Vedismo: differenze tra le versioni

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Con il termine '''vedismo''' (o '''religione dei ''[[Veda]]''''') gli [[Storia delle religioni|storici delle religioni]] e gli [[Orientalistica|orientalisti]] intendono la [[religione]] e la [[cultura]] dei popoli [[indoeuropei]] denominati [[Arii]] che intorno al XV secolo a.C. migrarono verso l'[[India]] nord-occidentale (allora indicata come ''Saptasindhu'' सप्त सिंधु, Terra dei sette fiumi, in [[avestico]] '' Hapta Hindu'', oggi denominata [[Punjab (regione)|Punjab]] dal [[lingua persiana|persiano]] ''Panjāb'' 'cinque acque') provenendo dall'area di [[Balkh]] (oggi in [[Afghanistan]] settentrionale). Un altro raggruppamento di questo popolo, gli [[Iranici]], sempre provenienti dalla medesima area, invase invece l'attuale [[Iran]] fondandovi una cultura religiosa che successivamente fu in parte raccolta nell'[[Avestā]]. Fu dunque nell'area dell'[[Afghanistan]] settentrionale che tale cultura vedica acquisì le sue prime caratteristiche religiose e linguistiche<ref>Il testo più antico dei ''[[Veda]]'' è il ''[[Ṛgveda]]'', una raccolta di inni sacri che risalgono nella redazione a noi pervenuta probabilmente al secondo millennio a.C., nel periodo compreso tra il 2000 a.C. e il 1700 a.C. Va tenuto presente tuttavia che le datazioni anteriori al X secolo a.C. sono del tutto ipotetiche. Qui vengono proposte le ipotesi dello studioso [[Ramchandra Narayan Dandekar]] riportate nella ''Encyclopedia of Religion'' edita dalla MacMillan di New York nel 2005 (Vol. XIV pag. 9550). Tale fonte, la ''Encyclopedia of Religion'', ha il pregio di essere uno strumento condiviso, curato e rivisto da numerosi studiosi di fama internazionale. Tuttavia altri autorevoli studiosi offrono datazioni più recenti. Così [[Saverio Sani]] (''Ṛgveda'', Venezia, Marsilio, 2000, pag.19) data tra il XV e il V secolo a.C. la composizione del ''[[Ṛgveda]]''. [[Mario Piantelli]] (''Hinduismo'' a cura di [[Giovanni Filoramo]], Bari, Laterza, 2007, pag.5) data la composizione dei ''[[Veda]]'' con l'arrivo degli Arii in India, indicando questo arrivo nel XVI secolo a.C. [[Michelguglielmo Torri]] (''Storia dell'India'' Bari, Laterza, 2000, pag. 32) entra nello specifico quando riportando la nuova tesi promossa dopo gli anni ottanta sull'origine autoctona degli Arii, ricorda: «I due punti di forza di questa teoria fanno riferimento al fatto che, fermo restando l'indicazione del 1000 a.C. come data di completamento della composizione degli inni raccolti nel ''Rig Veda'', non è affatto certa quale sia la data d'inizio. Questa potrebbe essere assai più antica del 1500 a.C. e risalire al 3000, al 4000 o addirittura al 7500 a.C. Il primo elemento a supporto di questa è tratto dall'astroarcheologia, cioè dal fatto che all'interno dei ''Veda'' vi sia una serie di riferimenti astronomici che, una volta decodificati, fanno pensare che i compositori degli inni vedici abbiano vissuto sotto un cielo caratterizzato da configurazioni stellari e da parabole solari caratteristiche di periodi ben più antichi del 1500 a.C.». Tra gli indologi che spostano ben oltre la data del 1500 a.C. Torri cita: [[David Frawley]], [[K.D. Sethna]] e [[Shrikant Talageri]]. [[S. W. Jamison]] and [[M. Witzel]] (''Vedic Hinduism'' pag. 5) se da una parte linitano il periodo vedico al 1500-500 a.C. dall'altra notano che: « The RigVeda, which no longer knows of the Indus cities but only mentions ruins (armaka, [mahå]vailasthåna), thus could have been composed during the long period between 1990 and 1100 BCE.». Per [[J. L. Brockington]] (in ''Concise encyclopedia of language and religion'' Oxford, Elsevier, 2001, pag.126) invece i più antichi inni dei Veda, appartenenti al Rig Veda, vanno fatti risalire al 1200 a.C.</ref>.
Con il termine '''Vedismo''' (o '''cultura vedica'''), gli [[Storia|storici]] e gli [[Orientalistica|orientalisti]] intendono la [[dottrina filosofica]] e la [[cultura]] degli antichi popoli che abitarono l'[[India]] nord-occidentale (allora indicata come ''Saptasindhu,'' सप्त सिंधु, 'terra dei sette fiumi'), dove tale cultura vedica acquisì le sue prime caratteristiche filosofiche e linguistiche, per poi espandersi nelle regioni del Sud e addirittura anche verso Occidente e verso il sud-est dell'Asia <ref>Il testo più antico dei ''[[Veda]]'' è il ''[[Ṛgveda]]'', una raccolta di inni sacri che risalgono (nella redazione a noi pervenuta) probabilmente al secondo millennio a.C., nel periodo compreso tra il 2000 a.C. e il 1700 a.C. Va tenuto presente tuttavia che le datazioni anteriori al X secolo a.C. sono del tutto ipotetiche. Qui vengono proposte le ipotesi dello studioso [[Ramchandra Narayan Dandekar]] riportate nella ''Encyclopedia of Religion'' edita dalla MacMillan di New York nel 2005 (Vol. XIV pag. 9550). Tale fonte, la ''Encyclopedia of Religion'', ha il pregio di essere uno strumento condiviso, curato e rivisto da numerosi studiosi di fama internazionale. Tuttavia altri autorevoli studiosi offrono datazioni più recenti. Così [[Saverio Sani]] (''Ṛgveda'', Venezia, Marsilio, 2000, pag.19) data tra il XV e il V secolo a.C. la composizione del ''[[Ṛgveda]]''. [[Mario Piantelli]] (''Hinduismo'' a cura di [[Giovanni Filoramo]], Bari, Laterza, 2007, pag.5) data la composizione dei ''[[Veda]]'' con l'arrivo degli Arii in India, indicando questo arrivo nel XVI secolo a.C. [[Michelguglielmo Torri]] (''Storia dell'India'' Bari, Laterza, 2000, pag. 32) entra nello specifico quando riportando la nuova tesi promossa dopo gli anni ottanta sull'origine autoctona degli Arii, ricorda: «I due punti di forza di questa teoria fanno riferimento al fatto che, fermo restando l'indicazione del 1000 a.C. come data di completamento della composizione degli inni raccolti nel ''Rig Veda'', non è affatto certa quale sia la data d'inizio. Questa potrebbe essere assai più antica del 1500 a.C. e risalire al 3000, al 4000 o addirittura al 7500 a.C. Il primo elemento a supporto di questa è tratto dall'astroarcheologia, cioè dal fatto che all'interno dei ''Veda'' vi sia una serie di riferimenti astronomici che, una volta decodificati, fanno pensare che i compositori degli inni vedici abbiano vissuto sotto un cielo caratterizzato da configurazioni stellari e da parabole solari caratteristiche di periodi ben più antichi del 1500 a.C.». Tra gli indologi che spostano ben oltre la data del 1500 a.C. Torri cita: [[David Frawley]], [[K.D. Sethna]] e [[Shrikant Talageri]]. [[S. W. Jamison]] and [[M. Witzel]] (''Vedic Hinduism'' pag. 5) se da una parte linitano il periodo vedico al 1500-500 a.C. dall'altra notano che: «The RigVeda, which no longer knows of the Indus cities but only mentions ruins (armaka, [mahå]vailasthåna), thus could have been composed during the long period between 1990 and 1100 BCE.». Per [[J. L. Brockington]] (in ''Concise encyclopedia of language and religion'' Oxford, Elsevier, 2001, pag.126) invece i più antichi inni dei Veda, appartenenti al Rig Veda, vanno fatti risalire al 1200 a.C.</ref>.


== Il periodo "vedico" ==
== Il periodo vedico ==
Il periodo "vedico" (vedismo) è considerato tale dall'ingresso degli [[Arii]] nell'India settentrionale fino alla invasione da parte di questi della piana del [[Gange]], VIII secolo a.C., e la costituzione di prime entità statuali nonché alla compilazione delle parti in prosa dei ''Veda'', i ''[[Brāhmaṇa]]'', e delle ''[[Upaniṣad]]'', i commentari redatti a partire dall'VIII secolo a.C. e per questo denominati come ''[[Vedānta]]'' (fine dei ''Veda'')<ref name="Piantelli">{{cita libro|autore=[[Mario Piantelli]]|titolo=Hinduismo|curatore= [[Giovanni Filoramo]]|città= Bari|editore= Laterza|pp=3 e segg.}}</ref>.
Il periodo vedico (Vedismo) è considerato tale a partire dalla nascita della grande [[civiltà vedica]] sulle sponde dei tre grandi fiumi [[Gange]], [[Yamuna (fiume)|Yamuna]] e [[Sarasvati (fiume)|Sarasvati]] (ormai del tutto prosciugato), e dalla compilazione delle parti in prosa in lingua [[Sanscrito|sanscrita]] dei ''[[Veda]]'', dei ''[[Brāhmaṇa]]'' e delle ''[[Upaniṣad]]''; successivamente anche dei commentari redatti a partire dall'[[VIII secolo a.C.]], per questo denominati come ''[[Vedānta]]'' (''fine dei Veda'')<ref name="Piantelli">{{cita libro|autore=[[Mario Piantelli]]|titolo=Hinduismo|curatore= [[Giovanni Filoramo]]|città= Bari|editore= Laterza|pp=3 e segg.}}</ref>.


Il periodo successivo al "vedismo", a partire dall'VIII secolo a.C. fino a primi secoli della nostra Era, gli [[Storia delle religioni|storici delle religioni]] lo denominano come [[Brahmanesimo]], mentre quello successivo a questo e fino ai giorni nostri viene indicato come [[Induismo]]<ref name="Piantelli"/>.
Il periodo successivo al "Vedismo", a partire dall'VIII secolo a.C. fino a primi secoli della nostra Era, gli [[Storia delle religioni|storici]] lo denominano come [[Brahmanesimo|Bramanesimo]], mentre quello successivo a questo e fino ai giorni nostri viene indicato come [[Induismo]]<ref name="Piantelli"/>.


Il passaggio dal "vedismo" al [[brahmanesimo]] corrisponde alla progressiva sostituzione delle figure sacerdotali coinvolte nei [[yajna|riti sacrificali]]. Se nel primo ''[[Veda]]'', il ''[[Ṛgveda]]'', l'officiante delle libagioni è lo ''hotṛ'' (corrispondente allo ''[[zaotar]]'' dell'''[[Avestā]]''), accompagnato da altre figure sacerdotali minori, con il passare dei secoli e con l'elaborazione dottrinale all'interno degli stessi ''Veda'', sopraggiunge la figura dello '' udgātṛ '' il cantore delle melodie del ''[[Sāmaveda]]'', sostituito poi anch'esso come figura sacerdotale primaria dallo ''adhvaryu'', il mormorante i ''[[mantra]]'' relativi allo ''[[Yajurveda]]'' e, infine con il [[brahmanesimo]], dal ''[[brahmano|brāhmaṇa]]'', l'ultimo dei sacerdoti che sovrintendeva alla correttezza del rito, riparando a qualsiasi errore, e detentore dell'ultimo ''Veda'', lo ''[[Atharvaveda]]''<ref>{{cita libro|Alf |Hiltebeitel|capitolo=Religions of the Brāhmaṇas|Hinduism|collana= Encyclopedia of Religion|volume= vol.6|2004| MacMillan|New york|p=3991}}</ref>.
Il passaggio dal Vedismo al [[Brahmanesimo|Bramanesimo]] corrisponde alla progressiva sostituzione delle figure sacerdotali coinvolte nei [[Yajña|riti sacrificali]]. Se nel primo ''[[Veda]]'', il ''[[Ṛgveda]]'', l'officiante delle libagioni è lo ''hotṛ'', accompagnato da altre figure sacerdotali minori, con il passare dei secoli e con l'elaborazione dottrinale all'interno degli stessi ''Veda'', sopraggiunge la figura dello ''udgātṛ, ''il cantore delle melodie del ''[[Sāmaveda]]'', sostituito poi anch'esso come figura sacerdotale primaria dallo ''adhvaryu'', il mormorante dei ''[[mantra]]'' relativi allo ''[[Yajurveda]]'' e, infine con il [[Bramanesimo]], dal ''[[bramino]]'', l'ultimo dei sacerdoti che sovrintendeva alla correttezza del rito riparando a qualsiasi errore e detentore dell'ultimo ''Veda'', l'''[[Atharvaveda]]''<ref>{{cita libro|Alf |Hiltebeitel|capitolo=Religions of the Brāhmaṇas|Hinduism|collana= Encyclopedia of Religion|volume= vol.6|2004| MacMillan|New york|p=3991}}</ref>.


== La società e la cultura religiosa "vedica" ==
== La società e la cultura vedica ==
Le popolazioni vediche indicavano se stesse come ''ārya / āryā'', che sta indicare una persona retta, nobile o civilizzata.
Il sopraggiungere del popolo degli [[Arii]] nella regione oggi denominata come [[Punjab (regione)|Punjab]] provocò i conflitti tra questi [[nomadi]] guerrieri e le popolazioni locali, eredi delle cosiddette [[Civiltà della valle dell'Indo]]. I testi [[Veda|vedici]] descrivono le popolazioni autoctone come di pelle scura oggi identificate come [[Dràvida|dravidiche]]. Gli [[Arii]] indicavano sé stessi come ''Ārya'' (nobili) riservando il termine ''Dāsa'' (anche ''Dasyu'', successivamente col significato di "schiavo") alle popolazioni autoctone con cui erano venuti a contatto. Secondo gli [[Arii]], questi ''Dāsa'' non veneravano [[divinità]] né possedevano riti religiosi quanto piuttosto veneravano un "fallo" ([[pene]] eretto, [[sanscrito]] ''[[Liṅgaṃ]]'', denominato dio-pene o dio-coda ''śiśnadeva''). Secondo lo studioso [[Alf Hiltebeitel]]<ref>''Op. cit.'' pag. 3990.</ref> la scoperta di oggetti di forma fallica nella [[Valle dell'Indo]] fa supporre come corretta la descrizione vedica di questi culti, peraltro anticipatori del culto del ''[[Liṅgaṃ]]'' nello [[Śivaismo]]<ref>Alf Hiltebeitel. ''Op. cit.'' e Mario Piantelli ''Op.cit.''</ref>.


L'uomo vedico conservava nel suo spazio sacro la purezza e riti di purificazione che lo rendevano puro da ciò che è impuro: sangue, unghie recise, capelli tagliati o caduti, [[sperma]], cerume, muco, sudore e [[vomito]], ma anche i feti abortiti e il mestruo<ref>Particolarmente impuro era considerato il sangue mestruale. La donna mestruata doveva appartarsi e chiunque avesse contatto con lei doveva sottoporsi a delle abluzioni complete. Una donna che moriva in stato di mestruo non poteva venire arsa.</ref>. Allo stesso modo erano considerati impuri coloro che per la propria attività venivano in contatto con tali elementi: i macellai, i lavandai, i boia; tutti coloro che venivano a contatto con tali persone si dovevano poi sottoporre a riti purificatori. <br>
Successivamente gli [[Arii]] si spostarono verso Sud e verso Est in un processo di conquista che non fu mai terminato essendoci tutt'oggi vasti territori dell'India meridionale ed orientale dove ancora si parlano dialetti [[Lingue dravidiche|dravidici]] e [[Lingue munda|munda]]<ref>Francisco Villar. ''Gli Indoeuropei''. Bologna, Mulino, 1997, pag. 558.</ref>.
Non erano invece impuri il latte delle madri e le urine (mischiate ad argilla e utilizzate come sapone) e feci (utilizzate come combustibile) delle vacche.


La "purezza" consentiva all'uomo ''ārya'' il proprio stile di vita che doveva essere contraddistinto dalla rettitudine (''dharma'') e dalla spiritualità.
Gli [[Arii]] erano suddivisi in ''jāna'' ([[sanscrito]], corrispettivo del [[Lingua latina|latino]] ''gentes'') a loro volta suddivisi in "clan" (''viś'') guidati da un capoclan (''viśpáti''). Erano allevatori nomadi che progressivamente si stanziarono in cittadelle fortificate con mura di terra battuta ([[sanscrito vedico]] ''púr'' पुर, corrispondente al [[greco antico]] πόλις ''[[polis]]'') come già prima di loro i nemici ''Dāsa''. Dalle scritture vediche questi ''Ārya'' appaiono ricchi, dediti a feste cerimoniali a base di carne e di ''madhu'' (liquore a base di [[miele]] come l'[[idromele]])<ref>Mario Piantelli. ''Op. cit.''.</ref>. I villaggi degli [[Arii]] venivano eretti dopo un cerimoniale di [[consacrazione]] complesso che prevedeva l'aratura del luogo e la messa in posa di nove colonne (''sthūṇā'') destinate a sostenere gli edifici. Al centro del villaggio era posta la colonna più importante (''skambha'') posto come albero primordiale che sostiene il Cielo (''Div'' o ''Dyú'').


I ritmi della vita "vedica" erano contraddistinti da una ritualità in cui l'elemento del [[fuoco]] aveva un ruolo del tutto peculiare. Il fuoco, anzi i tre fuochi erano ospitati nella casa dei ''[[Bramino|bramini]]'':
Elemento centrale della cultura sociale e religiosa degli [[Arii]] era la dimensione della [[purezza (concetto morale)|purezza]] (''[[puṇya]]''<ref>Dall'[[Lingue indoeuropee|indoeuropeo]] ''*pūr'' da cui anche il [[Lingua latina|latino]] ''purus'', il [[greco antico]] ''pyr'' e l'[[lingua ittita|ittita]] ''pahur''.</ref>) conservata all'interno del villaggio (''grāma''). Tutto all'interno del villaggio era o doveva essere puro, tutto fuori dal villaggio era estraneo (''araṇya''), diverso e temibile: invaso da mostri leggendari e dai disprezzati quanto temuti ''Dāsa'' (i senza faccia-''anās'', i non-uomini-''amānuṣa'').

L'uomo vedico conservava nel suo spazio sacro la purezza e riti di purificazione che lo rendevano puro da ciò che è impuro: sangue, unghie recise, capelli tagliati o caduti, sperma, cerume, muco, sudore e vomito, ma anche i feti abortiti e il mestruo<ref>Particolarmente impuro era considerato il sangue mestruale. La donna mestruata doveva appartarsi e chiunque avesse contatto con lei doveva sottoporsi a delle abluzioni complete. Una donna che moriva in stato di mestruo non poteva venire arsa.</ref>. Allo stesso modo erano considerati impuri coloro che per la propria attività venivano in contatto con tali elementi: i macellai, i lavandai, i boia; tutti coloro che venivano a contatto con tali persone si dovevano poi sottoporre a riti purificatori. Le divinità punivano coloro che compivano tali peccati (''pātaka'') soprattutto se rivolti contro le divinità stesse. Particolarmente temuto era l'''[[asura]]'' [[Varuṇa]], rigido custode dello ''[[Ṛta]]'' che puniva con orribili malattie lo spergiuro o l'incestuoso. <br>
Non erano invece impuri il latte delle madri 'arie' e le urine (mischiate ad argilla e utilizzate come sapone) e le feci (utilizzate come combustibile) delle vacche.

La "purezza" consentiva all'uomo "ario" il proprio stile di vita che doveva essere contraddistinto dalla rettitudine (''rju'') e dalla semplicità.

I ritmi della vita "vedica" sono contraddistinti da una ritualità in cui l'elemento [[fuoco]] ha un ruolo del tutto peculiare. Il fuoco, anzi i tre fuochi sono ospitati nella casa del ''[[brahmano|brāhmaṇa]]'':
*il più importante, denominato ''gārhapatya'', è posto ad Ovest su una sede circolare ed è il luogo dove dimora l'[[Agni (divinità)|Agni]] originario; con questo fuoco alimentato esclusivamente dal capofamiglia, dalla moglie o dal primogenito viene attinta la fiamma per il secondo fuoco;
*il più importante, denominato ''gārhapatya'', è posto ad Ovest su una sede circolare ed è il luogo dove dimora l'[[Agni (divinità)|Agni]] originario; con questo fuoco alimentato esclusivamente dal capofamiglia, dalla moglie o dal primogenito viene attinta la fiamma per il secondo fuoco;
*il secondo fuoco, sede dell'[[Agni (divinità)|Agni]] sacrificante, è posto da Est su base quadrata; denominato ''āhavanīya'';
*il secondo fuoco, sede dell'[[Agni (divinità)|Agni]] sacrificante, è posto da Est su base quadrata; denominato ''āhavanīya'';
*il terzo fuoco (lo ''anvāhāryapacana'') , di base semicircolare è posto a Sud ed è di supporto al fuoco orientale in quanto è il fuoco del sacrificio del [[Oryza sativa|riso]] situato a destra dell'officiante quando egli è rivolto verso l'Oriente, questo fuoco è il fuoco che consuma con i suoi sacrifici i pericoli e la morte (''mṛtyu'') che dal Meridione provengono.
*il terzo fuoco (lo ''anvāhāryapacana''), di base semicircolare è posto a Sud ed è di supporto al fuoco orientale in quanto è il fuoco del sacrificio del [[Oryza sativa|riso]] situato a destra dell'officiante quando egli è rivolto verso l'Oriente, questo fuoco è il fuoco che consuma con i suoi sacrifici i pericoli e la morte (''mṛtyu'') che dal Meridione provengono.


Questo fuoco benedirà il bambino appena nato, da questo fuoco saranno attinte le fiamme che consumeranno i cadaveri degli Arii dopo la loro morte, a questo fuoco si destinerà parte del pasto prima di consumarlo e a questo fuoco si rende onore appena rientrati nella propria casa. Insieme al Sole (''Sūrya'') è il fuoco ad essere particolarmente onorato da questa cultura che gli offre due sacrifici (''Agnihotra'') quotidiani: a mezzodì e al tramonto.
Questo fuoco benedirà il bambino appena nato, da questo fuoco saranno attinte le fiamme che consumeranno i cadaveri delle persone dopo la loro morte, a questo fuoco si destinerà parte del pasto prima di consumarlo e a questo fuoco si rende onore appena rientrati nella propria casa. Insieme al sole (''Sūrya'') è il fuoco ad essere particolarmente onorato da questa cultura che gli offre due sacrifici (''Agnihotra'') quotidiani: a mezzodì e al tramonto.


Nel [[Ṛgveda|Rgveda]], il nono cerchio della canzone contiene le canzoni di Soma Pavamana, inni su una pozione sacra, la [[Soma (divinità)|Soma]].
Nel [[Ṛgveda]], il nono cerchio contiene gli inni del Soma Pavamana, su una pozione sacra, la [[Soma (divinità)|Soma]].


[[Anne-Marie Esnoul]]<ref>A. M. Esnoul. ''Enciclopedia delle Religioni'' vol.9. Milano, Jaca Book, 2004 pag.250.</ref> evidenzia come nella civiltà e nella letteratura religiosa vedica (comprensiva in questo caso dei ''[[Veda]]'' e dei loro commentari ''[[Brāhmaṇa]]'') non si riscontra alcuna riflessione sulla 'sofferenza' nel mondo, sul ciclo delle rinascite (''[[saṃsāra]]'') e, di conseguenza sui percorsi di [[bodhi|liberazione]] da esso quanto piuttosto il godimento (''bhukti'') della vita terrena. È quindi solo con le prime ''[[Upaniṣad]]'' (IX secolo a.C.) che si avvia la riflessione [[Teologia|teologica]] indiana sulla sofferenza nel mondo e sulla necessità di un percorso di liberazione da essa. E questo corrisponderebbe all'avvio del [[periodo assiale]] individuato da [[Karl Jaspers]].
[[Anne-Marie Esnoul]]<ref>A. M. Esnoul. ''Enciclopedia delle Religioni'' vol.9. Milano, Jaca Book, 2004 pag.250.</ref> evidenzia come nella civiltà e nella letteratura vedica (comprensiva in questo caso dei ''[[Veda]]'' e dei loro commentari, i ''[[Brāhmaṇa]]'') non si riscontra alcuna riflessione sulla "sofferenza" nel mondo, sul ciclo delle rinascite (''[[saṃsāra]]'') e, di conseguenza sui percorsi di [[bodhi|liberazione]] (''[[mokṣa]]'') da esso quanto piuttosto il godimento (''bhukti'') della vita terrena. È quindi solo con le prime ''[[Upaniṣad]]'' che si avvia la riflessione [[Filosofia|filosofica]] vedica sulla sofferenza nel mondo e sulla necessità di un percorso di liberazione da essa. E questo corrisponderebbe all'avvio del [[periodo assiale]] individuato da [[Karl Jaspers]].


=== Le [[deva|divinità]] "vediche" ===
=== Le divinità vediche ===
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Una pagina del Ṛgveda.

Con il termine Vedismo (o cultura vedica), gli storici e gli orientalisti intendono la dottrina filosofica e la cultura degli antichi popoli che abitarono l'India nord-occidentale (allora indicata come Saptasindhu, सप्त सिंधु, 'terra dei sette fiumi'), dove tale cultura vedica acquisì le sue prime caratteristiche filosofiche e linguistiche, per poi espandersi nelle regioni del Sud e addirittura anche verso Occidente e verso il sud-est dell'Asia [1].

Il periodo vedico

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Il periodo vedico (Vedismo) è considerato tale a partire dalla nascita della grande civiltà vedica sulle sponde dei tre grandi fiumi Gange, Yamuna e Sarasvati (ormai del tutto prosciugato), e dalla compilazione delle parti in prosa in lingua sanscrita dei Veda, dei Brāhmaṇa e delle Upaniṣad; successivamente anche dei commentari redatti a partire dall'VIII secolo a.C., per questo denominati come Vedānta (fine dei Veda)[2].

Il periodo successivo al "Vedismo", a partire dall'VIII secolo a.C. fino a primi secoli della nostra Era, gli storici lo denominano come Bramanesimo, mentre quello successivo a questo e fino ai giorni nostri viene indicato come Induismo[2].

Il passaggio dal Vedismo al Bramanesimo corrisponde alla progressiva sostituzione delle figure sacerdotali coinvolte nei riti sacrificali. Se nel primo Veda, il Ṛgveda, l'officiante delle libagioni è lo hotṛ, accompagnato da altre figure sacerdotali minori, con il passare dei secoli e con l'elaborazione dottrinale all'interno degli stessi Veda, sopraggiunge la figura dello udgātṛ, il cantore delle melodie del Sāmaveda, sostituito poi anch'esso come figura sacerdotale primaria dallo adhvaryu, il mormorante dei mantra relativi allo Yajurveda e, infine con il Bramanesimo, dal bramino, l'ultimo dei sacerdoti che sovrintendeva alla correttezza del rito riparando a qualsiasi errore e detentore dell'ultimo Veda, l'Atharvaveda[3].

La società e la cultura vedica

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Le popolazioni vediche indicavano se stesse come ārya / āryā, che sta indicare una persona retta, nobile o civilizzata.

L'uomo vedico conservava nel suo spazio sacro la purezza e riti di purificazione che lo rendevano puro da ciò che è impuro: sangue, unghie recise, capelli tagliati o caduti, sperma, cerume, muco, sudore e vomito, ma anche i feti abortiti e il mestruo[4]. Allo stesso modo erano considerati impuri coloro che per la propria attività venivano in contatto con tali elementi: i macellai, i lavandai, i boia; tutti coloro che venivano a contatto con tali persone si dovevano poi sottoporre a riti purificatori.
Non erano invece impuri il latte delle madri e le urine (mischiate ad argilla e utilizzate come sapone) e feci (utilizzate come combustibile) delle vacche.

La "purezza" consentiva all'uomo ārya il proprio stile di vita che doveva essere contraddistinto dalla rettitudine (dharma) e dalla spiritualità.

I ritmi della vita "vedica" erano contraddistinti da una ritualità in cui l'elemento del fuoco aveva un ruolo del tutto peculiare. Il fuoco, anzi i tre fuochi erano ospitati nella casa dei bramini:

  • il più importante, denominato gārhapatya, è posto ad Ovest su una sede circolare ed è il luogo dove dimora l'Agni originario; con questo fuoco alimentato esclusivamente dal capofamiglia, dalla moglie o dal primogenito viene attinta la fiamma per il secondo fuoco;
  • il secondo fuoco, sede dell'Agni sacrificante, è posto da Est su base quadrata; denominato āhavanīya;
  • il terzo fuoco (lo anvāhāryapacana), di base semicircolare è posto a Sud ed è di supporto al fuoco orientale in quanto è il fuoco del sacrificio del riso situato a destra dell'officiante quando egli è rivolto verso l'Oriente, questo fuoco è il fuoco che consuma con i suoi sacrifici i pericoli e la morte (mṛtyu) che dal Meridione provengono.

Questo fuoco benedirà il bambino appena nato, da questo fuoco saranno attinte le fiamme che consumeranno i cadaveri delle persone dopo la loro morte, a questo fuoco si destinerà parte del pasto prima di consumarlo e a questo fuoco si rende onore appena rientrati nella propria casa. Insieme al sole (Sūrya) è il fuoco ad essere particolarmente onorato da questa cultura che gli offre due sacrifici (Agnihotra) quotidiani: a mezzodì e al tramonto.

Nel Ṛgveda, il nono cerchio contiene gli inni del Soma Pavamana, su una pozione sacra, la Soma.

Anne-Marie Esnoul[5] evidenzia come nella civiltà e nella letteratura vedica (comprensiva in questo caso dei Veda e dei loro commentari, i Brāhmaṇa) non si riscontra alcuna riflessione sulla "sofferenza" nel mondo, sul ciclo delle rinascite (saṃsāra) e, di conseguenza sui percorsi di liberazione (mokṣa) da esso quanto piuttosto il godimento (bhukti) della vita terrena. È quindi solo con le prime Upaniṣad che si avvia la riflessione filosofica vedica sulla sofferenza nel mondo e sulla necessità di un percorso di liberazione da essa. E questo corrisponderebbe all'avvio del periodo assiale individuato da Karl Jaspers.

Le divinità vediche

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Deva.

I riti sacrificali

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Yajña.

La letteratura vedica

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Lo stesso argomento in dettaglio: Veda.
  1. ^ Il testo più antico dei Veda è il Ṛgveda, una raccolta di inni sacri che risalgono (nella redazione a noi pervenuta) probabilmente al secondo millennio a.C., nel periodo compreso tra il 2000 a.C. e il 1700 a.C. Va tenuto presente tuttavia che le datazioni anteriori al X secolo a.C. sono del tutto ipotetiche. Qui vengono proposte le ipotesi dello studioso Ramchandra Narayan Dandekar riportate nella Encyclopedia of Religion edita dalla MacMillan di New York nel 2005 (Vol. XIV pag. 9550). Tale fonte, la Encyclopedia of Religion, ha il pregio di essere uno strumento condiviso, curato e rivisto da numerosi studiosi di fama internazionale. Tuttavia altri autorevoli studiosi offrono datazioni più recenti. Così Saverio Sani (Ṛgveda, Venezia, Marsilio, 2000, pag.19) data tra il XV e il V secolo a.C. la composizione del Ṛgveda. Mario Piantelli (Hinduismo a cura di Giovanni Filoramo, Bari, Laterza, 2007, pag.5) data la composizione dei Veda con l'arrivo degli Arii in India, indicando questo arrivo nel XVI secolo a.C. Michelguglielmo Torri (Storia dell'India Bari, Laterza, 2000, pag. 32) entra nello specifico quando riportando la nuova tesi promossa dopo gli anni ottanta sull'origine autoctona degli Arii, ricorda: «I due punti di forza di questa teoria fanno riferimento al fatto che, fermo restando l'indicazione del 1000 a.C. come data di completamento della composizione degli inni raccolti nel Rig Veda, non è affatto certa quale sia la data d'inizio. Questa potrebbe essere assai più antica del 1500 a.C. e risalire al 3000, al 4000 o addirittura al 7500 a.C. Il primo elemento a supporto di questa è tratto dall'astroarcheologia, cioè dal fatto che all'interno dei Veda vi sia una serie di riferimenti astronomici che, una volta decodificati, fanno pensare che i compositori degli inni vedici abbiano vissuto sotto un cielo caratterizzato da configurazioni stellari e da parabole solari caratteristiche di periodi ben più antichi del 1500 a.C.». Tra gli indologi che spostano ben oltre la data del 1500 a.C. Torri cita: David Frawley, K.D. Sethna e Shrikant Talageri. S. W. Jamison and M. Witzel (Vedic Hinduism pag. 5) se da una parte linitano il periodo vedico al 1500-500 a.C. dall'altra notano che: «The RigVeda, which no longer knows of the Indus cities but only mentions ruins (armaka, [mahå]vailasthåna), thus could have been composed during the long period between 1990 and 1100 BCE.». Per J. L. Brockington (in Concise encyclopedia of language and religion Oxford, Elsevier, 2001, pag.126) invece i più antichi inni dei Veda, appartenenti al Rig Veda, vanno fatti risalire al 1200 a.C.
  2. ^ a b Mario Piantelli, Hinduismo, a cura di Giovanni Filoramo, Bari, Laterza, pp. 3 e segg..
  3. ^ Alf Hiltebeitel, Religions of the Brāhmaṇas, in Hinduism, collana Encyclopedia of Religion, vol.6, New york, MacMillan, 2004, p. 3991.
  4. ^ Particolarmente impuro era considerato il sangue mestruale. La donna mestruata doveva appartarsi e chiunque avesse contatto con lei doveva sottoporsi a delle abluzioni complete. Una donna che moriva in stato di mestruo non poteva venire arsa.
  5. ^ A. M. Esnoul. Enciclopedia delle Religioni vol.9. Milano, Jaca Book, 2004 pag.250.

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