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Stefano Malatesta

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Stefano Malatesta (1940 – 2020), giornalista, scrittore e pittore italiano.

Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani

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  • [Su Antonio Presti] Antonio, di cui poi sono diventato molto amico – l'avevo solo salutato in albergo – e non sapevo nulla della Vallata dell'Arte, del modo di Presti di essere mecenate, se questo è il termine giusto per definirlo, e della sua determinazione ispirata a realizzare le imprese più folli. Mi feci ripetere due o tre volte quello che avevano intenzione di fare e poi chiesi: ma perché? «Dottore», fece il capo cantiere, indicando il bunker con un cenno sarcastico della mano, «lei deve capire. Il signor Presti ha detto che la costruzione va seppellita, per sigillarne l'appartenenza alla terra». C'erano molti operai e qualcuno si mise a ridere. Ma gli altri continuarono cupamente a lavorare. Venivano tutti dall'azienda di Antonio, che il padre gli aveva lascito, a Santo Stefano di Camastra, venti chilometri a ovest di Cefalù, verso Messina. Un'azienda specializzata nella produzione di materiali per la costruzione delle strade, una delle più importanti di quella parte della costa tirrenica della Sicilia. (da Le chiamate di Antonio, p. 80)
  • Quando il padre morì, Antonio fece a se stesso due giuramenti: avrebbe continuato a mandare avanti l'azienda. E avrebbe ricordato il padre con una gigantesca croce da piantare sul letto del torrente Tusa, vicino al mare. Il luogo era stato scelto seguendo le chiamate, che venivano da imprecisati recessi del subconscio o da entità soprannaturali – per Antonio si trattava di futili distinzioni – e che erano insinuanti come promesse di piacere e imperiose come ordini: «Fai quello o fai questo». Non si poteva sfuggire alle chiamate o dire di no: sarebbe stato come negare se stessi e il compito al quale Presti si sentiva prescelto. Poi Pietro Consagra, lo scultore siciliano al quale venne affidato il progetto, si rifiutò di eseguire un'opera tradizionale come una croce e propose una delle sue sculture diciamo astratte per semplificare, monumentale e nello stesso tempo leggera, forata, a volute, alta diciotto metri. (da Le chiamate di Antonio, p. 81)
  • È una Palermo che viene prima di ogni altra, squarciata, esposta al sole con le sue frattaglie. E il ventre di tutto questo è il claustrofobico mercato della Vucciria, dipinto da Guttuso con troppi peperoni, troppe melanzane, troppi pomodori, troppe uova, perché doveva spiegare che quello non era un mercato, ma il sogno di un uomo affamato. (da Lezione alla Vucciria, pp. 143-144)
  • Il suo arrivo alla Vucciria causava la paralisi completa del mercato: i friggitori di panelle abbassavano il fuoco sotto la padella, i venditori di fusaie, di semi di zucca, di olive e di castagne secche smettevano di lanciare le loro urla atroci. Ottenuto il silenzio, era la principessa a mettersi a urlare come un venditore di semenze, con la mano a megafono: «Donne, donne, accorrete». E le donne, misteriosamente sortite dal sottosuolo, si avvicinavano. A questo punto la principessa faceva scattare una molla e il baule si apriva di colpo, mostrando un modello in cera del corpo femminile, sezionato in maniera da evidenziare tutti gli organi interni, del tipo in uso una volta nelle facoltà di medicina [...]. Era un'apparizione teatrale e abbastanza lugubre, che spaventava moltissimo le donne della Vucciria. Quando queste si riavevano, la principessa impaziente, indicando con una bacchetta di legno gli organi che nominava, si metteva a fare una vera e propria lezione di anatomia, finalizzata all'aborto autarchico. (da Lezione alla Vucciria, p. 144)
  • Antonino è stato definito in molti modi: antropologo delle classi subalterne, poetico rigattiere. Ma queste etichette che sarebbero andate bene per qualcun altro, con lui mancavano l'essenziale, non restituendo la straordinaria capacità sciamanica d'insufflare un'anima all'inanimato, di evocare a sé gli spiriti con la maglia di lana grezza e il tanfo di sudore dei contadini del ragusano perché lo aiutassero a materializzare un mondo scomparso o in via di sparizione. Con lui, la casa-museo riemergeva dal passato prossimo e gli odori dimenticati facevano inumidire gli occhi opachi bordati di rosa dei vecchi. (da Lo sciamano di Palazzolo, p. 161)
  • Antonino Uccello era nato a Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa, nel 1922. Nessuno mi ha saputo dire come ha vissuto fino a vent'anni, quando emigrò in Brianza. Il padre lavorava come calzolaio – all'interno della casa-museo Antonino aveva sistemato un deschetto con tutti i suoi attrezzi. Poi il padre e la madre morirono, lui andò a vivere dalla nonna e qui finiscono le informazioni. Il ricercatore del mondo contadino apparteneva dunque a una famiglia di artigiani e si sentiva legato a un'area ristretta, ma omogenea, quella degli Iblei, che comprende Ragusa, Noto, Giarratana, Palazzolo, abitata da piccoli e medi proprietari terrieri e da mezzadri. I contadini venivano da fuori, da Modica. Aveva vissuto il fallimento della riforma agraria e partecipato all'emigrazione di massa verso nord che modificherà l'Italia – o forse la creerà per la prima volta. (da Lo sciamano di Palazzolo, p. 163)

Bibliografia

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  • Stefano Malatesta,Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani, Neri Pozza, Vicenza, 2000, ISBN 88-7305-759-4

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