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Adolfo Bartoli

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Adolfo Bartoli (1833 – 1894), letterato italiano.

I precursori del Rinascimento

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  • Il secolo x vede sorgere quello Scoto Erigene che un moderno chiamò giustamente un'eccezione ed un prodigio del suo tempo;[1] egli che si innalza alle più alte speculazioni filosofiche, che si sforza di conciliare il panteismo orientale col teismo cristiano, che nega ricisamente di credere alla eternità delle pene dell'inferno, anzi all'inferno stesso, che osa scrivere che l'autorità emana dalla ragione, e che questa non ha alcun bisogno di essere fortificata dal consentimento di nessuna autorità, perché l'autorità vera non è altro che la verità scoperta per virtù della ragione. Queste parole, che si direbbero scritte non nel secolo IX, ma nel XIX, fanno dell'irlandese uno dei precursori dell'età moderna, o almeno uno dei più arditi rivoluzionari dell'età di mezzo. (pp. 16-17)
  • Nel secolo x sarà Gerberto che rappresenta la libertà dello spirito umano: Gerberto, che nella scuola di Reims legge gli antichi poeti, che prega Adalberone di prestargli un Cesare per copiarlo, che invita il monaco Airardo di Aurillac a correggere un Plinio, che sollecita lo scolastico Costantino a portargli il De Repubblica di Cicerone, che mette insieme una biblioteca dei libri che con grande fatica può raccogliere, percorrendo l'Italia, la Germania ed il Belgio; che scrive opere di geometria, di astronomia, di aritmetica, di filosofia, storia, lettere, poesie; che concepisce il pensiero di una classificazione delle scienze; che fa della fisica, delle matematiche e della teologia tre suddivisioni della filosofia, mettendo così alla pari queste tre scienze ch'egli chiama aequaevae. (pp. 17-18)
  • Abbiamo un libro, sempre del XII secolo, di Gautier de Châtillon, autore di un'Alessandreide e di molte poesie, che è un trattato di morale e che presenta questo fenomeno, di svolgere il suo argomento all'antica, senza pure citare un solo scrittore medievale, senza nessuna allusione alla morale cristiana, traendo la materia specialmente da Cicerone e da Seneca, dimenticando affatto che ci sia un'età di mezzo, andando sempre a cercare i suoi testi, le sue sentenze, i suoi insegnamenti, le sue citazioni tra gli scrittori pagani, quali (oltre i due già citati) Orazio, Giovenale, Sallustio, Terenzio, Virgilio, Lucano, Persio, Ovidio, Stazio. (pp. 27-28)
  • Se il libro di Gautier de Châtillon ci mostra come già nel XII secolo il ritorno del pensiero all'antichità fosse sentito e tentato, un'altra opera, che sta tra la fine del secolo XII e i primi anni del XIII, ci mostrerà un nuovo e ardente desiderio di cultura sorto tra gli uomini. Vincenzo di Beauvais scrive la sua immensa Enciclopedia (Speculurn majus). Notiamo in lui, prima di tutto, l'insaziabile bisogno di leggere e d'imparare. Librorum helluo, egli dice, ed infatti il numero dei libri da lui letti ci è attestato dalla sua compilazione, composta di tre grandi parti, le quali abbracciano 82 libri, e 8905 capitoli. Dà ragione all'opera sua, dicendo che la moltitudine dei libri, la brevità del tempo, la debolezza della memoria impediscono di leggere e di ritenere tutte le cose che sono state scritte; ond'egli che assiduamente ha spogliati molti libri, si è proposto di sceglierne quosdam flores electos, redigendoli tutti in un corpo solo. (pp. 29-30)
  • Egli [Vincenzo di Beauvais] raccoglie da scrittori greci antichi e posteriori all'êra volgare, e da un numero grandissimo di scrittori arabi. Così egli ragiona: «La vita dell'uomo è corta, la memoria dimentica facilmente, i libri sono molti, la scienza è immensa. Sarà dunque utile di fare un compendio di tutto ciò che fu scritto da cattolici e da pagani, da poeti e da filosofi, da storici e da dotti, intorno a ciò che vi è di più vero e di più utile nei diversi rami dello scibile. La mia opera per la scelta e l'ordine delle materie è moderna..., è antica per la natura delle materie stesse». (pp. 30-31)
  • Guido [delle Colonne di Messina] è un uomo dotto: conosce assai bene Ovidio e Virgilio, cita Tolomeo Egizio, Dionigi Areopagita, Giustiniano ed altri. Sfoggia in citazioni mitologiche e storiche, vuol far sapere che ha delle cognizioni geografiche. A proposito della spedizione degli Argonauti, discorre a lungo di astronomia; dagli incantesimi di Medea trae occasione per parlare delle ecclissi solari. Ed appunto perché è colto, fa così: il fenomeno non è né isolato, né capriccioso. (pp. 85-86)
  • [...] il nostro grande raccoglitore, il Voragine, è un dotto, uno storico che mette insieme un libro, dove apparirebbero quasi delle intenzioni critiche. Quando noi gli sentiamo dire: questo racconto è apocrifo, questo fatto è dubbioso, sentiamo di essere davanti ad uno spirito che riflette. (p. 87)

Scenari inediti della Commedia dell'arte

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  • [...] essa [Isabella Andreini] destò l'ammirazione de' suoi contemporanei, tanto come attrice che come letterata. A Roma sedé ad un banchetto, datole dal cardinale Aldobrandini, accanto al Tasso e ad altri illustri, e fu «coronata d'alloro in simulacro», fra il Tasso stesso e il Petrarca. La celebrarono i poeti più famosi del suo tempo; fece parte di Accademie di dotti; ebbe onori dal re di Francia; la sua partenza da Parigi destò vivi rammarichi; alla sua morte, accaduta nel 1604, ebbe pubbliche e insolite dimostrazioni di riverenza, ed ebbe poi medaglie di bronzo, d'argento e d'oro, e fu celebrata dalla fama. Quella fama a noi oggi sembra sicuramente molto esagerata; ma pure non possiamo tenerci dall'ammirare nella Comica del sedicesimo secolo l'ingegno gentile e la svariata dottrina. (Introduzione, pp. CIX-CXI)
  • L'Andreini, anch'essa, petrarcheggia, ma tra i petrarcheggianti non è dei peggiori. Su di lei ebbero pure, senza dubbio, influenza le poesie del Chiabrera, col quale tenne corrispondenza letteraria. Tutt'insieme, ella non è sicuramente de' rimatori più scadenti che avesse l'Italia nel secolo XVII, e tra' noiosi imitatori del Cantore di Laura, è de' meno noiosi, o, se la parola non potesse sembrare sarcastica, de' più geniali. (Introduzione, pp. CXII-CXIII)
  • [...] il comico del secolo XVII è anche un poeta ascetico, che dopo aver calcato le scene, dopo aver rappresentato qualche commedia improvvisa su chi sa quale argomento, si ritraeva a meditare ed a scrivere di cose religiose. Non diremo che ne scrivesse bene; non diremo che il sentimento celeste si vestisse in lui di forme eleganti. Oh tutt'altro! Ma, se non lo scrittore, è l'uomo che merita attenzione, tanto più quanto sembrano e dovevano essere, generalmente, lontane queste due professioni di commediante e di santo.(Introduzione, p. CXV)
  • Le Commedie di Giambatista Andreini meritano e aspettano uno studio, tanto quanto non lo meritano e non lo aspettano le sue opere d'infelicissima epica religiosa, le turgide espansioni del suo affetto per i Santi e per i Beati. (Introduzione, p. CXVIII)
  • Né starebbe male vicino a questa donna [Isabella Andreini], che fu ammirazione del tempo suo, un'altra donna del secolo XVI, poetessa, suonatrice, cantante, scultrice, comica: Vincenza Armani, nata a Venezia di famiglia Trentina. Per essa, quando giungeva in qualche città, «si sparava l'artiglieria», le movevano incontro i notabili del luogo, si facevano in suo onore giostre e tornei. (Introduzione, p. CXVIII)
  • Il Valerini fu uomo colto e di gusto non inferiore a molti scrittori del tempo suo. Tale lo mostrano la sua tragedia, Afrodite, le sue rime, e le lodi della sua Verona, dov'egli cita scrittori greci e latini, e dove dà prova di una erudizione storica non comune. (Introduzione, p. CXXI)

Note

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  1. Egger, L'Hellèn. en France, I, 51. [N.d.A.]

Bibliografia

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Altri progetti

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