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Maria Elena Björnson (Parigi, 16 febbraio 1949Londra, 13 dicembre 2002) è stata una scenografa e costumista francese naturalizzata britannica.

Biografia

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Maria Bjørnson nacque a Parigi, figlia della rumena Mia Prodan de Kisbunn e del norvegese Bjorn Bjornson, nipote del Premio Nobel Bjørnstjerne Bjørnson. All'età di due anni si trasferì con la madre a Londra, dove studiò al Lycée Français Charles de Gaulle, alla Byam Shaw School of Art e alla Central School of Art and Design. Al termine degli studi fece il suo debutto come costuista e scenografa al Glasgow Citizens' theatre, dove curò l'aspetto visivo di tredici produzioni e si specializzò nel mettere in scena l'opera di Brecht.[1] Successivamente cominciò a curare costui e scenografie per la Welsh National Opera: questo avvicinamento al mondo del melodramma la portò successivamente a lavorare come costumista e scenografe per acclamate produzioni di alto profilo, tra cui La Valchiria (1983) e Carmen (1986) al London Coliseum, Ascesa e caduta della città di Mahagonny a Firenze (1990), Káťa Kabanová alla Royal Opera House nel 1994 e Macbeth al Teatro alla Scala nel 1997.[2]

Dal 1978 aveva cominciato a lavorare anche con la Royal Shakespeare Company, ottenendo grandi successi in particolare con i suoi Sogno di una notte di mezza estate (1981) e La Tempesta (1982).[3] Nel 1986 ottenne il suo più grande successo con il musical di Andrew Lloyd Webber The Phantom of the Opera, per la regia di Harold Prince: disegnò personalmente gli oltre 230 costumi e le ventidue scenografie, di cui è diventato particolarmente celebre il lampadario che ogni sera lievita in aria durante l'overture e crolla sul palco al termine del primo atto.[4] Nel 1988 The Phantom of the Opera debuttò al Majestic Theatre di New York, dove è tuttora in scena dopo oltre trentun anni di repliche: la Bjørnson vinse il Tony Award ai migliori costumi e quello per le migliori scenografie, ed il suo design del musical è spesso citato come una delle principali ragioni del suo straordinario successo internazionale.[5][6]

Dopo una controversa Bella Addormentata alla Royal Opera House nel 1994, si dedicò nuovamente alla prosa nella stagione dell'Almeida Theatre di Londra nel 1998-1999, disegnando i costumi di attori come Diana Rigg e Cate Blanchett; durante quest'anno furono particolarmente apprezzate le sue scenografie di Fedra e Britannico.[7][8] Nel 2000 scenografò e disegnò i costumi per una produzione de Il giardino dei ciliegi in scena al Royal National Theatre con Vanessa Redgrave, mentre il suo design per il Don Giovanni della Royal Opera House del 2004 fu accolto freddamente. Al momento della sua morte stava collaborando con Franco Zeffirelli per una produzione di Les Troyens per la Metropolitan Opera House.

Morì improvvisamente nella sua casa di Londra per una crisi epilettica.[9]

Teatrografia

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Opera e balletto

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Prosa e musical

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  1. ^ (EN) David Jays, Obituary: Maria Bjornson, in The Guardian, 16 dicembre 2002. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  2. ^ IL 'MACBETH' DI MUTI ALLA SCALA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  3. ^ Ron Daniels 1982 Production | The Tempest | Royal Shakespeare Company, su www.rsc.org.uk. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  4. ^ (EN) Michael Billington, The Phantom of the Opera, Her Majesty's, London, in The Guardian, 10 ottobre 1986. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  5. ^ (EN) Frank Rich, Stage: 'Phantom of the Opera', in The New York Times, 27 gennaio 1988. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  6. ^ (EN) Kenneth Jones, Maria Björnson, Designer Who Won Tonys for the Phantom's Lair, Dead at 53, su Playbill, Mon Dec 16 11:56:00 EST 2002. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  7. ^ (EN) Anna Kisselgoff, DANCE; The Royal's 'Sleeping Beauty' Is a Surprise Package, in The New York Times, 3 luglio 1994. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  8. ^ (EN) Matt Wolf, Matt Wolf, Britannicus, su Variety, 30 novembre 1998. URL consultato il 15 gennaio 2019.
  9. ^ (EN) Anne Midgette, Maria Bjornson, 53, Designer For Opera, Theater and Dance, in The New York Times, 22 dicembre 2002. URL consultato il 15 gennaio 2019.

Collegamenti esterni

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Controllo di autoritàVIAF (EN238486528 · ISNI (EN0000 0003 8569 1455 · ULAN (EN500281870 · LCCN (ENno2005100104 · J9U (ENHE987007394274605171