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Mito di Aristofane o dell'androgino

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Figura di androgino di Simon Ganneau (1838)

Il mito di Aristofane (o mito dell'androgino) è presente nel celebre dialogo platonico Simposio, che si propone di trattare l'immortale tema dell'amore.

Raffigurazione del rebis o androgino nel manoscritto alchemico Rosarium philosophorum.

Dopo l'esposizione di Fedro, Pausania di Atene ed Erissimaco, inizia a parlare Aristofane,[1] il famoso poeta comico, che sceglie il mito come veicolo della sua opinione su Eros.[2] Tempo addietro - espone il poeta - non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), bensì tre, tra cui, oltre a quelli già citati, il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili.

In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due facce orientate in direzione opposta e una sola testa,[3] quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi.[4] Per via della loro potenza, gli esseri umani erano superbi e tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e divise, a colpi di saetta, gli aggressori.

«Finalmente Zeus ebbe un'idea e disse: “Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi”.»

In questo modo gli esseri umani furono divisi in due metà e s'indebolirono. Ed è da quel momento - spiega Aristofane - che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le "parti" non fanno altro che stringersi l'una all'altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire "fittiziamente" l'unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.

«Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore»

Siccome i sessi erano tre, due sono oggi le tipologie d'amore: il rapporto omosessuale (se i due partner facevano parte in principio di un essere umano completamente maschile o completamente femminile) e il rapporto eterosessuale (se i due facevano parte di un essere androgino).

La caratteristica interessante del discorso di Aristofane risiede nel fatto che la relazione erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere a un fine quale potrebbe essere la procreazione, ma ha valore per se stessa, prescindendo così dalle conseguenze.

  1. ^ Simposio, 189 c 2-193 d 5.
  2. ^ (EN) K. J. Dover, Aristophanes' Speech in Plato's Symposium, in The Journal of Hellenic Studies, vol. 86, 1966, pp. 41-50.
  3. ^ Platone, Simposio, traduzione di Franco Ferrari, RCS MediaGroup, p. 141.
  4. ^ Platone, Simposio, traduzione di Franco Ferrari, F.lli Fabbri, 2007, p. 141.
    «E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra. Ed essi erano tondi e tondo il loro modo di procedere […] Così erano terribili per forza e per vigore […]»
  • Kenneth James Dover, Aristophanes' speech in Plato's «Symposium», in Journal of Hellenic Studies, n. 86, 1966, pp. 41-50.
  • Giovanni Reale, Eros demone mediatore. Il gioco delle maschere nel «Simposio» di Platone, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 98–115.
  • Christopher James Rowe, Il «Simposio» di Platone, Sankt Augustin, Academia Verlag, 1998, pp. 33–34.
  • Denis O'Brien, Die Aristophanes-Rede im «Symposion»: der empedokleische Hintergrund und seine philosophische Bedeutung, in Markus Janka e Christian Schäfer (a cura di), Platon als Mythologe. Neue Interpretationen zu den Mythen in Platons Dialogen, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2002, pp. 176–193.
  • Claudia Di Fonzo, 'Albedo iustitiae'. Il peccato ermafrodito e altre questioni di diritto e letteratura, Alessandria, Dell'Orso, 2023.

Voci correlate

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