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Teodora Comnena (figlia di Giovanni IV)

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Despina Khatun
Teodora Mega Comnena in un particolare dell'affresco San Giorgio e la principessa di Pisanello. Basilica di Santa Anastasia, Verona.
Principessa degli Ak Koyunlu
Principessa di Trebisonda
In carica1458 –
6 gennaio 1478
PredecessoreSara Khatun
SuccessoreGawhar Sultan-Khanum
Nome completoTeodora Mega Comnena
NascitaTrebisonda, 1438 circa
MorteDiyarbakır, dopo il 1474
Luogo di sepolturaChiesa di San Giorgio, Diyarbakır
Casa realeComneni (ramo dei Mega Comneno)
PadreGiovanni IV di Trebisonda
MadreBagatrioni
Consorte diUzun Hasan
FigliMaqsud Beg
Masih Beg
Alamshah Halima Begum
Altre due figlie
ReligioneCristianesimo ortodosso

Teodora Mega Comnena (in greco bizantino: Θεοδώρα Μεγάλη Κομνηνή; nota anche come Despina Khatun, in persiano دسپینا خاتون‎ dal greco despoina, ovvero signora; Trebisonda, 1438 circa – Diyarbakır, dopo il 1474) è stata una principessa bizantina, figlia dell'imperatore Giovanni IV di Trebisonda e una delle consorti di Uzun Hassan, sovrano dell'Impero Ak Koyunlu.

Teodora Mega Comnena nacque attorno al 1438[1] da Giovanni IV di Trebisonda (imperatore Mega Comneno) e dalla sua prima moglie, una figlia di Alessandro I di Georgia tradizionalmente chiamata Bagatrioni. Sua unica figlia, era nota per la sua eccezionale bellezza.[2]

Nel 1458 venne data in sposa a Uzun Hassan, sovrano di Ak Koyunlu[1]. Le veci di suo padre al matrimonio furono fatte da suo zio, Davide II di Trebisonda[3].

Il matrimonio fra una principessa cristiana (ortodossa) e un sovrano musulmano, sebbene non consueto, non era insolito all'epoca e contava diversi precedenti. Anche alcuni dei primi sultani ottomani, fino a Mehmed II, presero come consorti nobildonne cristiane[4][5][6]. In ogni caso, una delle clausole del matrimonio era la garanzia che Teodora non si sarebbe convertita e avrebbe potuto continuare a praticare la sua religione. Un gruppo di sacerdoti ortodossi la seguì ad Ak Koyunlu e le fu anche permesso di patrocinare la costruzione di chiese ortodosse nei territori del marito[4].

Invece, si adeguò all'usanza di cambiare nome, prendendo quello di Despina Khatun, con cui divenne da allora conosciuta. Nelle antiche cronache cristiane, il titolo Khatun (che vuol dire "signora") venne scambiato per un nome proprio e travisato in Caterina[7].

Il matrimonio di Teodora ispirò o almeno rafforzò il topos della "Principessa di Trebisonda", che raccontava di una bellissima fanciulla rapita e costretta a sposare un sultano musulmano, ma che avrebbe conservato la sua fede senza mai cedere. Il racconto avrebbe dovuto fungere da ispirazione per una grande crociata contro i principati islamici, mai realizzata. Il topos divenne talmente popolare da essere associato addirittura al mito di San Giorgio, noto per le storie di cavalleria[8].

L'impero dell'Orda delle Pecore Bianche (Ak Koyunlu) al tempo di Uzun Hassan. L'impero di Trebisonda era situato a nord-ovest dell'impero turcomanno, lungo la costa del Mar Nero

Il matrimonio di Teodora risultava vantaggioso sia per suo padre sia per suo marito. Infatti, tanto l'impero di Trebisonda che gli Ak Koyunlu erano minacciati dall'espansione ottomana del sultano Mehmed II. Tuttavia, quest'ultimo riuscì ad assicurarsi la caduta di Trebisonda nel 1461, malgrado la suocera di Despina, Sara Khatun, lo avesse supplicato a suo nome di non farlo. Mehmed aggiunse al suo harem sia la zia acquisita di Teodora, Maria Gattilusio (moglie di Alessandro di Trebisonda) che sua cugina Anna (figlia di Davide II). Inoltre, nel 1463, giustiziò Davide, i suoi tre figli e il figlio di Alessandro e Maria, Alessio, con l'accusa di essere in corrispondenza proprio con Uzun Hasan e Despina[9][10][11].

Despina ebbe una notevole influenza sul marito, convincendolo a entrare in trattative con Venezia e con Stefano III di Moldavia. Caterino Zeno, ambasciatore veneziano, scrisse che lei fu la sua prima e principale interlocutrice[12]. Franz Babinger scrive che accompagnò il marito alla battaglia di Otlukbeli (1473) e che fu lei a esortare il marito a inseguire l'esercito sconfitto di Mehmed II[13].

Tuttavia, dopo la morte di Uzun Hassan e l'alleanza fra uno dei suoi figli, Ughurlu Muhammad, con Mehmed II (che gli diede in moglie sua figlia Gevherhan Hatun. Loro figlio, Ahmad Beg, sposò invece Aynişah Sultan, figlia di Bayezid II e nipote di Mehmed II) alla fine anche l'impero Ak Koyunlu fu annesso a quello ottomano.

Teodora Despina morì dopo il 1474 e venne sepolta nella Chiesa di San Giorgio a Diyarbakır[1]. La tomba fu tuttavia distrutta da un terremoto nel 1883[12]. Quattro anni dopo, nel 1478, suo figlio Maqsud fu giustiziato dal fratellastro Khalil, proclamatosi sultano alla morte del padre.

Da Uzun Hassan, Teodora Despina ebbe due figli e almeno tre figlie:[12]

  • Maqsud Beg (? - 1478). Giustiziato nel 1478 dal suo fratellastro Khalil.
  • Masih Beg (? - prima del 1473)
  • Alamshah Halima Begum[14] (1460–1522). Chiamata Marta dalle cronache cristiane. Nel 1472 sposò suo cugino, lo sceicco safavi Haydar Safavi (figlio di Khadija Begum, sorella di suo padre, e Sheykh Junayd), da cui ebbe tre figli (Ismail I, Şah dell'Impero safavide e padre di Tahmasp I; Ali Mirza Safavi e Ibrahim Safavi) e quattro figlie (Fakhr Jahan Khanum, che sposò Bayram Beg Qaramanlu; Melek Khanum, che sposò Abdallah Khan Shamlu; e altre due che sposarono rispettivamente Husayn Beg Shamlu e Shah Ali Beg).
  • Altre due figlie. Nel 1473, a Damasco, incontrarono l'ambasciatore veneziano Caterino Zeno, che scrisse che conversarono a lungo in greco pontico.
Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni
Manuele III, imperatore di Trebisonda Alessio III, imperatore di Trebisonda  
 
Teodora Cantacuzena  
Alessio IV, imperatore di Trebisonda  
Gulkhan-Eudocia di Georgia Davide IX, re di Georgia  
 
Sindukhtar Jaqeli  
Giovanni IV, imperatore di Trebisonda  
 
 
 
Teodora Cantacuzena  
 
 
 
Teodora Comnena  
Costantino I, re di Georgia Bagrat V, re di Georgia  
 
Anna di Trebisonda  
Alessandro I, re di Georgia  
Natela Amirejibi Kutsna Amirejibi  
 
 
N. Bagatrioni  
Beshken II Orbelian  
 
 
Dulandukht  
 
 
 
 
  1. ^ a b c (EN) M.L. Bierbrier, The Descendants of Theodora Comnena of Trebizond, in The Genealogist, vol. 11, n. 2, Picton Press, 1997, p. 233.
  2. ^ (EN) William Miller, Trebizond: The last Greek Empire of the Byzantine Era: 1204-1461, Chicago, Argonaut, 1926 [1969], pp. 81, 88.
  3. ^ (EN) Demetrio Calcondila, 9.70, in The Histories, traduzione di Anthony Kaldellis, vol. 2, Cambridge, Dumbarton Oaks Medieval Library, 2014, p. 353.
  4. ^ a b (EN) David Thomas e Alexander Mallett, Christian-Muslim Relations: A Bibliographical History, 5 (1350-1500), BRILL, 2013, ISBN 978-90-04-25278-3.
  5. ^ Discussed in Elizabeth Zachariadou, "Trebizond and the Turks (1352-1402)", Archeion Pontou, 35 (1979), pp. 333-358.
  6. ^ (EN) Speros Vryonis, The Decline of Medieval Hellenism in Asia Minor and the Process of Islamization from the Eleventh through the Fifteenth Century, Berkeley, University of California, 1971, p. 227, ISBN 978-05-20-01597-5.
  7. ^ (FR) C. Diehl, Catherine ou Théodora?, in Byzantinische Zeitschrift, vol. 22, De Gruyter, 1913 [2009], p. 88, DOI:10.1515/byzs.1913.22.1.88.
  8. ^ Anthony Bryer, Appendice II: "Genealogy of the Muslim Marriages of the Princesses of Trebizond", in Greeks and Türkmens: The Pontic Exception, Vol.29, 1975.
  9. ^ (EN) William Miller, Trebizond: The last Greek Empire of the Byzantine Era: 1204-1461, Chicago, Argonaut, 1926 [1969], p. 87.
  10. ^ (EN) John Freely, The Grand Turk: Sultan Mehmet II - Conqueror of Constantinople, Bloomsbury Publishing, 2009, p. 121, ISBN 978-08-57-73022-0.
  11. ^ (EN) Donald M. Nicol, The Byzantine family of Kantakouzenos (Cantacuzenus) ca. 1100-1460: a genealogical and prosopographical study, Washington, D.C., Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies, 1969, p. 145.
  12. ^ a b c (EN) Anthony Bryer, Greeks and Türkmens: The Pontic Exception, in Dumbarton Oaks Papers, vol. 29, 1975, pp. 113-148, DOI:10.2307/1291371. URL consultato il 9 febbraio 2023.
  13. ^ (EN) Franz Babinger, Mehmed the Conqueror and his Time, traduzione di Ralph Manheim, Princeton, Princeton University Press, 1978, p. 314.
  14. ^ Variamente scritto come Alamshah, Alamşah, Alemshah o Alemşah e Halima o Halime.

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