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Enrico Berti

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Enrico Berti (1935 – 2022), filosofo e storico della filosofia italiano.

Citazioni di Enrico Berti

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  • A loro vorrei dire, sia agli studenti che agli insegnanti: potere incontrarsi per parlare di filosofia, di letteratura, di arte, di religione, di scienza, come si fa a scuola, è una fortuna, è una grande fortuna. Per esempio, per gli studenti, per i giovani, è forse il momento più bello della vita, è l'occasione che ci mette in contatto con i valori, con le idee, con le cose migliori che l'umanità ha prodotto. E agli insegnanti ricordo che la nostra professione è per molti aspetti una delle più belle. Siamo fortunati. Ma è la professione che ci permette per tutta la vita di restare a contatto con i giovani, con la scienza, con l'arte, con la letteratura, con tutto ciò che forma la cultura. Quindi, credo che ci si debba considerare fortunati.[1]
  • [Citando la Metafisica di Aristotele] "Il bene e il bello sono diversi perché l'uno è sempre nella prassi, mentre il bello è anche negli immobili". [...] Un autentico bene per Aristotele deve essere realizzabile per mezzo della prassi. Mentre il bello non è sempre praticabile; c'è un aspetto del bello che è praticabile, che è realizzabile per mezzo della prassi e che quindi è un'azione, ma evidentemente c'è anche un altro aspetto del bello che non è praticabile e che lo fa essere nel campo, nell'ambito delle realtà immobili, cioè delle realtà che non dipendono dalla azione umana. [...] "Il bello è sempre ordine, simmetria e determinatezza". [...] Questi caratteri – secondo Aristotele – appartengono anche a realtà immobili come sono gli oggetti delle matematiche. Gli oggetti delle matematiche sono belli perché sono ordinati, sono simmetrici, sono determinati. Pensiamo alle figure geometriche, pensiamo ai teoremi della geometria. Gli stessi matematici dicono oggi che un teorema, una dimostrazione può essere bella, può essere elegante. E questo rende proprio l'idea che Aristotele aveva del bello come appartenente alla realtà immobili. Gli oggetti della matematica non sono praticabili, non sono realizzabili per mezzo dell'azione; sono là, vanno descritti, vanno appunto dimostrati, ma non sono il prodotto di una nostra azione, quindi sono realtà immobili, ma per questo sono belle. [...] I beni per Aristotele sono molti: per esempio, la salute è un bene, la forza è un bene, la ricchezza è un bene. Quindi, molte delle azioni umane hanno come fine questi beni. [...] Tuttavia, alcune azioni sono azioni buone perché procurano dei beni, ma non sono azioni belle, non c'è motivo di considerarle belle.[2]
  • La vera felicità consiste secondo Aristotele nel fare con gli amici le cose che più ci piace fare. [...] Chi ama la filosofia, ama soprattutto fare filosofia con gli amici.[3]
  • [Che cosa avvicina Aristotele alla sentenza di Lucrezio "Felice è colui che può conoscere le cause delle cose"?] Questo è un punto che forse non è stato ancora adeguatamente approfondito perché si sa che Lucrezio era un epicureo e gli Epicurei nell'antichità furono in generale ostili ad Aristotele, furono polemici nei confronti di Aristotele. La maggior parte degli aneddoti antiaristotelici conservati nella storia sono di origine proprio epicurea. Ciononostante, Lucrezio, grande poeta e filosofo epicureo, pur condividendo con Epicuro la convinzione che la felicità consista nel piacere – quello che egli in latino chiama la voluptas con cui esordisce proprio nel suo poema De Rerum Natura –, proprio Lucrezio afferma che è felice colui che ha potuto conoscere le cause delle cose. Quindi, di questo piacere, di questa felicità, che evidentemente è un piacere intellettuale, fa parte la conoscenza delle cause, cioè la capacità di spiegare i fenomeni, di risolvere i problemi che l'esperienza ci pone. E questo è in fondo un tratto che accomuna tutti i grandi filosofi, ma anche – direi – tutti i filosofi, tutti coloro che amano la filosofia, cioè il desiderio di conoscere, la felicità che si prova nella risoluzione dei problemi e nella scoperta delle cause per cui le cose avvengono.[4]

officinafilosofica.it, 4 maggio 2020

  • Più che per il finalismo (che in Aristotele riguarda solo la finalità interna), la teologia cristiana è debitrice ad Aristotele del concetto di un Principio trascendente e personale, il quale in Aristotele è il primo tra i motori immobili dei cieli, e quindi il primo degli enti e il motore di tutto, mentre per i cristiani (come già per i musulmani) è Dio. Bisogna tuttavia tenere presente il diverso significato che la parola "dio" aveva per gli antichi e ha per i credenti nelle religioni monoteistiche. Per gli antichi (Greci e Romani) "dio" è un nome comune, il nome di una specie di viventi, come “uomo”, perciò si scrive con l'articolo e l'iniziale minuscola (il dio). Per i monoteisti invece (Ebrei, Cristiani, Musulmani) "Dio" è il nome di una singola persona, perciò si scrive senza articolo e con l'iniziale maiuscola. Queste sono regole grammaticali, non scelte ideologiche.
  • Quello che i cristiani considerano il "Dio" di Aristotele, cioè il primo motore immobile – che per Aristotele è "un dio" perché è un vivente immortale e felice – non è creatore, non è provvidente, soprattutto non è salvatore. Tuttavia, come il Dio dei cristiani, esso è trascendente e personale. La sua trascendenza è espressa dalla sua immutabilità, che lo distingue da ogni altra realtà di cui noi abbiamo esperienza. La sua personalità, invece, è dovuta al fatto che egli pensa, quindi vive, ed è felice di pensare, quindi possiede una volontà. Tuttavia ritengo sbagliato confrontare una dottrina filosofica, conquistata da un uomo per mezzo di capacità esclusivamente umane (esperienza e ragionamento), con un concetto che è frutto di una rivelazione divina.
  • Aristotele, come tutti gli antichi, era politeista, cioè ammetteva una pluralità di dèi, e "praticava" la sua religione, cioè pregava gli dèi e faceva voti, come risulta dal suo testamento. Tuttavia egli criticò gli aspetti antropomorfici del politeismo, interpretando gli dèi come intelligenze motrici dei cieli, e riconobbe tra essi un "primo", aprendo così la strada, ripresa poi dagli Stoici, verso il monoteismo.
  • [Dunque oggi la società è più che mai bisognosa di filosofia...] Non solo oggi, ma sempre. La filosofia è infatti connaturata all'uomo, è sempre esistita e sempre esisterà, malgrado gli interessati tentativi di decretarne la fine. Questo non era solo il pensiero di Aristotele, per il quale "tutti gli esseri umani per natura (cioè maschi e femmine, liberi e schiavi, greci e barbari) desiderano sapere", e la filosofia – se rettamente intesa – è la forma più alta di sapere. Già Platone nell'Apologia fa dire a Socrate che "una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta dall'uomo".

rivistagradozero.com, 19 novembre 2019

  • Ho iniziato a occuparmi di Aristotele quando ero ancora studente qui a Padova. Quando decisi di dedicarmi alla tesi di laurea mi rivolsi a un professore che mi era sembrato particolarmente interessante, Marino Gentile. Gli parlai dei miei interessi, i quali vertevano intorno al dibattito sulla metafisica, in particolare le obiezioni che la filosofia contemporanea muoveva contro la metafisica, rappresentate dalle maggiori correnti come il marxismo, l'esistenzialismo, il positivismo, le quali erano ostili alla metafisica. Il professore mi consigliò di leggere la Metafisica di Aristotele, testo che avevo già letto per alcuni esami universitari. Leggendola mi accorsi che c'erano molte cose ancora da chiarire, nonostante Aristotele venisse considerato dai miei stessi colleghi come un filosofo superato; forse questo dovuto anche all'isolamento culturale che l'Italia subì a causa della guerra, e della presenza dello storicismo di Giovanni Gentile e Benedetto Croce. In altri paesi d'Europa era ancora un filosofo attuale, soprattutto nella filosofia Inglese, all'interno del contesto della riflessione del linguaggio quotidiano; studiosi inglesi discutevano continuamente Aristotele. In Germania, Heidegger, uno dei più grandi filosofi del secolo scorso, dedicava un'attenzione grandissima ad Aristotele. Nel tempo ho continuato a occuparmi di Aristotele, scoprendo sempre di più di come fosse attuale. Oggi Aristotele nel mondo è uno dei filosofi più studiati e considerato come un interlocutore, al contrario di quelle correnti che oggi sono pressoché sorpassate.
  • Dapprima fui molto influenzato dalla tradizione aristotelica, rappresentata dal mondo islamico e cristiano, una tradizione per la quale Aristotele era il filosofo di chi voleva dare una base filosofica a chi aveva una fede religiosa. Successivamente, mi resi conto di come in verità Aristotele non aveva minimamente questo problema; l'interesse di Aristotele era un interesse esclusivamente scientifico, portandolo a occuparsi di ambiti diventati le nostre attuali scienze, e interrogarsi su concetti come quello di causa, concetto molto più ampio rispetto a come lo concepiamo noi quotidianamente.
  • Per Platone l'anima era qualcosa che penetrava nel corpo e che usciva al momento della morte. Per i presocratici era una specie di spettro. Aristotele, come molti sanno, definisce l'anima come la forma, o l'atto primo del corpo. Bisogna riflettere sul concetto di forma; la forma non è una parte dell'organismo, il quale ha una sua unità. Gli organismi sono dei corpi capaci di svolgere determinate funzioni; queste capacità nelle piante sono evidentemente ridotte, negli animali queste facoltà sono già più complesse. Negli esseri umani troviamo attività che noi chiamiamo superiori, come il pensare e il volere. L'anima è il possesso di queste capacità.

Note

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  1. Da Grazie prof. Berti per aver fatto filosofia insieme a noi!, youtube.com, 19 marzo 2022 (0:23'-1:40').
  2. Dalla videolezione La natura del bello nel pensiero di Aristotele, youtube.com, 29 agosto 2017 (10:18'-13:10').
  3. Da Grazie prof. Berti per aver fatto filosofia insieme a noi!, youtube.com, 19 marzo 2022 (1:40'-2:58').
  4. Dall'intervista di Silvia Siberini, Intervista al filosofo Enrico Berti, asia.it, 8 novembre 2012 (4:14'-6:15').

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