Nicola Bellomo
Nicola Bellomo (Bari, 2 febbraio 1881 – Nisida, 11 settembre 1945) è stato un generale italiano.
Nicola Bellomo | |
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Nascita | Bari, 2 febbraio 1881 |
Morte | Nisida, 11 settembre 1945 |
Cause della morte | Fucilazione |
Dati militari | |
Paese servito | Italia |
Forza armata | Regio Esercito |
Grado | Generale di divisione |
Guerre | |
Campagne | |
Battaglie | Operazione Colossus |
Comandante di | CLI Legione CCNN "Domenico Picca" Presidio militare di Bari Distretto militare di Benevento |
Studi militari | Regia Accademia militare di Artiglieria e Genio di Torino |
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Figlio di Andrea Bellomo ed Isabella Ungaro, accusato di crimini di guerra e fucilato dagli inglesi, nel 1951 fu decorato dalla Repubblica Italiana con la Medaglia d'argento al Valor militare.
Biografia
modificaPrima della guerra
modificaUfficiale di carriera proveniente dall'Accademia Militare, Bellomo si era particolarmente distinto durante la prima guerra mondiale con il grado di capitano di artiglieria, ottenendo la decorazione di Croce di Cavaliere dell'Ordine militare d'Italia. Mite nell'aspetto, era in realtà temuto da colleghi e sottoposti per il carattere spigoloso, poco incline ai compromessi; i superiori, invece, l'apprezzavano per l'acume intellettuale, per il vivace spirito d'iniziativa e per i solidi valori morali sempre dimostrati. Lasciò il servizio attivo da Comandante del Distretto Militare di Benevento nel 1936.
L'Operazione Colossus
modificaFu richiamato in servizio il 15 gennaio 1941 per esigenze belliche, con il grado di generale di brigata, e gli fu affidato l'incarico di Comandante del Presidio Militare di Bari. Anche in questa veste, il generale Bellomo ebbe la possibilità di mettere in mostra spiccate doti militari. Guidò personalmente le ricerche di un gruppo di incursori inglesi che, paracadutatisi nelle campagne nei pressi di Calitri (AV) nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1941, avevano distrutto con cariche esplosive il ponte-canale Tràgino e danneggiato il ponte-canale Ginestra dell'Acquedotto pugliese (Operazione Colossus).
In soli tre giorni di ricerche, i bersaglieri e i carabinieri (coadiuvati dalla popolazione civile) agli ordini del generale Bellomo riuscirono a catturare tutti i 35 uomini del commando, che vennero poi rinchiusi nel campo di prigionia di Torre Tresca (BA). Dopo la cattura, Bellomo impedì ai civili di eseguire una sommaria esecuzione dei sabotatori, ma trattenne come "preda bellica" la Colt Pocket mod. 1903 del maggiore comandante il commando britannico[1].
I fatti di Torre Tresca e le inchieste
modificaLa notte del 30 novembre 1941, due ufficiali inglesi - il capitano George Playne e il tenente Roy Roston Cooke - riuscirono a fuggire dal campo di prigionia, ma furono ricatturati alcune ore più tardi. Riportati a Torre Tresca, trovarono ad accoglierli il generale Bellomo e il capitano Sommavilla che vollero farsi mostrare dai due ufficiali il punto esatto da cui erano evasi e le modalità di evasione. Infatti il controspionaggio italiano sospettava l'esistenza di una rete spionistica inglese che si avvaleva dell'aiuto di ufficiali italiani.[2] In quell'occasione, i due ufficiali inglesi - secondo la ricostruzione italiana - avrebbero approfittato dell'oscurità per tentare nuovamente la fuga.
A quel punto Bellomo ordinò di aprire il fuoco: il Capitano Playne fu raggiunto alla nuca da un solo colpo che gli risultò fatale, mentre il Tenente Cooke fu ferito ad un gluteo. L'inchiesta interna avviata dall'Esercito Italiano e condotta dai generali Luigi De Biase (comandante del IX corpo d'armata di Bari) e Enrico Adami Rossi (comandante della Difesa territoriale di Bari) avvalorò la tesi fornita dal generale Bellomo, surrogata anche dalle dichiarazioni e dalle testimonianze degli altri militari presenti all'accaduto, ovvero che il generale Bellomo avesse dato ordine di sparare solo dopo la fuga dei due ufficiali inglesi[3]. Qualche mese più tardi, si indagò di nuovo sull'accaduto, questa volta con una nuova inchiesta sollecitata dal governo britannico che affidò l'incarico alla Legazione svizzera a Roma e alla Croce Rossa. Anche questa nuova inchiesta pervenne alle medesime conclusioni della precedente.[3]
Il salvataggio del porto di Bari
modificaIl 26 luglio 1943 Bellomo fu nominato comandante della CLI Legione CCNN "Domenico Picca". Il 9 settembre 1943, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 a Bari, il Generale Bellomo venne fortuitamente a conoscenza della notizia che il generale tedesco Sikenius aveva mandato dei guastatori per distruggere le principali infrastrutture portuali della città pugliese. Bellomo raccolse alcuni nuclei di militari italiani presso la caserma della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e della Guardia di Finanza.[4]
A questi si affiancarono dei genieri del 9º Reggimento guidati dal sottotenente Michele Chicchi.[5] Con questi ridotti nuclei attaccò i guastatori tedeschi che avevano già preso posizione nei punti nevralgici della grande struttura. Costretti sulla difensiva, i tedeschi furono obbligati ad una ritirata da due attacchi condotti dal generale Nicola Bellomo e infine alla resa. Bellomo fu anche ferito durante questi scontri.[6] Bellomo riuscì anche a coinvolgere i civili nella difesa della città, tanto che ragazzi di Bari vecchia affrontarono i tedeschi con armi in parte fornite dallo stesso Bellomo, tra cui alcune casse di bombe a mano[7] Ritiratisi i tedeschi, gli inglesi poterono successivamente sbarcare a Bari in completa sicurezza, usufruendo di infrastrutture portuali pienamente efficienti.
Il processo e la condanna
modificaIl Generale Bellomo mantenne la sua carica fino al 28 gennaio 1944, quando la polizia militare britannica lo arrestò nel suo ufficio "per aver sparato o fatto sparare contro due ufficiali britannici, causando la morte di uno di essi e il ferimento dell'altro". Al momento dell'arresto, non esistevano a carico del generale elementi precisi in mano agli inquirenti inglesi. Solo il 5 giugno 1945 (dopo circa un anno dall'arresto) il tenente Roy Roston Cooke presentò una denuncia scritta e circostanziata contro il generale stesso, il quale, nel frattempo, era stato più volte trasferito tra i campi di concentramento alleati di Grumo Appula, di Padula e di Afragola (il campo 209). Solo il 14 luglio 1945 gli fu comunicato il deferimento dinnanzi alla Corte Marziale e accusato di aver sparato con la propria Colt Pocket contro i due ufficiali inglesi, nonostante Bellomo avesse sempre negato - sotto giuramento - di aver mai usato l'arma in quel frangente[1]. Lo stesso Bellomo ricostruì così gli avvenimenti:
«Io ordinai alla scorta di fare fuoco soltanto quando mi accorsi che i due prigionieri si erano fermati per scattare in avanti. Il capitano Playne avanzò per primo, seguito a breve distanza dal tenente Cooke. Allora ebbi la certezza che volessero tentare la fuga. Io non sparai: non perché non avessi la volontà di farlo, ma perché avevo dimenticato di abbassare la sicura e la pistola non funzionò. Comunque lo ripeto ancora una volta: se ci fossero responsabilità, queste sarebbero solo mie perché io ero generale, tutti gli altri erano miei subordinati, ubbidivano soltanto ai miei ordini»
La Corte, il 28 luglio 1945, dopo poco più di un'ora di camera di consiglio pronunciò la sentenza di condanna a morte, eseguita mediante fucilazione presso il carcere di Nisida. Bellomo rifiutò di inoltrare richiesta di grazia.[1] Il generale Bellomo fu l'unico ufficiale italiano fucilato, per "crimini di guerra", a seguito di una sentenza emessa da un tribunale militare speciale britannico[9].
Il tentativo di riabilitazione
modificaNel 2005 l'allora sottosegretario alla Difesa Rosario Giorgio Costa durante una celebrazione della giornata della Forze Armate annunciò l'intenzione di aprire un processo di riabilitazione di Bellomo[10].
La città di Bari gli ha dedicato via Generale Nicola Bellomo, vicino al Policlinico Cotugno[11].
Aspetti controversi sull'operato della Corte Marziale britannica
modificaL'operato della Corte Marziale britannica è considerato controverso: essa non si avvalse delle due precedenti inchieste svolte l'una del Regio Esercito italiano e l'altra dalla Croce Rossa su input dello stesso Governo britannico[12] e non fu permesso al generale Enrico Adami Rossi chiamato dalla difesa ma prigioniero degli americani, di poter testimoniare[13], mentre la testimonianza del generale De Biase, raccolta da un ufficiale dei carabinieri, non fu accettata poiché mancante della formula del giuramento.[14] Non si diede peso alle contraddittorie dichiarazioni del tenente Cooke (prima asserì che le sentinelle italiane gli spararono da distanza, poi ritrattò dicendo che fu il generale Bellomo in persona a sparare a bruciapelo a lui e al capitano Payne).[15]
Bellomo fu inoltre accusato dai quattro militari italiani che avevano partecipato all'arresto del tenente Cooke e del capitano Playne che raccontarono versioni contrastanti tra loro.[8] Il sottotenente Stecconi testimoniò di essere disarmato e che Bellomo aprì il fuoco senza dare alcun ordine.[16] Il soldato Gigante sostenne invece che fu dato l'ordine di fare fuoco ma di non aver fatto fuoco.[17] Il soldato Olivieri raccontò anch'esso di aver ricevuto l'ordine di sparare ma di aver sparato in aria.[18] Il soldato Curci sostenne anch'esso di aver sparato in aria e accusò anche Sommavilla.[19] Testimoniarono tutti e quattro di non aver sparato ai prigionieri e che fu lo stesso generale ad uccidere il prigioniero, ma Bellomo era armato con la pistola mentre le ferite sul corpo dei due fuggitivi erano causate da proiettili di fucile.[20]
In un suo libro Peter Tompkins - referente dell'OSS a Roma nel 1944 - sostiene, riprendendo le conclusioni di Ruggero Zangrandi, che il generale Bellomo fu vittima delle macchinazioni di Badoglio e dei monarchici che volevano eliminare un testimone pericoloso dei giorni della fuga del dopo 8 settembre[21]:
«Dopo una lunga e accurata ricerca sulle circostanze relative all'arresto di Bellomo, Zangrandi è stato in grado di documentare come la corte britannica fosse stata tratta in inganno da Badoglio e da agenti monarchici che, in tutta segretezza, fecero ricorso al falso per favorire la fucilazione di Bellomo. Essendo l'unico generale italiano che di propria iniziativa combatté i tedeschi e mantenne la città di Bari fino all'arrivo degli Alleati, rappresentava una minaccia per il re e per Badoglio, perché rivelava al mondo lo squallore del loro tradimento[22].»
Commenta invece Eugenio Di Rienzo citando Emilio Gin:
"La faziosità del dispositivo della corte militare britannica, contrario alla Convenzione di Ginevra e al più elementare criterio di giustizia, non sfuggì al corrispondente inglese Steve Ray. Il giornalista scriveva infatti al deputato laburista Igor Thomas di ritenere che «il verdetto è contro il peso delle prove, che le capacità di accusa e difesa non erano eque, che insufficiente rilevanza è stata data a chiare circostanze attenuanti e al comportamento di Bellomo tenuto subito dopo l'8 settembre».
Secondo la testimonianza di Ray, l'affare Bellomo sarebbe stato quindi un vero e proprio caso di «giustizia politica», con il quale l'Alto Comando inglese dava libero sfogo alla sua volontà punitiva nei confronti dell'ex avversario di guerra. Questa interpretazione largamente diffusa non convince però Gin che si mostra scettico anche nei confronti della tesi secondo la quale la decisione del tribunale sarebbe stata influenzata da una fitta trama di delazioni orchestrata dagli elementi baresi maggiormente compromessi con la dittatura fascista. Più verosimile appare invece a Gin l'esistenza di una «pista rossa» che avrebbe condotto Bellomo dinnanzi al plotone d'esecuzione. L'inflessibilità del comandante della Piazza di Bari e la sua decisione nel far rispettare rigidamente l'ordine costituito accrebbe il numero dei suoi nemici ben oltre la cerchia dei conniventi con le forze germaniche e dei nostalgici del caduto regime. Il CLN pugliese non esitava infatti a definirlo senza mezzi termini «un nevrastenico» e «un ex fascista», accusandolo esplicitamente di essere uno dei maggiori ostacoli alla rinascita della vita democratica nella regione in linea con l'impostazione reazionaria del governo Badoglio.
Inoltre, in quel torbido settembre del 1943 un flusso continuo di denunce, per lo più anonime, relative a casi di favoreggiamento col nemico da parte dei comandi militari italiani, avvenute durante gli scontri successivi all'armistizio, venivano indirizzate alle autorità militari inglesi. Gli stessi Carabinieri Reali non erano rimasti incolumi da quella che apparve ben presto come una vera e propria campagna di criminalizzazione volta a discreditare le forze regolari italiane e l'istituzione monarchica. Di quella campagna Bellomo finì per essere la principale vittima, ma con la condanna infamante che pose fine alla sua vita si volle far scomparire soprattutto la memoria della resistenza del ricostituito Esercito italiano che, tra 8 settembre 1943 e 25 aprile 1945, arrivò a schierare circa mezzo milione di uomini, inquadrati in sei Gruppi di combattimento, fornendo un concorso sicuramente più decisivo alla sconfitta delle forze naziste di quello rappresentato dalle sparute formazioni partigiane".[23]
Il Ricordo
modificaIl 28 aprile 2023 il Sindaco di Bari ed il Comandante delle Forze Operative Sud dell'Esercito, alla presenza anche dei familiari del Generale Bellomo, scoprivano sull'isola di Nisida una targa ricordo nel luogo della fucilazione, recuperando altresì l'originaria lapide posta nel sito della prima tumulazione e piantando un albero d'ulivo donato da cittadini del barese.
Onorificenze
modifica— Decreto Presidenziale dell'11 aprile 1951
Note
modifica- ^ a b c Daniele Lembo, 1941 - Operazione Colossus, in Storia in Rete, n. 28, febbraio 2008, pp. 64-68.
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, p. 79: "…i servizi del nostro controspionaggio sospettavano che nei campi di prigionia operasse, con la complicità di alcuni ufficiali italiani, una rete organizzativa al servizio degli inglesi".
- ^ a b Ivan Palermo, Il caso Bellomo, p. 80.
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, p. 77: "…si fermò alle caserme della Guardia di Finanza e dell'ex Milizia dove raccolse un pugno di valorosi armati alla meno peggio".
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, pp. 77-78: "Poco dopo fu raggiunto da un reparto di artiglieri con una mitragliatrice montata su camion, comandati dal sottotenente Chicchi…".
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, p. 78: "Lo stesso Bellomo venne ferito in più punti alle mani e al braccio destro da una granata…".
- ^ Marco Brando, Bari, 8 settembre ’43. La Wehrmacht fermata da un ragazzino, su anpibrindisi.it. URL consultato l'8 maggio 2020.
- ^ a b Ivan Palermo, Il caso Bellomo, p. 82.
- ^ Fernando Riccardi, La tragica fine del generale Bellomo, in Storia del Novecento, n. 109, Ma. Ro. Edizioni, novembre-dicembre 2010, p. 41.
- ^ Il sottosegretario alla Difesa, Costa: presto un processo per riabilitare la memoria del generale barese Nicola Bellomo, in La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 4 novembre 2005. URL consultato l'8 maggio 2020.
- ^ Città di Bari, su tuttocitta.it.
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 80:"...non vennero trovate le due inchieste che scagionavano Bellomo"
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 82: "Bellomo aveva chiesto la testimonianza dei generali che avevano condotto l'inchiesta italiana: Adami-Rossi e De Biase. Il primo era prigioniero degli americani e non fu autorizzato a deporre..."
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 82: "L'ufficiale dimenticò di far giurare il testimone. Sicché la deposizione De Biase non fu accolta dai giudici..."
- ^ Fernando Riccardi, "La tragica fine del generale Bellomo", articolo in Storia del Novecento, n° 109, novembre-dicembre 2010, Ma. Ro. Edizioni, pag 41: "Si basarono soltanto sulle dichiarazioni contraddittorie del tenente Cooke che, dopo aver più volte cambiato versione, affermò di aver visto Bellomo sparare al capitano Playne."
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 82, testimonianza del sottotenente Stecconi: "Io non partecipai all'azione e non ero armato. Mi trovavo al fianco del generale quando questi aprì il fuoco contro i prigionieri. Prima di sparare il generale non diede alcun ordine."
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 82, testimonianza del soldato Gigante: "Quando i prigionieri furono fuori della baracca il generale ordinò: Adesso ammazzateli tutti, fuoco. Ma io non ho sparato."
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 82, testimonianza del soldato Olivieri: "Il generale urlava come un forsennato. "Prima di scappare di qui morirete" disse ai prigionieri. Io non ho tirato sui prigionieri. Ho sparato in aria, solo per obbedire all'ordine di fuoco."
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pag. 82, testimonianza del soldato Curci: "Il generale gridò prima "Fuoco", poi aggiunse "Attenzione scappano". Spararono prima Bellomo e il capitano Sommavilla, poi gli altri. Io ho sparato in aria."
- ^ Ivan Palermo, Il caso Bellomo, su Storia illustrata n° 157, Dicembre 1970 pagg. 82-83: "Dunque nessuno sparò sui prigionieri; eppure, come risulta dai referti medici, sia Playne sia Cooke furono feriti da proiettili di fucile. E Bellomo e Sommavilla sempre che abbiano sparato, avevano solo la pistola."
- ^ La fine del Generale Bellomo - su ANPI Bridisi, su anpibrindisi.it. URL consultato l'8 maggio 2020.
- ^ Ruggero Zangrandi, L'Italia tradita, Mursia, Milano, 1971, p. 65.
- ^ Eugenio Di Rienzo, Lo strano caso di Bellomo eroe fucilato dagli Alleati, su ilGiornale.it. URL consultato il 19 giugno 2019.
- ^ Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli ufficiali e sottufficiali del R. esercito italiano e nel personale dell'amministrazione militare, 1933, p. 436. URL consultato il 22 agosto 2019.
Bibliografia
modifica- Nicola Bellomo, Memoriale sull'armistizio e autodifesa, Mursia Editore, Milano, 1978.
- Giorgio Nelson Page, Il Nuovo Americano di Roma, Longanesi & C., Milano, 1951.
- Peter Tompkins, Italy Betrayed, Simon & Schuster, New York, 1966.
- Ivan Palermo, Storia di un armistizio, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1967.
- Saverio La Sorsa, Un valoroso italiano da ricordare: il generale Nicola Bellomo, Tip. De Martino, Roma, 1969.
- Gianni Di Giovanni, Bellomo: un delitto di Stato, Presentazione di Giorgio Bocca, Palazzi Editore, Milano, 1970.
- Ivan Palermo, Il caso Bellomo, in Storia Illustrata, n. 157, 1970.
- Ruggero Zangrandi, L'Italia tradita, Mursia Editore, Milano, 1971.
- Oreste Bovio, Il generale Nicola Bellomo, in Studi Storico Militari, Stato Maggiore dell'Esercito Italiano – Ufficio Storico, 1987, pp. 363-428.
- Fiorella Bianco, Il caso Bellomo. Un generale condannato a morte (11 settembre 1945), Mursia Editore, Milano, 1995, ISBN 978-88-425-1912-6
- Oreste Bovio, Storia dell'Esercito Italiano: 1861-1990, Stato Maggiore dell'Esercito Italiano – Ufficio Storico, Roma, 1996.
- Oreste Bovio, In alto la bandiera. Storia del Regio Esercito Italiano, Bastogi, Foggia, 1999.
- Federico Pirro, Il generale Bellomo. Liberò Bari dai tedeschi, fu fucilato dagli inglesi, Palomar Edizioni, Bari, 2004.
- Attilio Claudio Borreca, Il generale Nicola Bellomo: un eroe discusso, in Rivista Militare Italiana (pubblicata a cura e col concorso del Comando del Corpo di Stato Maggiore Italiano), N. 2, anno 2008, pp. 90-96.
- Emilio Gin, Bari 8 settembre 1943, l'affaire Bellomo, Nuova rivista storica, Volume XCIII, Fascicolo III, Anno 2009.
- Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Editori Laterza, Roma-Bari, 2016.
Collegamenti esterni
modifica- Lo strano caso di Bellomo eroe fucilato dagli Alleati di Eugenio Di Rienzo.
- Il caso Bellomo, su historicaleye.it.
- Bellòmo, Nicola, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Enzo Piscitelli, BELLOMO, Nicola, in Enciclopedia Italiana, II Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1948.
- Nicola Bellomo, in Donne e Uomini della Resistenza, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
- (EN) Opere di Nicola Bellomo 1881 - 1945, su Open Library, Internet Archive.
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