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Il budō (武道?) è la via marziale giapponese. Il termine è composto dagli ideogrammi kanji bu (?) e (?), che si possono tradurre come "Via marziale", "Via della guerra", oppure "Via che conduce alla pace", "Via che conduce alla cessazione della guerra attraverso il disarmo".

Budō scritto in kanji
Il Kendō è una delle forme di Budō più diffuse in Giappone

Infatti l'ideogramma "bu" è internamente composto dai due ideogrammi, hoko (?) e tomeru (?) che nella lingua giapponese significano:

  • hoko (?): lancia, alabarda
  • tomeru (?): fermare, arrestare, lasciare, cessare

Da cui bu (?) nella lingua e nello spirito della tradizione giapponese, significa letteralmente "fermare, arrestare, lasciare le lance". L'ideogramma (?) significa letteralmente "ciò che conduce" nel senso di "disciplina" vista come "percorso", "via", "cammino", non in senso fisico ma piuttosto etico e morale. Uscendo dal significato strettamente letterale, il termine "lance" assume il significato più ampio di "armi" e quindi quello traslato di "guerra" o "combattimento", mentre il termine "fermare" assume il significato traslato di "cessare". Nella concezione della tradizione marziale giapponese, quindi, il significato del termine bu implica quello di "abbandono delle armi" e quindi di "disarmo" e non di "guerra".

In contrasto con l'aura di antichità di cui il budō è circonfuso, la sua disciplina marziale è uno dei tanti esempi moderni di tradizione inventata[1]. La stessa accezione del termine risale all'ultimo decennio del XIX secolo[1].

L'aspirazione etica e sociale del budō

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Il concetto che tale termine vuole esprimere è dunque quello di realizzare, attraverso la pratica di una disciplina marziale molto particolare fondata sul "principio di non-resistenza", l'elevata aspirazione del budō consistente nella cessazione del combattimento e quindi delle ostilità mediante una condizione di disarmo dell'avversario e di sé stessi.

«Le arti marziali giapponesi sono state tramandate fino ad oggi mantenendo inalterata la loro caratteristica principale, che risiede nel fine ultimo di far progredire lo spirito, attraverso il rafforzamento fisico del corpo e l'apprendimento della tecnica. Di conseguenza, l'approccio con l'avversario deve essere dettato non da ostilità, ma piuttosto da un senso di rispetto e di gratitudine: a conclusione di un combattimento in cui ognuno ha dato prova delle proprie capacità senza risparmiarsi, nasce spontaneo il desiderio di un ringraziamento che riconosca all'avversario tutto il suo valore. Ecco dunque che, infine, si può aspirare alla costruzione di una società pacifica in cui valorizzare se stessi e gli altri.[2]»

Il termine segue l'evoluzione che il concetto di "arte marziale" ha subito nella cultura giapponese attraverso il tempo, passando dall'originale concetto del bujutsu (武術?) a quello attuale del budō (武道?). Da notare come comunque l'evoluzione consista principalmente nella trasformazione da jutsu (? "arte") a (? "via").

Il bujutsu (武術?) era l'apprendimento di diverse tecniche marziali che consentivano di vincere il nemico in battaglia, difendersi dalle aggressioni, offrire i propri servigi ad un signore ed aumentare il proprio potere personale. Le armi usate erano molto varie: spada, arco, lancia, bastone, catena, coltello fino ad oggetti apparentemente innocui come il ventaglio o la pipa. Quando il bujutsu assume come fine non più la tecnica ma l'educazione etica e morale, esso diventa la via da perseguire per la formazione di uomini di valore, e si parla quindi di budō (武道?).

In Giappone questa rielaborazione e modernizzazione della tradizione militare feudale avvenne principalmente dopo la Restaurazione Meiji, fino a tutta la prima metà del XX secolo.

La concezione tecnica e spirituale coesistevano già in epoca feudale anche se a prevalere era l'abilità tecnica che rappresentava l'unico strumento di sopravvivenza ai veri combattimenti del tempo. In epoca moderna la necessità di difendere la propria vita in duello non ha più motivo di esistere e quindi l'attenzione si rivolge ai principî etici e alla tradizione che caratterizzano appunto il budō (武道?).

Statuto del Budō

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Lo Statuto del Budō (武道憲章?, budō kenshō) è un documento[2] approvato il 23 aprile 1987 dal Nippon Budō Kyūgikai che esplica sinteticamente lo spirito del budō tradizionale ad uso delle popolazioni occidentali.

  1. Obiettivo. Il budō si pone come obiettivo di coltivare il carattere, migliorare la capacità di giudizio e formare individui di valore, attraverso l'addestramento di mente e corpo con le tecniche marziali.
  2. Pratica. Durante la pratica bisogna sempre rispettare l'etichetta (礼法?, reihō), osservare i principî fondamentali ed allenare mente, tecnica, e corpo come un tutt'uno, senza perseguire mere abilità tecniche.
  3. Competizione. In occasione di competizioni o esibizioni di kata, si metterà in mostra con il massimo impegno lo spirito del budō appreso nel lungo addestramento e, al contempo, si manterrà sempre un atteggiamento misurato, senza arroganza in caso di vittoria né rimpianto in caso di sconfitta.
  4. Dōjō. Il dōjō (礼法?, dōjō) è il luogo in cui si addestrano la mente e il corpo. Vi si rispettano la disciplina e l'etichetta, si osservano i principî di silenzio, pulizia e sicurezza, ci si impegna a mantenere la solennità dell'ambiente.
  5. Insegnamento. L'istruttore dovrà sempre sforzarsi di forgiare i caratteri, impegnarsi ad addestrare mente e corpo, continuare ad approfondire le conoscenze tecniche, non consentire che l'attenzione si focalizzi su vittorie e sconfitte o sulla tecnica, e soprattutto mantenere un comportamento adeguato al ruolo di modello, che egli ricopre.
  6. Diffusione. Quando si promuove il budō bisogna valorizzarne i principî tradizionali, contribuire alla ricerca ed al consolidamento della didattica, ponendosi in un'ottica internazionale, e contemporaneamente impegnarsi per il suo sviluppo.

Come in tutte le arti marziali esiste una suddivisione di chi la pratica a seconda della bravura e dell'esperienza. I vari livelli del Budō sono:

  • Shihan, così vengono chiamati gli istruttori particolarmente esperti, che hanno raggiunto il livello più alto;
  • Shidōin, è così definito un istruttore ufficiale di livello intermedio;
  1. ^ a b Inoue Shun, The Invention of the Martial Arts. Kanō Jigorō and Kōdōkan Judo, in Stephen Vlastos (a cura di), Mirror of Modernity: Invented Traditions of Modern Japan, University of California Press, 1998 ISBN 0-520-20637-1 (p. 163)
  2. ^ a b Nippon Budō Kyūgikai, JapanWeek, Napoli, 2005.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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