicazione e accoglienza

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L'album fu pubblicato il 19 ottobre 1973, con 100 000 copie già prenotate,[9] e due settimane dopo entrò nella Official Albums Chart del Regno Unito direttamente al 1º posto, dove rimase per cinque settimane eguagliando il primato di Aladdin Sane.[24]

La rivista britannica Sounds dichiarò che Bowie «usava il R&B come puntello, non come trampolino»,[11] mentre su Melody Maker il giornalista Michael Watts definì l'album "divertente quanto meravigliosamente acuto", aggiungendo che Bowie «si muove verso l'irriverenza, tenendo in equilibrio su un sottile filo del rasoio il suo immenso gusto per le canzoni in sé e il suo desiderio di reinventare. Il suo approccio è quello di imitare ed è magistrale, non tanto nella sua assoluta fedeltà agli originali quanto nella sua capacità di fraseggio, sfumature e stile».[25]

La rivista statunitense Entertainment Weekly giudicò l'interpretazione della maggior parte dei brani "eccitante ed efficace",[9] mentre il magazine Musician riportò: «Mick Ronson fa esplodere alcuni dei suoi pezzi di chitarra migliori di sempre, mentre Bowie canta in modo sommesso e ispirato».[9]

Il critico musicale Greg Shaw scrisse su Rolling Stone: «Sebbene molte delle tracce siano eccellenti, nessuna supera l'originale... inizialmente concepite come materiale "instant pop" scadente, la loro semplicità avrebbe richiesto un taglio più grezzo affinché ottenessero maggiore efficacia. Questo taglio non è presente, dal momento che le tracce sono mixate per lasciare spazio alla voce di Bowie. E qui sta il vero fallimento di Pin Ups».[26] Nello stesso articolo Shaw prosegue sostenendo che «la voce di Bowie galleggia con noncuranza sopra la musica, e la sua voce eccessivamente affettata è una discrepanza ridicolmente debole per il tipo di materiale», concludendo però che Pin Ups «è anche una raccolta di grandi canzoni, molte delle quali hanno ricevuto un più che adeguato e sempre amorevole trattamento. Forse la conclusione più giusta da trarre è che Bowie non può cantare in un altro modo, ha fatto del suo meglio e il risultato non è poi così male».[26]

La rivista canadese Music Scene riportò: «Ha fatto un tale lavoro di demolizione di alcuni dei brani più noti e amati degli anni sessanta che è ovvio che abbia perso la sua vocazione. O forse si dovrebbe prendere una lunga vacanza. Non è tanto il fatto di aver prodotto copie quasi fedeli di pezzi come Friday on My Mind, I Can't Explain, Here Comes the Night e Shapes of Things, quanto ciò che sembra essere la sua totale mancanza di empatia per le canzoni».[27]

Classifiche

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Oltre a raggiungere la vetta della classifica degli album in patria, l'album raggiunse il 6º posto in Francia e nei Paesi Bassi e il 4º in Australia, con 36 settimane di permanenza in classifica, mentre negli Stati Uniti arrivò alla 23ª posizione della Billboard 200.

Nel novembre 1973 è stato certificato disco d'oro nel Regno Unito dalla BPI.[1] Con le successive riedizioni Pin Ups è tornato ad affacciarsi nella classifica del Regno Unito e nel 2016, dopo la morte di Bowie, l'album ha guadagnato nuova popolarità ed ha fatto nuovamente ingresso nella Official Albums Chart al 63º posto.[24]

Paese Anno Posizione Classifica
Australia
1973
4
ARIA Albums Chart[28]
Francia
1973
6
Syndicat national de l'édition phonographique[29][30]
2016
191
Italia
1973
7
Classifica Album[31]
Norvegia
1973
8
VG-lista[32]
Paesi Bassi
1973
6
Dutch Top 40[33]
Regno Unito
1973
1
Official Albums Chart[24]
1983
57
1990
52
2016
63
Stati Uniti
1973
23
Billboard 200[34]

Copertina

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Un ritratto di Twiggy.

La copertina di Pin Ups, nella quale accanto a Bowie compare la supermodella Twiggy, uno dei simboli della Swinging London, era stata pensata inizialmente come parte di un servizio fotografico per la rivista Vogue.[11] Secondo le parole di Justin de Villeneuve, all'epoca manager e partner di Twiggy, Bowie aveva dichiarato di voler essere il primo uomo a comparire sulla copertina di Vogue: «Quando gli mostrai le polaroid di prova chiese se poteva usarle sulla copertina di Pin Ups. Gli dissi: "Non credo proprio, queste sono per Vogue. Quante copie dell'album pensi di riuscire a vendere?", "Un milione" rispose lui, ed io "Questa sarà la copertina del tuo album!"».[35]

Nella sua autobiografia In Black and White, Twiggy racconta: «Ero molto nervosa dal momento che ero una sua grande ammiratrice e intimidita come sarebbe stato chiunque altro... mi tranquillizzò immediatamente. Era tutto ciò che avrei potuto sperare e anche qualcosa di più, spiritoso, simpatico e incredibilmente brillante, esperto di cinema, registi, letteratura ed arte».[11]

Nel frattempo il manager di Vogue ebbe un ripensamento, come racconta ancora Twiggy: «"Non possiamo mettere un uomo sulla copertina" annunciò. Non potevo crederci... Bowie era entusiasta della foto così com'era. Siccome Justin deteneva il copyright, Bowie disse che "Mentre quelli cazzeggiano con le loro discussioni" gli sarebbe piaciuta per la copertina del disco che stava registrando. Alla fine Vogue non la usò mai. Veramente patetico».[11]

Una disparità nella tonalità delle abbronzature tra i due creò qualche problema ed il fotografo si rivolse a Pierre La Roche, che aveva ideato il trucco di Aladdin Sane: «Ero appena tornata dalla California ed ero marrone come una noce», spiegò Twiggy, «mentre Bowie sembrava che non avesse mai visto il sole, così ebbero l'idea di sbiancarmi la faccia, lasciandomi nude le spalle e il collo abbronzati, e di scurire Bowie. Comunque il risultato fu favoloso».[11])

A quanto pare, la foto scalzò un'altra ipotesi di copertina alla quale aveva pensato il fotografo Alan Motz. Secondo quanto affermato al biografo Christopher Sandford, l'idea era quella di fotografare "la metamorfosi di David in un animale", idea che sarebbe stata riciclata l'anno dopo da Terry O'Neill e Guy Peellaert per Diamond Dogs.[11]

Lato A
  1. Rosalyn – 2:27 (Jimmy Duncan, Bill Farley)
  2. Here Comes the Night – 3:09 (Bert Berns)
  3. I Wish You Would – 2:40 (Billy Boy Arnold)
  4. See Emily Play – 4:03 (Syd Barrett)
  5. Everything's Alright – 2:26 (N. Crouch, J. Konrad, S. Stavely, S. James, K. Karlson)
  6. I Can't Explain – 2:07 (Pete Townshend)
Lato B
  1. Friday on My Mind – 3:18 (George Young, Harry Vanda)
  2. Sorrow – 2:48 (B. Feldman, J. Goldstein, R. Gottehrer)
  3. Don't Bring Me Down – 2:01 (Johnnie Dee)
  4. Shapes of Things – 2:47 (P. Samwell-Smith, J. McCarty, K. Relf)
  5. Anyway, Anyhow, Anywhere – 3:04 (Roger Daltrey, Pete Townshend)
  6. Where Have All the Good Times Gone – 2:35 (Ray Davies)

Tracce bonus della riedizione 1990

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  1. Growin' Up (Outtake dalle sessioni di Diamond Dogs, 1973) – 3:26 (Bruce Springsteen)
  2. Port of Amsterdam (Lato B di Sorrow, 1973) – 3:19 (Jacques Brel, Mort Shuman)

Formazione

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Riedizioni

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Pin Ups è stato ripubblicato diverse volte a partire dal 1976. La prima versione in compact disc è del 1984, anno in cui furono ripubblicati anche i dischi precedenti di Bowie, che diventò così la prima rockstar ad avere l'intera produzione in formato digitale.[36]

Tra le varie riedizioni da ricordare, quella rimasterizzata del 1990 distribuita dalla EMI/Rykodisc con due tracce bonus. Anche in questo caso due cover: Growin' Up di Bruce Springsteen, che Bowie registrò agli Olympic Studios di Londra nel novembre 1973 (durante le sessioni di Diamond Dogs e che vide il contributo alla chitarra di Ronnie Wood) e Port of Amsterdam di Jacques Brel, registrata ai Trident Studios durante le sessioni di Ziggy Stardust.[37]

Anno Formato Etichetta Paese Note
1976
LP
RCA Records Australia, Giappone
1977
Germania
1980
Regno Unito, Italia, Grecia
1983
Europa, USA, Canada, Giappone
1984
CD
Europa, USA
LP
Regno Unito Picture disc, edizione limitata
1990
CD
EMI/Rykodisc Europa, USA, Canada Edizione rimasterizzata
LP
Europa, USA
1991
CD
EMI Giappone
1999
EMI/Virgin Records Europa, USA, Australia, Giappone
LP 180g
EMI Europa
2001
LP
Simply Vinyl Regno Unito Edizione limitata
2006
CD
EMI Giappone
2007
USA, Giappone Edizione rimasterizzata
2009
Giappone Edizione limitata
2014
CD
Parlophone USA Edizione rimasterizzata
2015
Europa, USA, Argentina, Australia
2016
LP 180g
Europa
  1. ^ a b (EN) Pin Ups, su British Phonographic Industry. URL consultato il 21 aprile 2016.
  2. ^ Recensione Ondarock, su ondarock.it, www.ondarock.it. URL consultato il 26 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 1º marzo 2016).
  3. ^ Recensione AllMusic, su allmusic.com, www.allmusic.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  4. ^ Recensione Piero Scaruffi, su scaruffi.com, www.scaruffi.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  5. ^ Recensione Rolling Stone, su rollingstone.com, www.rollingstone.com. URL consultato il 26 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 10 novembre 2013).
  6. ^ Recensione Sputnikmusic, su sputnikmusic.com, www.sputnikmusic.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  7. ^ Recensione Robert Christgau, su robertchristgau.com, www.robertchristgau.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  8. ^ Official Albums Chart Top 50 - 04 November 1973 - 10 November 1973, su officialcharts.com, www.officialcharts.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  9. ^ a b c d e f g h i Pin Ups (1973), su 5years.com, www.5years.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  10. ^ a b c Sorrow, su bowiesongs.wordpress.com, www.bowiesongs.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  11. ^ a b c d e f g h i j k l m Pegg (2002), pp. 270-272.
  12. ^ The Last Supper, su 5years.com, www.5years.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  13. ^ David Bowie & Tony Visconti - Recording Reality, su soundonsound.com, web.archive.org. URL consultato il 26 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 6 giugno 2015).
  14. ^ Pegg (2002), p. 166.
  15. ^ Rosalyn/Where Have All The Good Times Gone! 1973 NZ Promo Single, su 5years.com, www.5years.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  16. ^ Pegg (2002), p. 64.
  17. ^ Pegg (2002), p. 98.
  18. ^ Pegg (2002), p. 26.
  19. ^ a b c Pegg (2002), p. 172.
  20. ^ Tait (2010), p. 69.
  21. ^ Perone (2005), p. 40.
  22. ^ Pegg (2002), p. 87.
  23. ^ Official UK Singels Chart, su officialcharts.com, www.officialcharts.com. URL consultato il 23 agosto 2016.
  24. ^ a b c Official Singles Chart, su officialcharts.com, www.officialcharts.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  25. ^ Brilliant Bowie! by Michael Watts - Melody Maker (20 October 1973), su 5years.com, www.5years.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  26. ^ a b Rolling Stone (20 December 1973) by Greg Shaw, su 5years.com, www.5years.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  27. ^ Review of PinUps (1973) by R.G - Music Scene (December 1973), su 5years.com, www.5years.wordpress.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  28. ^ ARIA Albums Chart, su bowiedownunder.com, www.bowiedownunder.com. URL consultato il 27 novembre 2016.
  29. ^ SNEP, su infodisc.fr, www.infodisc.fr. URL consultato il 27 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2017).
  30. ^ SNEP, su lescharts.com, www.lescharts.com. URL consultato il 27 novembre 2016.
  31. ^ Classifica italiana Album, su hitparadeitalia.it, www.hitparadeitalia.it. URL consultato il 27 novembre 2016.
  32. ^ VG-lista, su norwegiancharts.com, www.norwegiancharts.com. URL consultato il 27 novembre 2016.
  33. ^ Dutch Top 40, su dutchcharts.nl, www.dutchcharts.nl. URL consultato il 27 novembre 2016.
  34. ^ Billboard 200, su billboard.com, www.billboard.com. URL consultato il 27 novembre 2016.
  35. ^ Justin de Villeneuve's best photograph: David Bowie and Twiggy, su theguardian.com, www.theguardian.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  36. ^ Different Formats: From LP to CD, su 5years.com, www.5years.com. URL consultato il 26 novembre 2016.
  37. ^ Pegg (2002), p. 24.

Bibliografia

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Collegamenti esterni

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