Cavallo (moneta)
Ferdinando d'Aragona (1458-1494) | |
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FERRANDVS REX; busto radiato a destra | REX•EQUITAS•REGNI; cavallo passante a destra; aquila avanti; rosetta sopra. |
Æ (1,87 g); zecca l'Aquila. |
Carlo VIII, Re di Napoli. (1495-1496) | |
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CAROLVS * REX * FRR *; scudo di Francia coronato | + AQVILANA CIVITAS; croce patente; sotto aquila di faccia, testa a sinistra, ali spiegate. |
Æ (1,73 g); zecca dell'Aquila. |
Ducato di Sora | |
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Cavallo coniato a Sora e Alvito nel 1495 recante le iniziali PA.CAN.SOR. (Paulus Cantemus Sorae dux) |
Il cavallo è una moneta di rame emessa per la prima volta nel 1472 da Ferdinando I per Napoli e per la Sicilia[1]. Al dritto portava la testa del re ed al rovescio un cavallo passante.
Dal XIII secolo, la quantità d'argento nelle monete del regno andava facendosi sempre più scarsa, fino a raggiungere la proporzione di 1/16 d'argento per 15/16 parti di rame o anche 7/360 parti argento per 353/360 di rame con la sesta emissione di denari d'argento da parte di Federico II[2]. Siccome i denarelli aragonesi erano coniati con una scarsa proporzione d'argento[3], e quindi considerevole il guadagno che la Regia Curia traeva da quella sleale monetazione, nel Reame e negli stati circonvicini era comune pratica falsificare le monete[4].
Dietro la protesta dei pubblici ufficiali destinati a riscuotere le imposte del reame, che si lamentavano dello scarso valore della moneta, Ferdinando I, dietro consiglio di Orso Orsini duca d’Ascoli, bandì che fossero vietati i denari di biglione e che si coniassero, invece, monete di puro rame, grosse quanto le antiche medaglie, ossia mezzi carlini degli Angioini[5]. Sulle monete di rame, essendo scarso il guadagno, i falsari non troverebbero utilità alcuna nel coniarle[1].
Ordinava inoltre Ferdinando che, da una parte di detta moneta fosse ritratta la sua effigie, e che, dall'altra si ponesse "una qualche digna", come proposto dal Conte di Maddaloni, Diomede Carafa. Venne quindi rappresentato un cavallo, con attorno l'epigrafe ÆQVITAS REGNI[1]. Dodici cavalli avevano il valore di un grano[6]. I cavalli di Ferdinando I d'Aragona furono coniati nelle zecche di Amatrice, Aquila, Brindisi, Napoli e Sulmona[6].
Il nome rimase poi a monete dello stesso valore anche se i tipi erano diversi come, ad esempio, quella battuta da Carlo VIII nel 1494. Dopo l'iniziale successo dei cavalli, il dominio aragonese e la discesa di Carlo VIII su Napoli portarono ad una facile concessione di zecca ed una conseguente perdita di peso della moneta che ne cagionarono ben presto il discredito[7].
Con la perdita del suo valore, il cavallo fu abolito nel 1498 e sostituito con il "doppio cavallo" o sestino da Federico d'Aragona. In seguito, nel 1626, sotto Filippo IV di Spagna fu nuovamente emesso il cavallo per breve tempo. I multipli (da 2, 3, 4, 6 e 9 cavalli) furono invece emessi fino a Ferdinando IV. Il 1804 fu battuta l'ultima moneta da tre cavalli ed i cavalli non furono più emessi: al loro posto il tornese del valore pari a 6 cavalli.
Note
modifica- ^ a b c Sambon, p. 327.
- ^ (FR) Louis Blancard, Des Monnaies, frappées en Sicile, au XIIIe siècle, par les suzerains de Provence, in Revue Numismatique, 1864, pp. 295-7. URL consultato il 5 giugno 2016.
- ^ Camera della Sommaria-Comuni. Vo7. 7 fol. 70 e 78
- ^ Sambon, p. 326.
- ^ Lettera del 16 febbraio 1472, diretta agli ufficiali della Regia Camera della Sommaria (Regia Camera della Sommaria-Curia. Voi. 7, anni 1469-1472 altimo foglio, 157 t.)
- ^ a b Sambon, p. 330.
- ^ Sambon, p. 331.
Bibliografia
modifica- Arthur Sambon, I "Cavalli" di Ferdinando I d'Aragona, re di Napoli, in Rivista italiana di numismatica, IV, Milano, 1891, pp. 325-356.
- Edoardo Martinori, La moneta - Vocabolario generale, Roma, Istituto italiano di numismatica, MCMXV (1915).
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