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Sofocle

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Sofocle

Sofocle (497 a.C. – 406 a.C.), tragediografo e poeta greco antico.

Citazioni di Sofocle

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  • I figli sono per la madre ancore della sua vita.[1][2]
  • I retti ragionamenti fanno più presa delle robuste mani. (frammento, 939 Radt)[3]
Γνῶμαι πλέον κρατοῦσιυ ἢ σθένος χερῶν.
  • L'ignoranza è un male invincibile.[4][2]
  • La tristezza produce anche le malattie.[5][2]
  • Lui, è un folle! Ma esse hanno agito anche più follemente, punendolo per mezzo della violenza. Poiché qualsiasi mortale che sia infuriato per i propri torti e usi un farmaco peggiore del male è un medico che non comprende la malattia.[6]
  • Non è bello dire menzogne; | ma quando la verità potrebbe portare terribile rovina, | allora anche dire ciò che non è bello è perdonabile.[7][2]
  • Non indagare tutto: tante cose è meglio che restino nascoste.[8][2]
  • Non vanno d'accordo il ragionamento e la fretta.[9][2]
  • Per chi sta male, una sola notte è un tempo infinito; | per chi sta bene il giorno giunge troppo presto.[10][2]

Acrisio

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  • Chi ha paura non fa che sentir rumori. (framm. 58)[2]
  • Nessuna menzogna giunge a invecchiare nel tempo. (framm. 59)[2]
  • Nessuno ama tanto la vita come l'uomo che sta invecchiando. (framm. 63)[2]

Aiace

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Felice Bellotti

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Pallade. Sempre te, o figlio di Läerte, io vidi
Ire in caccia appostando il dove e il come
Preda far d'inimici; ed or ti veggo
Ronzar da lungo invêr l'estremo corno
Dell'Argivo navile, ove le tende
Son d'Ajace, e adocchiar le più recenti
Orme sue, per saper se dentro ei sia,
O se n'uscì. Ben qui ti porta il tuo,
Qual di cagna spartana, olfatto acuto.[11]
L'uom poc'anzi v'entrò, tutto grondante
Sudor la fronte, e sanguinante il braccio.
Più non t'è d'uopo sospinger lo sguardo
Quivi entro; di' perché tal cura prendi,
E da chi ben sa il vero, il ver saprai.

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Ettore Romagnoli

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Atena: Sempre io t'ho visto, figlio di Laerte,
che cerchi qualche occasione cogliere
contro i nemici. Ed alle tende innanzi
or ti veggo d'Aiace, ove, all'estremo
del campo, e presso al mare ei l'ha piantate,
che vai braccando già da un pezzo, e cerchi
l'orme che impresse egli ha testé, se dentro
sia, se non sia, Bene ti guida un fiuto,
qual di cagna spartana: or ora Aiace
entrato è dentro, e di sudor la fronte
gronda, e le man' di sangue intrise. Or, d'uopo
non è che tu da questa porta spii,
ma che dica perché giungi con tanta
fretta: io so tutto, e ammaestrar ti posso.

[Sofocle, Aiace, traduzione di Ettore Romagnoli]

Citazioni

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  • Chi è nato nobile | deve vivere bene o morire bene. (479-80)[2]
  • Gli dei hanno dato all'uomo l'intelletto, | che è la più grande di tutte le ricchezze. (683-4)[2]
  • Il silenzio dà alle donne la grazia che loro si addice. (293)
  • La vita più dolce sta nel non avere alcun pensiero.
  • Noi esseri umani che siamo? Spettri, impalpabile ombra.
  • Non sono doni i doni dei nemici, e non giovano. (665)[2]
  • Tutto può accadere se un dio usa le sue arti.[12]

Antigone

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Felice Bellotti

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Antig. O Ismene, or di' germana mia: de' mali,
Onde cagion fu Edípo, alcun ne sai
Che, viventi ancor noi, non compia Giove?
Nulla evvi pur d'obbrobrïoso e turpe,
Che a' tuoi danni ed a' miei giunto io non vegga.
Ed or qual bando è questo che il regnante
(Siccome è grido) a' cittadini tutti
Posto ha testè? N'hai tu contezza? udisti
Favellarne? o non sai che a' nostri amici
De' nimici or commun fatta è la sorte?

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Ettore Romagnoli

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Antigone: O mia compagna, o mia sorella, Ismene,
sai tu quale dei mali che provengono
da Edipo, Giove sopra noi non compia,
mentre siamo ancor vive? Oh!, nulla v'è
di doloroso, di funesto e turpe,
di vergognoso, che fra i mali tuoi,
fra i mali miei visto non abbia. E adesso,
qual bando è questo, che il signore, dicono,
fece or ora gridar nella città?
Lo sai? Lo udisti? O ignori tu che offese,
come a nemici, sugli amici incombono?

[Sofocle, Antigone, traduzione di Ettore Romagnoli]

Franco Ferrari

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Antigone: Sorella, consanguinea, Ismene carissima, conosci sventura, fra quante hanno origine da Edipo, che a noi due sopravvissute Zeus risparmierà? No, non c'è dolore o rovina, non c'è vergogna o disonore che io non abbia riconosciuto nei miei, nei tuoi mali. E ora cos'è mai questo editto, che il generale, a quanto dicono, ha proclamato or ora per tutta la città? Ne sei al corrente? Hai udito qualcosa? O ignori le insidie che i nostri nemici tramano contro chi ci è caro?

[Sofocle, Antigone-Edipo Re - Edipo a Colono, traduzione di Franco Ferrari, BUR/Fabbri Editori]

Citazioni

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  • Che cosa terribile quando il giudice equo dà una sentenza iniqua.
  • Di molto, il primo elemento della felicità è l'essere saggio.
  • Gli uomini orgogliosi imparano in vecchiaia a essere saggi.
  • La conseguenza dei guadagni ladri è perdizione, non felicità. (2010; pos. 2477)
  • Molte sono le cose mirabili, ma nessuna è più mirabile dell'uomo. (332-3)
  • Nessuno ama l'uomo che porta cattive notizie.
  • Non c'è nulla di peggio del denaro | nella società umana. (295-6)[2]
  • Antigone Giove certo non fu, chi a me le impose, | né la giustizia agl'Inferi compagna | codeste leggi fissò mai fra gli uomini. | Io non pensai che tanta forza avessero | gli ordini tuoi, da rendere un mortale | capace di varcare i sacri limiti | delle leggi non scritte e non mutabili. | Non son d'ieri né d'oggi, ma da sempre | vivono; e quando diedero di sé | rivelazione, è ignoto. Né volevo | io, per timore d'un orgoglio d'uomo, | a condanna divina espor me stessa. | Sapevo di morire in un domani, | no? s'anche non l'avessi tu bandito. | Ora, se innanzi tempo ho da morire, | io lo chiamo un vantaggio: per chi vive | tra dolori infiniti, com'io vivo, | perché la morte non sarebbe un bene? | Così, per me, questo destino avere | sofferenza non è. [a Creonte] (vv. 560-579[13])

Franco Ferrari

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Corifeo: La saggezza è la prima condizione della felicità- Non si deve mai commettere empietà verso gli dei. Le parole superbe degli uomini arroganti scontano i colpi spietati del destino e in vecchiaia insegnano ad essere saggi.

[Sofocle, Antigone-Edipo Re - Edipo a Colono, traduzione di Franco Ferrari, BUR/Fabbri Editori]

Edipo a Colono

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Felice Bellotti

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Edipo. Di cieco vecchio, o Antigone, figliuola,
A qual contrada, o a qual città venimmo?
Chi d'alcun picciol dono oggi il ramingo
Edipo sovverrà, che poco cerca,
E men del poco anco riceve? E questo
Pur basta a me; chè d'acquetarmi a tutto
Le sventure m'insegnano, e la lunga
Età compagna, e il forte animo mio. —
Ma tu, figlia, se vedi un qualche seggio
In alcun loco, o sia profano, o bosco
Sacro agli dei, pommi a posar sovr'esso,
Chè indagar possiam quindi ove mai siamo.
Stranieri noi, da chi vi sta saperlo
Vuolsi, e conforme a quanto udrem, far poi.

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Ettore Romagnoli

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Edipo: Figlia del vecchio cieco, a quale terra,
Antigone, siam giunti, a qual città,
di quali genti? All'errabondo Edipo,
di poverelli doni in questo giorno
offerta chi farà? Poco ei dimanda,
e meno ancor del poco ottiene: eppure
tanto mi basta: ché gli affanni e gli anni
lunghi, e la generosa indole, terza,
maestri a me, ch'io m'appagassi, furono.
Ma via, figlia, se tu vedi alcun seggio,
in luogo qual pur sia, profano o sacro,
fa' ch'io mi fermi, ch'io mi segga. E poi,
chiediam che luogo è questo. Ospiti siamo:
ai terrazzani ci dobbiamo volgere,
e tutto ciò ch'essi diranno compiere.

Franco Ferrari

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Edipo: Figlia di un vecchio cieco, Antigone, a quale campagna, a quale città, siamo giunti? Chi vorrà accogliere in questo giorno con doni modesti quell'Edipo errabondo, che ben poco chiede e ancor meno di poco ottiene, eppure non si lamenta? A sapermi accontentare mi hanno insegnato le sofferenze e il lungo tempo che ho vissuto e infine la nobiltà della mia indole. Ma ora, o figlia, se scorgi in luoghi profani o fra boschi sacri un posto dove sedere, lì deponimi, perché possiamo sapere dove ci troviamo. Siamo appunto qui come stranieri per informarci dagli abitanti del luogo e fare tutto ciò che essi ci diranno.

[Sofocle, Antigone-Edipo Re - Edipo a Colono, traduzione di Franco Ferrari, BUR/Fabbri Editori]

Citazioni

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  • La voce smaschera gli intenti, i gesti bassi. (2010, pos. 2105)
  • O temerario, che tramuti in frode | variopinta ogni argomento onesto [...]. [insulto] (vv. 815-816)
  • Questa sola | parola scioglie ogni fatica: amore. (vv. 1703-1704)

Edipo re

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Felice Bellotti

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Edipo. O figli, prole del vetusto Cadmo,
Perché qui ne venite ad assedervi,
Recando in man supplici rami?[14] E tutta
È la città di vaporanti incensi
E d'inni insieme, e di lamenti piena.
Ciò d'altri udir non convenevol cosa
Stimando, o figlii, a voi qui venni io stesso,
Quel fra voi tutti rinomato Edipo.
Dillo, o vecchio, tu dunque, a cui s'addice
Pria di questi parlar: qui che vi trasse?
Tema o brama di che? Tutto a giovarvi
Oprar vogl'io. Ben duro cuore avrei,
Non sentendo pietà di tal consesso.

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Domenico Ricci

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Figli, di Cadmo antico nova prole,
perché sedete su codesti seggi
con ramoscelli supplici? Dovunque
profumi e canti inondan la città,
e gemiti ad un tempo: così ch'io,
quegli che tutti chiamano il famoso
Edipo, son venuto di persona
tra voi, figli, spiacendomi udir nuove
dagli altri.

[Sofocle, Edipo re, traduzione di Domenico Ricci, Rizzoli, 1951]

Ettore Romagnoli

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Edipo: O nuova stirpe del vetusto Cadmo,
figli, perché, venuti alle mie soglie,
tendete i rami supplici? D'incensi,
di peani, di pianti, è piena tutta
la città. Figli, non mi parve bene
chieder notizie a messaggeri: io stesso
son qui venuto: Edipo: il nome mio
è chiaro a tutti. – O vecchio, ora tu dimmi,
ché degno sei di favellar tu primo,
perché veniste? Per pregare? O quale
terror vi spinse? Ad ogni modo io voglio
darvi soccorso: se di tante preci
non sentissi pietà, non avrei cuore!

[Sofocle, Edipo Re, traduzione di Ettore Romagnoli]

Citazioni

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  • Edipo: Ah, Citerone, perché mi accogliesti? O perché, dopo avermi accolto, non mi uccidesti subito? Così non avrei mai mostrato a tutti gli uomini da chi sono nato. O Polibo! O Corinto! E tu, casa antica che io credetti paterna! Voi nutriste in me una bella forma putrida di morbi occulti! Eccomi finalmente disvelato: un miserabile, figlio di miserabili. O trivio! O cupa valle! O querceto! O strettoia ove convergono le tre vie! Voi che avete bevuto il sangue di mio padre versato dalle mie mani, non ricordate i delitti che commisi davanti a voi e poi quegli altri ancora, quando giunsi qua? O nozze! O nozze! Mi avete generato e poi, dopo avermi generato, rigermogliate lo stesso seme e recaste alla luce un grumo incestuoso di padri, fratelli, figli e spose e madri e quanto di più turpe esiste al mondo. Basta. Non è bello dire quel che non è bello fare. Avanti, in nome degli dei, nascondetemi da qualche parte, lontano da qui, e uccidetemi o gettandomi in mare, dove non possiate vedermi più. Avvicinatemi: non vi ripugni toccare questo sventurato. Coraggio, non abbiate paura. Nessun altro, se non io, può portare questi miei mali. (trad. di Franco Ferrari)
  • Al giorno estremo | però guati il mortale; e mai felice | non tenga l'uom, pria che d'affanni scevro | tocco non abbia della vita il fine. (trad. di Felice Bellotti)
  • Come è terribile conoscere, quando la conoscenza | non giova a chi la possiede! (316-7)[2]
  • È dalla violenza che nasce la tirannide. (872)[2]
  • I più grandi dolori sono quelli di cui noi stessi siamo la causa.
  • Il potere si conquista soltanto col soccorso delle masse e del denaro.
  • L'opera umana più bella è di essere utile al prossimo.
  • Le sventure che più colpiscono | gli uomini sono quelle scelte da loro. (1230-1)[2]
  • Nessuno al mondo dovrebbe avere paura. Se il fato governa tutti e niente è prevedibile... un uomo dovrebbe vivere solo per il presente.[15]
  • Sbarazzarsi di un amico fidato è lo stesso, per me, che sbarazzarsi della propria vita.
  • Solo il tempo rivela l'uomo giusto; il malvagio, invece, lo riconosci in un giorno solo.

Citazioni sull'Edipo re

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  • Quanto mai opposta alla forma tragica, poiché l'azione ha già avuto luogo e cade quindi completamente al di là della tragedia. Si aggiunga che ciò che è già accaduto, essendo ormai immutabile, è per sua natura tanto più terribile, e che il terrore che possa essere accaduto qualcosa affligge l'animo umano in modo ben diverso dal terrore che possa accadere qualcosa in futuro. – L'Edipo è, per così dire, solo un'analisi tragica. Tutto è già presente, e non fa che essere sviluppato. Ciò può avvenire mediante un'azione semplicissima e in un lasso di tempo assai breve, anche se le vicende erano complicate e soggette a varie circostanze. E di quanto se ne avvantaggia il Poeta! Ma temo che l'Edipo formi un genere a sé, e che non ne esista una seconda specie... (Friedrich Schiller)

Elettra

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Felice Bellotti

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Ajo. O figliuol del supremo ad Ilio un tempo
Duce de' Greci Agamennóne, or puoi
Qui riveder ciò che bramato hai sempre.
Ecco, Oreste: l'antico Argo egli è questo,
Di che avevi desío[16]; dell'asillita
D'Inaco figlia è quello il luco; e quello
È il consecrato al lupicída nume
Foro Licéo[17]. Quel che a sinistra sorge,
L'inclito tempio è di Giunone;[18] e vedi
Qua la ricca Micene, ove siam giunti,
E questa de' Pelópidi infelice
Casa,[19] d'onde io dalla germana tua
Te un dì sottratto alla paterna strage
Mi tolsi, e salvo a questa età ti crebbi
Vendicator del trucidato padre.

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Ettore Romagnoli

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Aio: Del re che a Troia il campo un giorno mosse,
d'Agamennone figlio, or t'è concesso
veder con gli occhi tuoi ciò di cui brama
avevi ognora. Argo l'antica è questa,
che già bramavi, della figlia d'Inaco
punta dall'estro, il sacro suolo. Ed ecco
la licia piazza, Oreste, al Dio di lupi
sterminatore, sacra. A manca, è quello
d'Era il celebre tempio; e di Micene
d'oro opulenta, è questa la città,
ch'ora tu vedi; ed è quella, opulenta
di sterminii, la reggia dei Pelopidi,
ond'io, quel dí che il padre tuo fu spento,
dalle man' t'ebbi della tua sorella,
t'involai, ti salvai, ti nutricai
insino a questa età, ché tu del padre
vendicassi la strage.

[Sofocle, Elettra, traduzione di Ettore Romagnoli]

Citazioni

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  • Elettra: Mente debole ha l'uomo, che si scorda | i parenti, che andarono sotterra | Miseramente. | Oh come al mio pensiero | ed al mio cuore si concorda il mesto | nunzio di Gjove l'uccello, che, ognora | gemendo, l'infelice Iti richiama! | Tu sei misera, o Niobe, ma stima | io fo di te, come si fa dei Numi, | però che dentro la petrosa tomba | Mai non lasci di piangere.(1839, p. 458)
  • Coro: Il tempo è un dio benigno. (1839, p. 458)
  • Crisotemi: Sorella, e perché mai novellamente | venisti in questo loco a far parole | con alta voce? E ancor non apprendesti, | per lunga esperienza, che il conforto | di vane cose non giova alla mente | turbata? Sono io pur dolente, e veggo | che n'ho ben onde, e se fosse in me forza | a costor mostrerei che non son vile. | Ma nel presente stato mi par meglio | navigar con piegate vele, e nulla | cosa tentar contra costoro. Questo | consiglio tu dèi prendere, quantunque, | più che le mie parole, sia diritto | il tuo giudicio. Se non voglio trarre | in servitù la vita, mi conviene | obbedire a coloro ciecamente, | che tengon qui l'imperio. (1839, p. 462)
  • Non v'è nemico peggiore del cattivo consiglio.
  • Elettra: [alla Corifea] Ma dimmi, c'è misura nel male? | Dimmi, è giusto dimenticare i morti? | E dove fiorisce tale usanza? | Là non vorrei alcun onore. | Non potrei in quella terra felice | trascorrere serena la mia vita | se dovessi frenare le ali | ai miei alti lamenti | in onore del padre. | Se chi muore giace abbandonato – polvere e nulla – e non avrà l'omicida uguale morte, | dal cuore dell'uomo svanirà | e timore di dio e senso di colpa. (1954, p. 21)
  • Crisotemi: Il peggio non è morire, ma dover desiderare | la morte e non riuscire ad ottenerla. (1007-8)[2]
Non è la morte il male più tremendo, ma il non poter morire quando si desidera morire. (1954, p. 75)
  • Coro: Tradita, sola, Elettra | è dentro la bufera, e piange, | l'infelice, sempre, sul padre | – come l'usignolo eternamente | in lamento – senza timore | della morte, decisa | a lasciare la luce del sole, | dopo essersi attirata le due Erinni. | Chi è nata mai | da più degna discendenza? | O figlia, o figlia, | chi ha avuto alta origine | non può con una vita ignobile | macchiare la sua gloria. | E tu hai preferito vivere piangendo | nella casa, armata contro la colpa: | sarai chiamata saggia e coraggiosa | per queste due virtù. | Così tu possa | superare di tanto i nemici | in potenza e ricchezza | quanto sei oggi sottomessa. | Ti trovo in avversa sorte, | ma tu sei degna di essere lodata | come la migliore | per il rispetto alle supreme leggi | del cuore e la tua fede in Zeus. (1954, p. 81)

Filottete

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Felice Bellotti

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Ulisse. Sì; questa è l'erma inabitata costa
Della cinta dal Mar Lenno, dov'io,

[20]

O del più forte in fra gli Elleni Achille
Nëottolemo figlio, esposi un giorno,
Per commando de' re, quel Melïense
Di Peante figliuolo, a cui dal piede
Gemea l'umor di corrodente piaga.

[21]

Ei né libar, né sagrificio in pace
Far ne lasciava, e tutta ognor l'armata
Funestava d'acerbe infauste grida,
Sospirando, sclamando. Ma che giova
Ciò narrar? Di parole or non è tempo,
Sì che intanto colui la mia venuta
Non risappia, e gittato io m'abbia il frutto
Dell'artificio, onde ghermirlo intendo.

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Giovanni Cerri

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Odisseo: Questo è un capo roccioso dell'isola di Lemno,
non toccato da passi umani, disabitato.
Proprio qui, Neottolemo, creatura del più forte dei Greci,
figlio di Achille, proprio qui abbandonai un giorno
l'uomo della Malide, il figlio di Peante;
lo feci per ordine dei comandanti;
perdeva sangue dal piede, per una piaga purulenta;
non potevamo allora né libare né sacrificare
tranquilli, ma senza posa assillava l'intero
accampamento con le sue urla selvagge,
gridava, urlava. Ma perché rivangare tutto questo?
Non è il momento per noi di lunghi discorsi,
che non s'accorga che sono arrivato e io non rovini
lo stratagemma con cui penso di prenderlo presto.

[Sofocle, Filottete, traduzione di Giovanni Cerri, Fondazione Lorenzo Valla, 2011 (3a edizione)]

Ettore Romagnoli

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Ulisse: Della terra di Lemno è questo il lido,
tutta cinta dai flutti, ove non abita
né batte pie' mortale alcuno. Quivi,
figlio d'Achille, del più forte eroe
che fra gli uomini fosse, Neottòlemo,
il Melio figlio di Peante, un giorno,
come dai miei signori io n'ebbi l'ordine,
abbandonai: ché gli stillava il piede
per un vorace morbo; e libagione
più possibil non era, od olocausto
tranquilli offrir: ché tutto il campo empieva
di lagni, di selvagge infauste grida,
senza mai tregua. Ma che importa or dirlo?
Non di lunghi discorsi è questa l'ora:
ch'egli qui non mi sappia, e sperso vada
l'accorgimento ond'io coglierlo spero.

[Sofocle, Filottete, traduzione di Ettore Romagnoli]

Citazioni

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  • Dediti alla giustizia ci mostreremo di nuovo in futuro;
    intanto, per un attimo breve di tempo senza pudore, affidati a me, e dopo, per il resto della tua vita,
    fatti di nuovo chiamare il più intemerato degli uomini. (vv. 82-84; traduzione di Giovanni Cerri)
  • La morte è l'ultimo medico delle malattie. (framm. 636)[2]

Trachinie

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Felice Bellotti

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Dejan. Sentenza antica infra le genti è quella,
Che non sai d'alcun uomo, anzi ch'ei muoja,
Qual sia la vita, o venturosa o trista;
Ma io la mia, già pria d'andarne a Dite,
So ch'è misera e grave.

[Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930]

Ettore Romagnoli

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Deianira: V'è fra gli uomini un detto antico molto,
che di nessuno tu potrai la vita
conoscer mai, se fu felice o trista,
prima che muoia. La mia vita, invece,
pria di scendere all'Ade, io so quant'è
misera e trista.

[Sofocle, Le Trachinie, traduzione di Ettore Romagnoli]

Citazioni

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  • È sciocco chi si vuole opporre all'amore, come se si potesse fare a pugni con lui. (441-442)[2]
Ἔρωτι μέν νυν ὅστις ἀντανίσταται | πύκτης ὅπως ἐς χεῖρας, οὐ καλῶς φρονεῖ·
  • [...] Giovinezza in lieti campi si pasce,
    né l' ardor del sole, né la pioggia,
    né il vento la conturba.
    Sempre gioconda fra i piacer
    sua vita la vergine conduce.

Citazioni su Sofocle

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Note

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  1. Da Fedra, framm. 623.
  2. a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  3. Frammento attribuito a Sofocle dalla tradizione gnomologica (Stobeo e altri). Citato in Renzo Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, 1991, p. 8.
  4. Da Frammenti, 838.
  5. Da Tiro, framm. 602.
  6. Da Tereo.
  7. Da Creusa, framm. 326.
  8. Da Gli Aleadi, framm. 80.
  9. Da Frammenti, 772.
  10. Da Nauplio, framm. 401.
  11. I cani Laconici, o sia del paese di Sparta, godevano, e ancora godono stima di valore assai per la caccia in grazia dell'acuto olfatto di cui sono dotati, e che Aristotele attribuisce alla lunghezza del loro muso. [...] In quanto al genere feminino qui usato, è da ricordare che in alcune specie di animali la femina era dagli antichi poeti considerata di maggior prestanza, ed Euripide nel principio delle Fenicie dà cavalla anche al Sole.
  12. Citato in Arturo Pérez-Reverte, Il giocatore occulto.
  13. Traduzione di G. Lombardo Radice, citato in Elettra, traduzione di Salvatore Quasimodo, introduzione di Remo Cantoni, Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1954, introduzione, pp. IX-X.
  14. Cadmo figliuolo di Agenore Fenicio, mandato dal padre in traccia della smarrita Europa, altra sua figliuola, venne dall'Asia in Grecia, e quivi nella Beozia fondò la città di Tebe; quindi i Tebani, dal fondatore di essa, sono qui detti prole di Cadmo, siccome discendenti da que' primi abitatori di Tebe, che riconoscevano per loro stipite Cadmo, e quindi Cadmijeni e Cadmei per Tebani, e Città di Cadmo, ed anche Casa di Cadmo, per Tebe, frequentemente in questo drama, e presso gli altri poeti. — In quanto a' supplici rami, è da ricordare l'uso degli antichi di portare in mano un ramo di olivo, involto in fasce di lana, quando supplicavano a qualche divinità od anche a qualche potente personaggio; e cotesti rami deponevano i supplicanti a' piedi o sopra le are poste inanzi alle imagini degl'iddii che stavano collocate nelle piazze, e presso a' tempii ed a' vestiboli delle case; e di là poi o li toglievano partendo, se la preghiera veniva esaudita, o ve li lasciavano, se questa non era bene accolta. [...]
  15. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 39. ISBN 9788858024416
  16. Argomento di disputa fra gli espositori è il luogo della scena di questa tragedia, altri in Argo ponendolo, altri in Micene, città ambedue dell'Acaja, e l'una dall'altra non più distante di cinquanta stadii, o sia poco più di seimila passi; e l'intervallo dai sobborghi dell'una e dell'altra che s'incontravano, n'era forse per modo accorciato, che i poeti sovente delle due città una sola ne fecero, promiscuamente ora chiamandola Argo, ed ora Micene, e Argivi e Micenei confusero in un popolo solo, siccome fa Sofocle su 'l fine di questo dramma, ove Egisto chiama i Micenei e gli Argivi a vedere entro la regia il creduto morto corpo di Oreste. Però l'antico greco scrittore dell'argomento mette la scena in Argo: e lo Scoliaste nota a questo luogo che Omero distingue Argo da Micene, ma gli altri dopo di lui chiamano e Micene ed Argo la stessa città. Qui però dicendo l'Ajo di Oreste: questo è l'antico Argo, e poco appresso: e vedi qua la ricca Micene, ove siam giunti, mostra chiaramente distinguere l'una dall'altra città, e significa pur chiaramente il luogo della scena essere Micene. E poiché in questa ultima città dice Omero (Odiss., III, 307) avere Oreste ucciso Egisto (come avviene pure nel fine di questa tragedia), non pare esser dubbio che quivi si debba intendere rappresentarsi l'azione. Ma suppongono il Musgrave, l'Hermann e qualche altro, che col nome di Argo non la città qui venga significata, ma la provincia, l'Argolide, o l'agro Argivo. in cui comprendevansi e quella e Micene; e ciò a noi pare assai più probabile di quanto ne dice il Boissonade: Argo non è l'Argolide, ma la città stessa di quel nome, la quale quei che entrano in Micene veggono da luogo più elevato. Se ciò fosse, non direbbe l'Ajo questo, ma quello è l'antico Argo; poiché la lontananza di cinquanta stadii è soverchia per far uso di una voce propria ad indicare o cosa o luogo che ne sta sotto gli occhi, o almeno molto dappresso. D'altra parte è noto come in Omero più volte il nome di Argo è detto a significare Argolide, anzi tutto il Peloponneso, chiamato da lui Argo Arcaido e poppa della terra (Il., IX, 141); ov'è manifesto (dice l'Heyne) che non della sola città, ma parlasi di tutto 'l regno, in che Micene era posta. E più altri luoghi sono in quel poeta che ciò comprovano; veggasi anco Strab. lib. VIII.
  17. Figliuola d'Inaco fondatore di Argo fu la famosa Io, amata da Giove e da lui convertita in giovenca per sottrarla all'ira della gelosa Giunone, dalla quale però fu tormentata di continuo con la puntura di un asillo, o sia tafano, ond'è qui detta asillita, come già da Eschilo nel Prometeo. Ma che a lei fosse consacrato alcun luogo in Argo o quivi presso, non si legge altrove. — Celebre all'incontro era nella città di Argo il tempio inalzato da Danao ad Apollo Licio o Licéo, d'onde prendeva nome il foro che v'era dinanzi. Del qual sopranome di Apollo diverse sono le origini assegnate dagli antichi. [...] Esso poi è qui detto nume lupicida, dall'avere (Pausania, lib. II, c. 9) insegnato a que' di Sicione il modo di distruggere i lupi, che in gran numero infestavano quella regione.
  18. Poiché Giunone era la dea tutelare degli Argivi, sicché Argiva dea era chiamata ella stessa, inclito era il tempio che dal suo greco nome di Era dicevasi Eréo, posto alla sinistra di Micene per quei che venivano dalla Focide per la via di Corinto, d'onde appunto veniva Oreste, e quindici stadii (secondo Pausania), dieci (secondo Strabone) distante da quella città.
  19. La casa de' discendenti di Pelope acquistò gran rinomanza per delitti e per disavventure; argomento di tante antiche e moderne tragedie. Tantalo, padre di Pelope, uccise questo suo figliuolo, e lo diede a mangiare agli dei da lui convitati; Atreo e Tieste, figliuoli di Pelope, uccisero un loro fratello Crisippo; Atreo diede morte a' figli di Tieste; Egisto, figliuolo di Tieste, ad Atreo e ad Agamennone. [...]
  20. Non è da credere che tutta l'isola di Lenno sia qui detta inabitata e senza vestigio d'uomo, quando eranvi in essa due principali città, l'una detta Efestia, che vale Vulcania, l'altra Città di Toante che n'era il re; e Omero la qualifica di egregia e ben fabricata e la dice abitata da' Sintii, allorché Vulcano vi fu precipitato da Giove; e quivi pone anche la casa del Sonno; né poco celebri sono le donne abitatrici di Lenno per l'uccisione de' loro mariti avvenuta prima ancora della guerra di Troja. Celebre pur anche vi era la coltura delle viti e il vino che se ne traeva; e agli Achei all'assedio di Troja ne venivano carichi molti navigli (Omero, Iliade, VII, 467-75). Ciò pertanto che e qui e più innanzi dice Filottete della solitudine e del non esservi porto, né ospitalità, né commercio, è da riferirsi a quella sola parte dell'isola, ov'egli fu esposto, divisa dall'abitato per erte montagne, cui quell'infermo è da supporre non aver mai superate, né potutosi mai dilungare dalla spiaggia deserta, su la quale da prima fu abbandonato.
  21. Figliuolo di Peante era Filottete, e principe di parte della Tessalia, detto perciò Meliense, da Melia città, di quella contrada; onde popolo Meliense chiama i Tessali il nostro poeta nelle Trachinie. — Era possessore dell'arco e delle frecce d'Ercole, il quale a lui le lasciò in dono per lo favore di avergli acceso il rogo, su cui si pose a morire nel monte Eta. Navigò con sue genti e insieme con gli altri Greci alla guerra di Troja; ma lungo il viaggio essendo stato nell'isola Crisa morso ad un piede da un serpe, e molestando egli co' lamenti tutta l'armata, fu deposto in parte deserta dell'isola Lenno, e quivi lasciato solo. Del resto necessario a sapersi discorre in seguito la tragedia. Qui riferiremo soltanto quel che di lui dice Omero nel II dell'Iliade, v. 716:
    «Di Metone, Taumacia e Melibea
    «E dell'aspra Olizone era venuto
    «Con sette prore un fier drappello, e carca
    «Di cinquanta gagliardi era ciascuna,
    «Sperti di remo e d'arco e di battaglia.
    «Famoso arciero li reggea da prima
    «Filottete; ma questi egro d'acuti
    «Spasmi ora giace nella sacra Lenno,
    «Ove, da tetra di pestifer' angue
    «Piaga offeso, gli Achei l'abbandonaro.
    «Ma dell'afflitto eroe gl'ingrati Argivi
    «Ricorderansi, e in breve, ecc.»
    Versione di V. MONTI.

Bibliografia

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  • Sofocle, Aiace, traduzione di Ettore Romagnoli.
  • Sofocle, Antigone, traduzione di Ettore Romagnoli.
  • Sofocle, Antigone-Edipo Re - Edipo a Colono, traduzione di Franco Ferrari, BUR/Fabbri Editori
  • Sofocle, Edipo a Colono, traduzione di Ettore Romagnoli, Zanichelli, Bologna, 1926.
  • Sofocle, Edipo Re, traduzione di Ettore Romagnoli.
  • Sofocle, Edipo re, traduzione di Domenico Ricci, Rizzoli, 1951.
  • Sofocle, 'Elettra, traduzione di Massimiliano Angelelli, in Parnaso Straniero, Giuseppe Antonelli Editore, Venezia, 1839, vol. IV, Greci.
  • Sofocle, Elettra, traduzione di Ettore Romagnoli.
  • Sofocle, Elettra, traduzione di Salvatore Quasimodo, introduzione di Remo Cantoni, Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1954.
  • Sofocle, Filottete, traduzione di Ettore Romagnoli.
  • Sofocle, Filottete, traduzione di Giovanni Cerri, Fondazione Lorenzo Valla, 2011 (3a edizione). ISBN 978-88-04-51353-7
  • Sofocle, Trachinie, traduzione di Ettore Romagnoli.
  • Sofocle, Tragedie, traduzione di Felice Bellotti, Milano, Sonzogno, 1930.
  • Arturo Pérez-Reverte, Il giocatore occulto, traduzione di Roberta Bovaia, Marco Tropea Editore, 2010. ISBN 987-88-558-0154-4
  • Sofocle, Edipo re – Edipo a Colono – Antigone, traduzione di Ezio Savino, Garzanti classici, 2010, versione kindle.

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